Heavy Rain – Recensione Heavy Rain
Genere: nessuno. Negli attributi che possono classificare un titolo come HEAVY RAIN (HR), la voce per tipo non può essere determinata. Sono ormai mesi che la Quantic Dream sconvolge i fan con video, dichiarazioni, immagini sempre diversi, causando di volta in volta decine di reazioni opposte: ammirazione, diffidenza, stupore, indifferenza, interesse, incredulità, esaltazione ma anche disprezzo.
Di sicuro, ciò che tutti hanno provato è stata sicuramente curiosità, decisamente smisurata per uno dei titoli apparentemente più rivoluzionari di questi tempi: a metà strada tra film e gioco, combattuto fra azione e spettacolo passivo, Heavy Rain ha fatto capire, sin da subito, che molto sarebbe cambiato, dopo il 24 Febbraio 2010; una storia da raccontare, o meglio tante storie da raccontare, tutte diverse, talvolta opposte, oltre la normale immaginazione e totalmente nelle mani del giocatore. Una trama “a bivi”? Molto di più. Un dvd interattivo? Tutt’altro. Un film? Vicino, ma anche all’opposto.
Una trama dalle possibilità infinite, piena di risvolti sottili o rivoluzionari, segnata dalle scelte del giocatore, che come delle pieghe ben definite su un foglio piatto, danno vita lentamente ad un’opera d’arte, un lavoro preciso, un perfetto origami.
La verità è irraggiungibile (teoricamente inesistente, in quanto cambia attimo dopo attimo), imprevedibile, e quando si forma del tutto, sempre sconvolgente. Il cammino per raggiungerla, tuttavia, lo è ancora di più, colmo di prove che superare non sempre sarà la cosa più giusta, e anzi potrebbero portare verso domande difficili, o a risposte spaventose. Il destino (che più che mai è dell’uomo) diventa cinico, reale, meschino, e mostra i lati più crudi di una realtà tutt’altro che illusoria: il videogioco non è mai stato così vicino alla vita reale, e il giocatore non è mai stato così padrone del gioco.
Sotto l’aspetto video ludico, questo titolo può piacere o meno, ma la sua carica di significato va oltre un Blue-Ray Disc inserito in una console per un po’ di svago: adatto o meno ai propri gusti, Heavy Rain, nel bene o nel male, ha costruito un ponte fra gioco e realtà, ha superato le barriere del videogame e scritto una fetta di storia del mondo videoludico moderno: può piacere o meno, ma rappresenta, in ogni caso, un’opera da provare, da toccare con le proprie mani. Qualcuno troverà molti difetti, ma tutti, aprendo un po’ gli occhi, non potranno che vedere ciò che quest’avventura inedita, mai realizzata e oltre l’immaginario videoludico, rappresenta: un gioco? No. Un capolavoro… Di che genere? Nessuno.
Pioggia torrenziale
La traduzione italiana più fedele non rende con la stessa enfasi il messaggio del titolo: una pioggia incessante, irriducibile, soffocante, “pesante”, più che mai letale. Una città assediata da questo fenomeno naturale, un’atmosfera cupa, buia, che ben esprime la posizione opposta allo status quo mostrato nel prologo, con un protagonista nel pieno della sua felicità familiare.
Un tortuoso intreccio che si estende nell’arco di circa cinque giornate, segnate da una data, un orario, e dai millimetri di pioggia caduti, questi ultimi di vitale importanza: la vita del piccolo bambino rapito, Shaun Maurs, finirà quando questi millimetri saranno saliti a 150. Fino a quel momento, i quattro protagonisti della storia dovranno fare del proprio meglio per riuscire a trovare gli indizi giusti, identificare l’assassino e infine trovare e salvare il piccolo Shaun.
Il vero problema, tuttavia, è che non esistono indizi giusti, non esiste un preciso assassino e qualcuno dei quattro protagonisti potrebbe anche avere intenzione di non salvare il figlio di Ethan Mars. Tutto è nelle mani del giocatore, nella sua volontà, nelle sue scelte: accettare o rifiutare di eseguire un’azione potrebbe cambiare radicalmente la storia, le conseguenze, persino l’assassino. Spesso ci si trova di fronte a scelte difficili, e per quanto si tratti solo di finzione, si viene messi di fronte ad un dilemma che non fa che rimandare alla realtà: nei panni di Ethan Mars, cosa si arriverebbe a fare per salvare la vita di qualcuno che si ama? Quanto lontano si andrebbe per amore? Si arriverebbe a soffrire? Si attraverserebbe una strada ad occhi chiusi, magari, o si camminerebbe sui vetri taglienti scalzi? Si arriverebbe ad uccidere?
Nonostante la finzione, persino dover decidere tramite un joystick potrebbe non essere semplice, in Heavy Rain: come già detto, il prodotto videoludico non è mai stato così vicino alla realtà e il giocatore non è mai stato così padrone del gioco. Le azioni, gli stati d’animo, i pensieri, i sentimenti dei protagonisti diventano propri.
Un’immedesimazione totale, che immerge nell’illusione di Heavy Rain più di quanto facciano gli occhiali ARI di Norman Jayden; qualcosa di mai visto, mai provato, un rapporto giocatore-io virtuale che si mescola e scombina così tanto da non avere quasi più distinzione: non si finisce col diventare l’assassino dell’origami, ma l’empatia che si instaura con i protagonisti, e soprattutto con Ethan e Norman, potrebbe catturare a fondo non solo i più sensibili. I deboli di cuore dovranno stare attenti, potrebbero non reggere gli shock delle gesta di un padre o la vita pericolosa di un giovane agente federale, senza contare le (dis)avventure di una giornalista determinata o i rischi del mestiere di un investigatore privato.
Quattro eroi
Molti li conoscono già, alcuni persino da molto tempo, ma il lato più vero dei protagonisti di Heavy Rain viene fuori solamente nel gioco, e si mostra ogni volta diverso, a seconda delle scelte del giocatore.
L’eroe principale si conferma senza dubbio Ethan Mars, padre di Jason e Shaun Mars, quest’ultimo movente principale della trama in quanto prossima vittima dell’assassino dell’origami. Padre affettuoso e marito disponibile, Ethan possiede una bella casa, un lavoro soddisfacente, una vita felice; tutto questo sembra perfetto, finché un giorno, per una tragica coincidenza di eventi, perde il figlio in un incidente nel quale viene coinvolto egli stesso, e finisce in coma. Heavy Rain inizia due anni dopo, con un protagonista distrutto, separato dalla moglie ma insieme al figlioletto Shaun, visibilmente più triste e distante rispetto ai tempi passati.
L’uomo vive questo rapporto difficile con sofferenza, tentando in qualche modo di ristabilire un forte legame col figlio ma rimanendo ancora vittima del passato, in maniera anche imprevista: degli improvvisi blackout, perdite di conoscenza dalle quali si risveglia dopo ore, senza memoria, ritrovandosi in un luogo a lui sconosciuto, sconvolto, e con un origami nella mano.
Norman Jayden, criminologo giovane e da poco nell’FBI, viene assegnato al caso del killer dell’origami, che affronta con tutta la serietà dovuta e l’onestà di un novizio del mestiere. Sfruttando l’ARI, innovativa tecnologia di investigazione, e attraverso le scelte del giocatore, Jayden può rivelarsi un poliziotto perfetto e trovare tutti i tasselli che portano all’assassino, oppure percorrere pian piano una via sempre più tortuosa sino a distruggersi.
Scott Shelby, ex poliziotto scaltro ed esperto, dall’apparenza rude ma dai modi gentili, viene ingaggiato come investigatore privato dalle famiglie delle vittime dell’assassino, visto che la normale polizia non riesce a fare progressi sul caso e deve comunque attenersi ad un protocollo legale (cosa che un investigatore privato può ignorare più facilmente…). Si mostra da subito forte e determinato: la sua è come se fosse una storia parallela, ma alla fine del gioco, in maniera maggiore o minore, si rivela determinante per la conclusione.
Madison Paige, ultima a comparire sulla scena, è una giornalista furba, ma anche turbata da un terribile incubo ricorrente. Per qualche strano motivo riesce a riposare bene solo nei motel, ed è proprio in uno di questi che incontra Ethan e decide di aiutarlo nella sua impresa…o magari no.
Da sinistra a destra: Norman, Ethan, Madison e Scott;
e forse uno di loro è proprio il killer dell’origami..
Tutto, anche queste poche parole sopra riportate, dipendono solo ed esclusivamente dal giocatore: non esiste una via giusta o una via sbagliata, la frase “Game Over” non è contemplata, non verrà richiesto di ripetere una sezione del gioco se si fallisce; la storia continua, in un modo o nell’altro, nel rispetto più completo del classico “lo spettacolo deve andare avanti”. E nel caso il finale o l’evoluzione della trama non fosse di gradimento, si può pur sempre ricaricare il capitolo dal menù principale e viverlo in un altro modo, compiendo un’altra scelta, determinando un’altra conseguenza e facendo evolvere l’intreccio narrativo in un’altra direzione.
Comunque vada, è pressoché indiscutibile che “le storie” di Heavy Rain sono così elaborate e profonde da surclassare un qualsiasi film dagli stessi temi, offrendo al giocatore la possibilità di determinare da sé il carattere di un personaggio, le sue azioni, la sua vita o la sua morte. Un plot fantastico, sconvolgente, frenetico, mai prevedibile, capace di alternare azione e pensiero, suspence ed emozioni, paura e coraggio, brivido e inquietudine: risvolti sempre più avvincenti, incroci impensabili, attimi da batticuore e scelte sconcertanti; ovviamente tutto impossibile da descrivere in quanto ogni volta diverso ma in tutti i casi sempre, incredibilmente straordinario: provare per credere.
Esame tecnico
Al di là della poesia che può o non può (davvero?) essere Heavy Rain, la curiosità alla quale si accenna nell’introduzione riguarda senza alcun dubbio il lato tecnico del gioco: che si sarebbe trattato di una trama sorprendente era prevedibile, ma in fin dei conti, osservando concretamente, come si gioca?
Sotto questo aspetto, il paragone più vicino viene fatto con un’avventura interattiva nella quale azioni e conseguenze sono già predefinite e dunque basta semplicemente premere alcuni tasti in sequenza o compiere una decisione per andare avanti: negli esperimenti precedenti il filo narrativo poteva essere alterato poche volte, dopodiché bisognava semplicemente godersi i filmati alternandoli a sequenze di tasti.
Per quanto il sistema di Heavy Rain, se veramente paragonabile a qualcosa, è associabile a questo tipo di giocabilità, l’esperienza effettiva del gioco è completamente diversa. In una stessa sequenza (soprattutto quelle di lotta) vengono compiute di volta in volta decine e decine di scelte, assolutamente irreversibili e con conseguenze diverse, senza contare che rigiocare una stessa sequenza può significare vederne almeno oltre cinque combinazioni differenti e anche con risultati diametralmente opposti.
La difficoltà selezionata, poi, aiuta a rendere il gioco più impegnativo e dinamico, con richieste di pressioni e movimenti talvolta veramente complicate: oltre alle normali indicazioni (come levetta destra nelle varie direzioni), per fare andare tutto bene bisogna anche saper scuotere il Dualshock 3 così da sfruttarne il sistema Sixaxis, tenere premute lunghe sequenze di tasti, eseguire movimenti delicati o schiacciare velocemente il pulsante giusto. Tutto questo ovviamente in combinazione, passando dunque dalle normali pressioni a quelle rapide o ai movimenti a tempo in un attimo, con notevole sfida per chi sceglie la modalità più difficile.
L’abitudine si fa dopo le prime ore di gioco (le meno convincenti di tutto il titolo), alle quali viene affidato il compito di rodare il giocatore ed immetterlo nell’ottica del nuovo sistema; dopo, fino alla fine, si padroneggiano benissimo tutte le combinazioni e si potrebbero avere rari problemi solo nel caso in cui i dettagli della scena andassero a rendere meno visibile il tasto da premere (possibilità comunque remota). Tale possibilità diventa più frequente nelle sequenze parlate, quando, fra le opzioni disponibili, bisogna scegliere quale esprimere attraverso il tasto corrispondente, spesso oscurato dal personaggio, dall’ambientazione o dal pensiero stesso.
Quest’ultimo, inoltre, non sempre viene sintetizzato adeguatamente e ci si ritrova con il chiedere qualcosa di assolutamente inutile perché tratti in inganno da un titolo ambiguo (o mal tradotto, nella maggior parte dei casi). Nulla di impossibile da superare, ma se si parla di capolavori, bisogna anche considerare che la prova di “semiperfezione” non viene superata da Heavy Rain, in quanto questi piccoli difettucci, uniti ad un sistema di movimento a tratti macchinoso e comunque poco comodo, non si addicono al livello che il resto del titolo raggiunge onorevolmente.
Ruotando attorno al personaggio le varie opzioni ogni tanto vengono nascoste
L’ultima pecca è da imputare invece allo spirito del gioco: dovendo decidere l’identità dell’assassino solo alla fine della trama, dall’inizio sino a quel momento bisogna far combaciare il profilo del killer con i possibili assassini, in modo da imputarli alla fine senza incongruenze: tali che però si verificano, come il ridicolo errore sull’età dell’assassino, che viene descritto con più anni d’età di quelli passati dalla sua data di nascita al 2011 (anno in cui si svolge il gioco), oppure come i blackout di Ethan, che si risveglia sempre con un origami nella mano dopo ore di incoscienza, lasciati totalmente senza spiegazione.
Difettucci che, come detto, non sono di enorme rilevanza, ma vanno ad intaccare il valore finale di un gioco che poteva dare ancora di più.
Must have
Heavy Rain arriva dove nessuno è mai arrivato. Trasforma quasi una “simil-avventura interattiva“ in un gioco d’azione e presenta una logica di gioco inedita, dove è il giocatore a scrivere la storia con ogni scelta a sua disposizione, per combinazioni pressoché infinite. Questo titolo, a metà strada fra tante categorie diverse, non si collega a nessuna di esse e finisce col dare vita ad un genere tutto nuovo, mai visto prima e che forse il mondo videoludico aspettava da tanto tempo: il genere “Heavy Rain”.
Un must have PER TUTTI, perché titoli come questo, adatti o meno ai propri gusti, scrivono la storia dei videogiochi moderna e vanno provati, anche perché, non essendocene mai stato uno simile prima (Fahrenheit è solo un lontano ricordo), vale la pena provare qualcosa che potrebbe rivelarsi anche ai propri occhi un capolavoro.
Senza contare che il sonoro, il doppiaggio, gli effetti audio-visivi, la grafica in-game, le animazioni, i filmati, le ambientazioni, l’atmosfera rappresentano già dei perfetti motivi per considerarlo uno dei migliori titoli disponibili oggi; e sono solo gli aspetti secondari.
Una trama senza eguali, che supporta egregiamente un sistema di gioco mai visto prima e lo rende praticamente perfetto, conferendogli quell’aggettivo di capolavoro che tanto si è meritato: nessuno ci ha mai pensato prima, nessuno lo hai mai realizzato, e il genere “Heavy Rain” non poteva avere un debutto migliore.
Complimenti, Quantic Dream, e complimenti a David Cage.