Halo: Reach – Recensione Halo Reach
Quando Halo ancora non era Halo
La saga di Halo dal 2001 ha regalato diverse emozioni ai videogiocatori, con Bungie che è giunta a concludere una delle saghe più curate e attente in un alone di mistero che ha lasciato la possibilità a tutti i fan di fantasticare su come sarebbe potuta avvenire la fine di Master Chief. Ad oggi la necessità quindi non era tanto quella di sfatare i miti che si erano venuti a creare nelle fantasie dei più, ma era quello di spiegare come si sia svolta la vicenda che ha fatto da sfondo alla creazione della saga: come è iniziato tutto?
Halo Reach si pone questo obiettivo, creando una storia al livello delle altre analizzate nei successivi capitoli in linea temporale, e mostrandoci cos’era Halo prima dei tempi, quando ancora non esisteva. Nove anni dopo, dopo tre capitoli principali in compagnia di Master Chief, Spartan e Covenant, è ora di andare alla scoperta di come è nato il mito del soldato invincibile.
La battaglia per la sopravvivenza
C’è una novità in casa Halo e la si nota già nelle prime battute dell’avventura: il pianeta Reach non è il solito pianeta. La zona è da evacuare, ci sono civili e persone che necessitano il nostro soccorso nella colonia terrestre: prima d’ora era difficilissimo trovare qualcuno che chiedesse il nostro aiuto e che non dovesse essere ucciso a suon di proiettili. Stavolta invece è completamente diverso: oltre i civili su Reach, che si innalzano a veri protagonisti della vicenda, avremo accanto a noi una squadra di soldati facenti parte del Noble Team di cui noi stessi siamo membri.
L’armata Covenant di recente ha deciso di attaccare gli avamposti che si trovano sparsi su diversi pianeti della UNSC, l’organo supremo dell’universo Halo: l’unica resistenza vive ancora su Reach dove gli umani stanno sfruttando le loro conoscenze cibernetiche e meccaniche per sviluppare una potente razza di guerrieri che potrà controbattere l’avanzata del nemico. Parliamo degli Spartan, di quei sei progenitori del Master Chief, della squadra Noble, nobile, come dicevamo prima: noi siamo uno di questi, il Noble Six, arrivato per sostituire uno degli Spartan caduti in battaglia. Il nostro dossier non è del tutto convincente: siamo sempre stati poco ligi al dovere ma in quanto a coraggio ci siamo sempre distinti. Accanto a noi ci saranno altri cinque membri, utili in battaglia e che incontreremo in diverse situazioni: tutti saranno pronti a sacrificarsi per l’orgoglio, l’onore, per il loro pianeta, per la loro missione.
La narrazione riesce ad impennarsi verso metà della nostra avventura, che durerà per dieci missioni. Prima dello scoppiare di determinati eventi infatti sembrerà tutta una situazione meccanica dove gli obiettivi verranno posti solo per trovare il senso della vostra battaglia: esempio banale può essere la base Covenant da distruggere, il cannone da disattivare, la torretta da distruggere e così via. L’epica, quindi, viene lasciata per le parti finali, dove il pathos aumenterà e con esso anche un po’ la sensazione di trovarvi in un mondo davvero dilaniato dal dolore.
Su Reach la battaglia è diversa…
Il nostro parco armi si rinnova sotto pochissimi punti di vista e si rinnova in grande stile: una delle armi principali diventerà il DMR, fucile ad unico colpo che racchiuderà la precisione del cecchino e la potenza della magnum; quest’ultima è un gradito ritorno dopo la sua unica comparsa in Halo Combat Evolved, il primo capitolo: precisa e con un grande raggio d’azione; sparisce la possibilità di portare due armi alla volta come in Halo 3, ma verranno comunque aggiunti potenti sistemi di uccisione di massa, come il mortaio, il lanciagranate al plasma, il cannone a combustione e anche un rilevatore (usato in una sola occasione) che una volta segnalato il bersaglio vi permetterà di distruggerlo dall’alto con l’artiglieria di supporto.
Novità anche nell’equipaggiamento dove non avremo più soltanto lo scatto, ma anche il jetpack, per volare in grande stile ma comunque a breve durata, l’ologramma, per lanciare in corsa una nostra controfigura, ottima in strategie avanzate, e gli scudi portatili che ci permetteranno di resistere alle avanzate nemiche più difficili. Delle granate invece avremo appena due tipi, la metà di quanto visto in Halo 3, che in linea temporale ci preme ricordare come ultimo capitolo rilasciato (ODST era una mera espansione e Wars non aveva nulla a che vedere con la saga): la classica granata ad innesco e la stuck, la granata che potrà incollarsi addosso al nemico.
All’interno del gameplay, poi, che risulta identico ad Halo 3, abbiamo due grandi innovazioni, di cui una molto attesa e ingigantita dai fan: stiamo parlando, per quanto riguarda quest’ultima, della missione nello spazio aperto a bordo di un’astronave in pieno stile sci-fi, mentre per l’altra annotiamo la grande presenza di veicoli da poter usare durante la nostra avventura. Avremo dai famigerati Ghost, che potremo prendere sempre disarcionando il pilota con un pugno, agli Scorpion, lenti ma devastanti, senza dimenticare anche i più classici Warthog, fino ad una missione nella quale dovremo mettere tutto il nostro impegno in una fuga a tavoletta su uno di questi per fuggire all’invasione Covenant. Vengono aggiunte anche le possibilità di manovrare mezzi comuni, quali camion, cisterne, solleva carichi e muletti: l’utilità è misera, ovvio, infatti sfidiamo tutti voi a combattere a bordo di un mezzo lento e poco resistente, ma è un abbellimento che sicuramente fa scena.
Passiamo poi alla seconda annunciata novità: la missione a bordo di un caccia. Per la prima volta Halo toglie i piedi da terra e si trasferisce nello spazio aperto per lanciarsi in una battaglia a suon di missili e cariche telecomandate, quasi come un novello Space Invaders ma con trenta anni in più di progresso grafico. Smorziamo subito l’entusiasmo: la missione dura pochi minuti e il nostro obiettivo sarà dapprima respingere l’avanzata dei nemici e dopo attraccare una nave crociera spaziale distruggendole i motori; tutto questo si risolve facilmente dato che il mirino è automatico e una volta agganciato il bersaglio vi toccherà premere ripetute volte il tasto RT per sparare all’impazzata: prima o poi cadranno tutti e la missione terminerà qui. Anche a difficoltà Leggendaria risulta essere alquanto banale. Ovviamente al minimo errore di traiettoria vi troverete saltare in aria, ma questa non è una novità.
…e anche la grafica
Quanto possiamo soffermarci sul sonoro di Halo Reach? Poco, dopotutto da sempre la saga di Halo si è lasciata caratterizzare da un comparto audio che eccelle sopra diversi sparatutto. Non parliamo di effetti sonori, però, bensì della colonna sonora in sè, che ancora una volta offre ancora più pathos epico alla vicenda. Non da meno è ovviamente l’intero comparto tecnico che offre un parco audio di grande livello con esplosioni e colpi di proiettili riprodotti al meglio.
Anche graficamente, rinnovando il sistema del motore che regge Halo, la Bungie fa un buon salto in avanti: rispetto ad Halo 3 stavolta potremo assistere a delle schermaglie, lontane dal nostro palcoscenico, avvenire tra umani e Covenant dove ognuno avrà il suo stile di movimento e di combattimento. Qui ci sembra utile inserire anche una lode per la IA degli avversari che ci metteranno davvero in crisi giocando alla difficoltà Eroica (la Normale non rende giustizia all’interno lavoro): spesso ci troveremo a doverci architettare delle strategie degne del miglior stealth trovandoci comunque con uno shooter tra le mani; sicuramente una scarica di adrenalina in più per un gioco già abbastanza carico di emozioni.
Anche gli ambienti riescono a rendersi migliori, anche perchè Halo Reach ha l’importante compito di gestire delle città e delle costruzioni immense e non una piantagione abbattuta con qualche alberello semimovente ogni quarto di miglia. Gli interni sono completamente personalizzati e tutto l’ambiente si presta alle vostre azioni: ovviamente non è previsto che voi possiate nascondervi dietro qualche muro o qualche barriera, altrimenti diventerebbe uno stealth troppo accentuato, ma se ci provate e giocate con le coperture state certi che avrete un risultato quantomeno simile.
Il gioco nel gioco
Da sempre Halo si è distinto, quasi come tutti gli altri shooter, come videogioco capace di offrire un’esperienza completamente diversa nella componente multiplayer: nel single player troviamo il momento per la storia che trafigge il cuore dell’universo Halo, mentre altrove troviamo l’azione per poter al meglio trafiggere il cuore dei nostri avversari. Il multiplayer di Halo si gestisce tra 12 modalità diverse di azioni, dalle più classiche del DeathMatch alle versioni di conquistare la base fino alla simpatica e innovativa modalità Zombie, che richiama un po’ l’aspetto del gioco puerile Guardie e Ladri, nel quale, appunto, uno dei partecipanti impersona lo Zombie armato di Spada Elite e dovrà, colpendo gli avversari, tramutare tutti in suoi simili lasciando in inferiorità la schiera degli umani.
Il DeathMatch, giusto per ricordarci la più prossima alla memoria delle modalità multiplayer del mondo videoludico, si distingue di per sè in sei diverse modalità, creando la possibilità di gestirle come meglio credete, magari costringendovi a limitazioni et simila. Come altre aggiunte troviamo poi la modalità Cinema che ci permette di gestire le nostre partite a video e registrarle per farle vedere ai nostri amici e così condividerle, e anche la nuova modalità Fucina. Da una parte questa ci permetterà di gestire l’aspetto estetico del nostro Noble, sia in single player che in multiplayer, cambiandogli casco, accessori, armatura, ginocchiere e varie, spendendo dei crediti accumulabili durante le due diverse modalità; dall’altra parte invece ci permetterà di gestire delle mappe completamente nuove andando ad acquistare componenti con i crediti.
E Bungie saluta
Halo Reach supera Halo 3 come tecnica e come gameplay: riesce a farci entrare in una realtà superiore e migliorata, che non sgrana nemmeno come trama e come sistema. Le pecche che possiamo trovare sono appunto nel poter comandare un unico Noble, il che ci fa pensare ad una perdita di tempo nell’aver caratterizzato gli altri cinque, che avrebbero fatto comodo in alcune situazioni. La difficoltà, come si accennava prima, dev’essere assolutamente posta almeno ad Eroica, per poi passare a Leggendaria in una co-op: si rischia di far scemare l’esperienza e di rendere Halo una banale sparatoria sotto casa, mentre si parla di una guerra per la sopravvivenza dopo un’invasione aliena.
Sicuramente abbiamo avuto il piacere di trattare uno dei migliori sparatutto della nuova generazione, che, a differenza dei classici Call of Duty o Medal of Honor, lascia spazio anche per la sceneggiatura, non da Oscar ma sicuramente piacevole per avere un motivo per affrontare una guerra. Promosso a pieni voti.