Gylt – Recensione
“Non può esserci pace senza una grande sofferenza. Più grande è la sofferenza, più grande è la pace”. Sì, fa strano usare una citazione di Mission Impossible 6: Fallout come intro ad una recensione di GYLT, il titolo di Tequila Works originariamente uscito su Google Stadia (RIP) a Novembre 2019 e ora disponibile su tutte le piattaforme…
…ma.
Sì, perché se dovessi tendere il sottile filo di lana color carmine fra due elementi in una metaforica lavagna da investigatore nell’analisi di GYLT, lo farei fra le parole chiave “sofferenza” e “pace”, e quel filo toccherebbe un altro importante elemento: “coerenza”.
“Coerenza” è una parola che non si sente molto nelle discussioni videoludiche o, più in generale, in tutto quello che riguarda la costruzione di un dialogo attorno ad un prodotto d’intrattenimento, sia esso un film, una serie televisiva o, come in questo caso, un videogame.
Se infatti è incredibilmente personale e forse impossibile da oggettivizzare un aspetto come la soundtrack di un titolo o il suo comparto narrativo, che per me potrebbero funzionare mentre a te non restituiscono nulla, ci dovrebbero essere (e ci sono) elementi di esso che possono essere analizzati attraverso una lente “assoluta”, e credo che la coerenza sia proprio uno di questi.
GYLT, o l’intoccabile importanza dell’essere coerente
I giochi davvero di successo, se ci pensi, sono incredibilmente coerenti con sé stessi, mondi di gioco che settano il centro della propria esperienza utente e ancorano ogni elemento ludico a questo baricentro. Un esempio? Dark Souls. L’opacità della lore, dei menu di gioco, a volte perfino dei comandi, tutto è il riflesso di un mondo che ti ignora e che non è davvero lì per te.
Breath of the Wild? Tutto è costruito coerentemente attorno al player verb più importante per l’accoppiata di titoli open-world Zelda: sperimentare. Ogni accampamento nemico, ogni sacrario, ogni punto d’interesse geografico è lì per farti provare diversi modi di approcciarlo e “risolverlo”.
GYLT, insomma, è un prodotto coerente: non coerente con i tempi, a causa di stilemi stealth vecchi di almeno una generazione, e magari non coerente con exempla narrativi che affrontano tematiche simili ma prendendosi tempi più morbidi (contro le circa 6-7 ore che ci vogliono per completare GYLT), ma è incredibilmente e profondamente coerente con sé stesso. Partiamo da dati oggettivi, intanto, poi, se hai voglia di seguirmi, cadrò nei commenti personali ed infine cercherò di tornare in cima alla torre d’avorio della soggettività critica.
Il titolo di Tequila parte in media res con Sally, una giovane ragazzina, inseguita da degli stupidi bulletti; nel fuggire si ritrova però molto velocemente in quella che sembra una versione distorta della piccola cittadina del Maine in cui vive. Ad accoglierla è un intreccio di case e strade vuoto, abbandonato, colpito da quello che sembra essere un terremoto, ma il senso di solitudine non dura molto, poiché molto presto lei (e noi) si ritroverà faccia a faccia con dei mostri antropomorfi.
Alan Wake decaffeinato
Non ci vuole molto a capire che non tutto è quello che sembra e che, forse, ciò che abbiamo davanti è la trasposizione fisica di uno stato di malessere emotivo del quale Sally è solo una delle due protagoniste. Sua cugina Ellie è infatti scomparsa qualche giorno prima, ed è un rapido incontro con lei che spinge Sally ad esplorare la città e affrontarne gli orrori.
Il mood di GYLT ci mette poco a rendersi chiaro, palesandosi attraverso toni da horror per lo più PG-13 e meccaniche da stealth/adventure game inizialmente canoniche ma che non tardano ad evolversi. È qui che inizia anche a mostrarsi la Coerenza di cui ti parlavo poco prima: il mondo di gioco ha delle regole piuttosto semplici e le azioni che Sally può compiere per difendersi e districarsi tra gli spazi cittadini di GYLT sono basilari, parallelamente alla basilarità dell’IA dei nemici.
Il nostro “potere” non è infatti mai tanto elevato da spingerci ad interagire troppo aggressivamente con i nemici, guardando invece ad ogni momento di gioco come un piccolo enigma da risolvere muovendoci, distraendo gli avversari con una torcia o una lattina lanciata distante, arrivando solo nella seconda metà di gioco ad un approccio più offensivo, comunque sempre contestualizzato nella gestione delle poche risorse alle quali il gioco ci chiede di stare attenti: salute (nella forma di inalatori) e batterie per la torcia.
Un po’ come un Mario per il genere platformer…
Ti parlavo di regole semplici ed è difficile non tendere un altro filo rosso, stavolta con Alan Wake, vuoi per il tono a metà tra il creepy e il malinconico, vuoi per l’utilizzo della torcia stessa. GYLT ha sicuramente debiti d’ispirazione con altri titoli ma questo non gioca forzatamente a suo sfavore, trasformandolo anzi in una sorta di survival horror lineare entry level, una sorta di titolo d’approccio per chi si vuole approcciare al genere.
È una versione iper-semplificata dei grossi esponenti del genere di appartenenza, ma non è per nulla scontato riuscire ad avere successo nel comprimere le convenzioni horror in un loop semplice, per un pubblico più giovane e in un titolo che in 6 ore nasce, si evolve e va a concludere.
In funzione di queste 6 ore gli ambienti che si vanno ad esplorare sono pochi, ma non ho a memoria titoli che così bene individuano ed eseguono il ritmo di rotazione dei suoi environment. Scuola, auditorio, palestra, ogni diversa location “dura” abbastanza da farti incuriosire ma GYLT ti muove in una nuova subito prima che tu ti possa stancare. Esistono anche leggerissimi elementi da metroidvania, però sono tutti legati all’ottenimento di uno dei due tipi di collezionabili.
La capacità di trovare il punto di equilibrio a livello di ritmo non è però efficace sin da subito, con una prima sezione fin troppo interrotta da cutscenes, ma da lì in poi il senso di progressione delle meccaniche e dei verbi di gioco è molto vicino alla perfezione, soprattutto rispetto alla limitata durata di GYLT.
Pochi “sorvolabili” difetti
Rimanendo un altro po’ nel contesto degli aspetti meno riusciti del titolo, devo purtroppo riferirti di una UI un po’ troppo semplicistica, ma che fa quel che deve, e di un comparto narrativo che si ferma ad un passo dal punto di equilibrio fra natura oggettiva del racconto e chiarezza nell’interpretazione soggettiva di esso.
Sound design e soundtrack, quest’ultima a cura del Cris Velasco che forse avrai già involontariamente ascoltato nelle colonne sonore di Mass Effect 2 e 3, i vari God of War pre-reboot, Darksiders III e Resident Evil 7, sono di buon livello, anche se la mancanza di melodie memorabili è qualcosa che è davvero difficile da digerire, qui come in altri titoli di valore.
GYLT ha insomma nella sua coerenza interna un grosso merito che, non per forza legato ad un senso di innovazione (qui completamente assente), funge da stabile pilastro attorno al quale Tequila ci fa vivere, nella breve durata del titolo, fra il leggero senso di sofferenza, dettato da meccaniche già viste e un mood che prende tanto a piene mani da altri titoli nel genere di riferimento, e una sensazione di pace, questa invece frutto di un prodotto videoludico che fa poco ma lo fa bene e… coerentemente.
Anche riguardandolo in funzione della recensione Stadia fatta da Matteo qualche tempo fa, GYLT è in toto un compromesso che riesce, ingaggia e diverte, ed è giusto che il voto qui sotto, per quanto mera sintesi delle 1187 prima di esso, premi GYLT per essere riuscito a settare un limite ludico raggiungibile e, inevitabilmente, per averlo raggiunto.
Quanti altri giochi possono dire altrettanto?
Coerenza e pulizia sono al centro dell'esperienza
Pro
- Mood comprensibile da subito
- Monster design (relativamente) interessante
- Gli elementi "metroidvania" sono pochi ma ben distribuiti
- Il senso di progressione è molto piacevole
Contro
- Diverse (forse troppe) interruzioni al gameplay
- Poche ambientazioni diverse
- IA praticamente assente