God of War: Ragnarok – Recensione

Recensito su PlayStation 5

Il mio amore per la figura di Kratos e per il brand God of War è più radicato di quanto pensassi. Con le mie quasi quaranta primavere sulle spalle ho vissuto la nascita, l’inevitabile consacrazione e il potenziale declino di un’opera che, sin dai suoi primissimi istanti di vita, ha dimostrato di avere un qualcosa in più, quella proverbiale scintilla che appartiene solo ai “giganti” la cui luce non ha mai smesso di brillare. Proprio per i motivi sopracitati sono particolarmente legato, e me ne sono accorto ancora di più durante questo incredibile viaggio, al lavoro di restyling di Cory Barlog e di Santa Monica Studio, iniziato ormai quasi cinque anni fa e sublimato con l’arrivo di God of War: Ragnarok, che ha di fatto compiuto lo step finale per quella che è stata non soltanto la rinascita, ma anche una nuova consacrazione per quello che è e rimane a tutti gli effetti un pilastro del settore. Mi sono chiesto in continuazione, durante le oltre quaranta ore di gioco che ho passato in compagnia di Kratos, Atreus e di tutti gli altri membri di un supporting cast sempre più ampio e invidiabile, come seguire gli eventi, come vivere la vita dei protagonisti, imbrigliati in quello che a tutti gli effetti sembra essere un destino ineluttabile e ineffabile, trovando risposta soltanto nel mio stesso cuore.

god of war: ragnarok

Mi sono risposto, più volte, che God of War: Ragnarok non riesce semplicemente a chiudere alla perfezione il nuovo ciclo narrativo imbastito con il reboot della serie, ma soprattutto riesce a rendere ogni singolo momento tanto infinito quanto indimenticabile, tanto da farmi comprendere che, in realtà, non volevo avvicinarmi mai veramente all’inevitabile resa dei conti, lasciandomi cullare – metaforicamente – dalle braccia forti di un protagonista sempre più consapevole del suo status leggendario. E, per evitare fraintendimenti, lo dico subito: God of War: Ragnarok non rivoluziona niente, non vuole stravolgere nulla e nemmeno ci prova, ma nel suo essere “semplicemente” la naturale evoluzione del GOTY del 2018 riesce a consacrarsi in maniera inequivocabile come uno dei prodotti più importanti della nostra generazione. Un’incredibile avventura da tramandare ai posteri e soprattutto un solenne canto d’amore per chi, come me, è cresciuto con il mito del Fantasma di Sparta nel cuore.

Il Valhalla ci aspetta

Durante le scorse settimane, dopo le primissime ore di gioco, vi ho raccontato il mio primissimo impatto con la produzione: un impatto molto positivo, ma comunque per certi versi diverso rispetto a quello del suo predecessore. Al netto della violenza narrativa e dell’oscurità dei temi trattati, God of War: Ragnarok compie una scelta stilistica ben precisa e diversa rispetto a quella che potrebbe essere l’idea massiva di chi si approccia alla nuova avventura, i cui ritmi sono gestiti in maniera completamente diversa, soprattutto nelle fasi iniziali e finali del lunghissimo viaggio. Il Ragnarok c’è, è dietro l’angolo, ma si annida sullo sfondo in maniera paziente, come un tarlo che lentamente divora la sua preda rimanendo invisibile agli occhi dei più. Un pericolo costante a cui si vuole però trovare una soluzione con ritmi, spazi e soprattutto modi decisamente diversi da quelli più convenzionali. Perché sì, l’obbiettivo del viaggio rimane quello di sventare la temibile fine del mondo, ma il fulcro di tutto è soprattutto legato all’aspetto umano ed etico dei suoi protagonisti, gettati a capofitto in un contesto che volutamente azzanna senza pietà il corpo quasi senza vita della speranza, lasciando ai più ottimisti soltanto poche briciole. E così, superata una fase iniziale volutamente più introspettiva, in cui i tasselli del mosaico devono per forza di cose essere ritrovati per poter poi iniziare l’opera di assemblaggio, mi sono ritrovato immerso in un’avventura tanto profonda quanto complessa, che nel suo essere fieramente “semplice” ha avuto il grande merito di rapirmi come non mi capitava da diverso tempo.

God of War: Ragnarok

God of War: Ragnarok vuole accompagnare il giocatore alla resa dei conti in maniera più intima possibile, facendogli, in primis, comprendere il motivo e il valore della scelta di abbracciare o meno i dettami di un conflitto inevitabile, scritto e forgiato in un destino che, per quanto ineluttabile, può comunque essere riscritto dalle sapienti mani dei più forti. Durante il viaggio, lunghissimo, per certi versi estenuante, ho provato tutte le sensazioni possibili: amore, rancore, rabbia ma anche tanto dolore, perfettamente incastonati in un puzzle narrativo che col passare delle ore ha iniziato ad assumere connotati sempre più precisi, assumendo via via quelle sembianze che, proprio come scritto nel fato dei protagonisti, era appunto destinato ad avere. Del resto la mitologia norrena, anima e cuore dell’intelaiatura narrativa di questa splendida creatura, ben si sposa con la fatalità e l’inesorabilità della vita. Ed è proprio questa convinzione che accompagna un po’ tutto il viaggio, i cui protagonisti sembrano costantemente legati da un filo invisibile e incredibilmente fragile, che fa da instabile ponte tra un passato – spesso doloroso e fatto di perdite, rimpianti e rancore – e un futuro apparentemente ancor più minaccioso, ma su cui timidamente si affaccia un barlume di speranza. No, God of War: Ragnarok probabilmente non è quell’ode alla battaglia che potrebbe sembrare, non è il frastuono del corno da guerra di chi vuole raggiungere con velocità e spettacolarità il tanto agognato Valhalla, ma è una lunga cavalcata, più intima, meno “appariscente” di quanto si potrebbe immaginare, ed è proprio per questo motivo che non ha mai smesso di emozionarmi, dal primo all’ultimo minuto.

Il fantasma, il gigante, la testa e la strega dei boschi

God of War: Ragnarok è anche un forte messaggio sociale. L’opera di Cory Barlog si pone volutamente come un recipiente di emozioni, quelle emozioni che muovono i suoi protagonisti, incastonati in un percorso di crescita morale e personale – ma non soltanto – che lentamente si fa sempre più evidente e volutamente centrale. Mi piace associare, metaforicamente, il nuovo titolo di Santa Monica Studio all’evoluzione e alla “gestione” della vita stessa, fatta da di cadute rovinose e altrettanto ardue risalite, di rimpianti, di paure e di dolore, ma anche di gioie, che nel loro risultare in tremendo svantaggio numerico assumono un sapore ancor più meraviglioso. In questo contesto, per via anche di un background narrativo ben preciso, è chiaro che a finire subito sotto la lente d’ingrandimento è proprio Kratos, il protagonista storico del brand, la cui crescita morale, umana e genitoriale mi ha letteralmente commosso ed emozionato per tutta la durata della storia.

Del resto, e non poteva essere altrimenti, il percorso evolutivo di Kratos è un tema importante per tutto l’arco del racconto. Lo si capisce dalle primissime battute e lo si comprende in maniera più intensa con il passare delle ore. L’uomo che si è fatto strada a suon di morte, distruzione e sangue, tanto da meritarsi la scomoda e allo stesso tempo spaventosa nomea di sterminatore di Dei, è ora “costretto” a combattere una doppia battaglia contro non soltanto l’imminente catastrofe, ma anche lo spettro di una battaglia ancor più difficile da portare a termine: l’essere un buon genitore. È proprio questo il filone tematico che ho avuto maggiormente a cuore: mi sono soffermato parecchio sulla sua evoluzione come padre, un aspetto che Santa Monica Studio ha volutamente posto sull’altare principale della narrazione di God of War: Ragnarok e che, immagino, in molti apprezzeranno. Certo, io sono molto sensibile sull’argomento, dato anche il difficile rapporto avuto con il mio defunto padre, ma ho trovato veramente emozionante la crescita e la consolidazione sempre più profonda del rapporto tra Kratos e Atreus, il cui legame diventa, col passare delle ore, più complesso ma sempre indistruttibile, grazie soprattutto proprio alla grande evoluzione compiuta dal fu Fantasma di Sparta, sempre più padre e meno distruttore di Dei.

God of War: Ragnarok

Questo lungo percorso di crescita, però, richiede una forte collaborazione, che Kratos ha trovato attiva e accesa anche nell’animo di Atreus, i cui – doverosi e comprensibili – dubbi esistenziali hanno lentamente lasciato spazio a una consapevolezza e una crescita morale impensabili soltanto qualche anno fa. Atreus, nel comprendere le origini del suo altro nome, quel pesantissimo e incomprensibile “Loki”, è finalmente diventato un uomo, smettendo in maniera comprensibilmente lenta i panni del giovane e indifeso bambino che abbiamo conosciuto quattro anni fa, pur comunque conservando intatta quella sensazione di innocenza propria di chi è cresciuto con un padre tanto autoritario, che ha volutamente cercato di tenere, sbagliando, il proprio figlio in una teca di cristallo che però, lentamente, ha iniziato a sgretolarsi su se stessa. Per quanto rimangano alcuni “colpi di testa” figli del suo essere, fondamentalmente, ancora un bambino, ho apprezzato tantissimo il percorso fatto da Atreus, che è passato dall’essere uno dei personaggi che più non sopportavo del nuovo arco narrativo al diventare uno dei miei preferiti, soprattutto nella qualità di alcune scelte compiute che ho trovato molto in linea con quello che è il mio concetto di crescita ideale.

God of War: Ragnarok, però, non è solo la storia di Kratos e Atreus, anzi. Il sequel del capolavoro del 2018 è ancor più capolavoro oggi, con un capitolo che allontana l’immaginario zoom narrativo, posto giustamente sui due in passato, per inserire nel quadro panoramico della storia più tasselli, diventati sempre meno comprimari e più centrali di quanto si possa immaginare. Ne sono un esempio lampante Brok e Sindri, i due splendidi fratelli il cui legame viene esplorato in maniera molto più intima e profonda durante tutta l’avventura, ma anche Freya, passata dall’essere alleata a nemica, per poi tornare “nel team” in modi che però non voglio assolutamente anticiparvi. Dolce e spietata allo stesso tempo, madre, sorella, moglie tradita, regina: la splendida guerriera dai capelli bronzei rispecchia alla perfezione ognuno di questi aggettivi, fino a diventare narrativamete parlando uno dei personaggi più potenti della storia, al culmine di un percorso evolutivo tanto ricco e complesso quanto splendidamente autentico. Un’altra cosa che mi ha colpito non poco è la qualità con cui sono stati inseriti “i nuovi” volti in una struttura narrativa che come abbiamo visto si basa fortemente sull’evoluzione dei volti noti in cui, oggettivamente, poteva essere complicato far amalgamare per bene i nuovi arrivati. Invece no, perché partendo dallo stesso Tyr, fino al temibile Odino, passando per volti meno “famosi” quali Sif, Freyr, senza dimenticare il gigantesco e minaccioso Thor, ognuna di queste figure riveste un ruolo fondamentale nella storia, capace di risultare matura, complessa e sfaccettata dal primo all’ultimo istante.

Datemi un’ascia (e due lame, e una lancia) e solleverò un po’ di pietre

No, tranquilli, non mi sono dimenticato di uno degli aspetti più importanti della produzione, che poi è l’altro pilastro principale, per intenderci, su cui si basa la struttura di un prodotto simile: il gameplay. Voglio subito fugare ogni tipo di dubbio, in tal senso: è pura goduria concentrata, ma non senza qualche riserva. God of War: Ragnarok raccoglie appieno l’eredità del suo predecessore senza mai abbandonarla, anzi, e cerca – riuscendoci – di enfatizzare tutte le ottime cose imbastite quattro anni fa, perfezionandole a dovere e amplificandone in tal modo le già ovvie e indiscusse qualità.

Il nuovo lavoro di Santa Monica Studio è quindi ancora una volta un titolo in cui l’esplorazione si fonde al gusto inebriante della lotta che come vi ho già anticipato in fase di anteprima assume un ruolo se vogliamo ancor più centrale e focale, soprattutto considerando proprio il numero di battaglie che si susseguono sullo schermo. La frenesia, quella furente sensazione di potere inebriante che pervade il giocatore nel controllare un avatar che trasmette strapotere da ogni poro come Kratos, si unisce ancora una volta a quella vena più strategica, figlia della sfumatura ruolistica che la nuova formula di God of War porta con sé anche in questo capitolo, e lo fa come al solito in maniera splendida nella sua semplicità. Mi sono divertito da morire, ho apprezzato tantissimo le maggiori possibilità che God of War: Ragnarok mi ha offerto, soprattutto in termini di personalizzazione dell’equipaggiamento, con amuleti, cimeli e in generale tutti i potenziamenti disponibili per le varie armi che sono risultati molto numerosi, in grado di rendere l’utilizzo delle armi principali se vogliamo sempre diverso, in base alle scelte effettuate e soprattutto anche in base alla tipologia degli avversari incontrati. Vi parlavo, in fase di anteprima, di un “bestiario” molto ricco, cosa che confermo anche ora e che voglio ampliare con la necessità di dover trattare tutti i mostri con dinamiche ludiche diverse, che il gioco comunque mette nelle mani del giocatore sin da subito e con ritmi molto precisi.

God of War: Ragnarok

L’evoluzione del sistema di combattimento – al di là del discorso relativo alle armi che si ampliano con una nuova “bocca da fuoco” la cui identità però non voglio anticiparvi, e al modo in cui vanno “trattati” i vari nemici – l’ho avvertita principalmente nella gestione degli alleati, che ora risultano molto più “manuali” e personalizzabili rispetto al passato. Sia chiaro, in molti scontri il loro apporto alle battaglie è, per usare un termine gentile, “discutibile” ma ho apprezzato parecchio la scelta di renderli decisamente più importanti e centrali, sia nella personalizzazione che nella loro gestione.

Atreus, per fare un esempio, ha un albero delle abilità ben stratificato e ricco di possibilità, ma non è l’unico che può aiutare attivamente Kratos in battaglia, per quanto comunque non voglia farvi alcun tipo di spoiler in tal senso. Proprio tornando ad Atreus vi devo anticipare che, se state pensando che rispetto a Kratos sia più “brutto” da utilizzare, vi sbagliate di grosso. Anche io, nelle prime battute, proprio non ne volevo sapere di smettere i panni del Fantasma di Sparta per impersonare il suo giovane e inesperto figlio, ma ho dovuto ricredermi praticamente all’istante. Mi è piaciuto un sacco il cambio di ritmo massiccio che si percepisce impersonando il giovane Loki, che risulta ovviamente più veloce e scattante rispetto al padre ma allo stesso tempo incredibilmente potente negli attacchi. Ho trovato dunque le sezioni di gioco con Atreus veramente ben congegnate e, seppur il format generale rimanga quello con cui si vivono le gesta del padre, in cui il puzzle solving a volte anche complesso si unisce ai numerosi scontri armati, non ho potuto fare altro che lasciarmi trasportare da un gameplay che non vuole in alcun modo stravolgere quanto visto quattro anni fa e che nel portare avanti la sua opera di arricchimento del progetto centra appieno (o quasi) tutti i suoi obiettivi iniziali.

Sia ben chiaro, non tutto funziona a dovere, alcune scelte di design relative ad alcune boss fight non mi hanno convinto appieno e in generale ho trovato la curva di difficoltà in alcuni casi mal bilanciata, ma non posso negare il fatto che, nella valutazione complessiva, God of War: Ragnarok sia comunque da promuovere quasi a pieni voti, soprattutto grazie alla sua volontà di unire diverse tipologie di gameplay insieme, compiendo una difficile missione che nel complesso rende l’esperienza di gioco sempre appagante, tanto nelle missioni principali tanto nei favori e nelle attività collaterali.

Il fascino immortale dei nove regni (ma non di tutti)

Ho trovato questa commistione tra velocità e frenesia, mista alla necessità di padroneggiare anche l’aspetto ruolistico della produzione, in God of War: Ragnarok gestita molto meglio rispetto al passato. Cosa che, unita a una qualità nella scrittura a dir poco sublime, ha reso sempre più irresistibile la voglia di continuare a combattere e di farmi trasportare dagli incarichi accessori. Ho amato parecchio il modo in cui questi ultimi sono stati inseriti nel gioco, trovandoli talmente “naturali” nel loro essere incastonati nella storia principale da risultare, per certi versi, ben più interessanti delle stesse missioni principali. God of War: Ragnarok ci ha fatto circumnavigare, seppur con proporzioni diverse, tutti i nove regni, ognuno di essi “vivo” e pulsante e a suo modo importante nella gestione e nell’avanzamento generale dell’iconografia del gioco, sul piano sia narrativo sia ludico. God of War: Ragnarok vuole in qualche modo essere una super resa dei conti, sotto diversi aspetti, cosa che si traduce in una quantità importante di attività secondarie, che fanno sia da naturale continuazione del comparto tematico e narrativo sia da piacevolissimo extra in termini di gameplay. Durante la mia esperienza di gioco, nelle oltre quaranta ore impiegate per completare la campagna, ho fatto un buon numero di Favori e missioni extra, ma ho avuto la forte sensazione di avere ancora tantissimo da fare e da vedere, a testimonianza di una longevità decisamente – è il caso di dirlo – titanica. Al di là della quantità, ma come ho detto prima anche della qualità di tutto quello che c’è nell’offerta contenutistica di God of War: Ragnarok, è anche proprio la densità con cui i mondi accolgono il giocatore, chiamato a cercare di esplorare, nel migliore dei modi, mondi ricchi come non mai di cose da trovare, spesso e volentieri legati alla natura “metroidvania” del gioco, che necessita anche di un certo backtracking e tanto puzzle solving per poter godere di tutto ciò che viene nascosto anche in bella vista.

God of War: Ragnarok

Mai come questa volta, onestamente, ho amato “perdermi” per le strade di Vanheim o di Nifelheim, non così enormi in termini di dimensioni ma sempre generosissime in quanto a ricchezza, tanto narrativa quanto ludica, in un complesso agglomerato ludico difficile da non apprezzare, per quanto comunque fondamentalmente molto conservativo. Il piacere che ho provato nel vivere queste emozioni, che potrei anche definire per certi versi uniche, è dovuto anche alla qualità audiovisiva con cui il titolo è arrivato sul mercato, come al solito caratterizzata da una direzione artistica fuori scala e da un comparto tecnico di ottimo livello. Sia chiaro, considerando anche la sua natura cross-generazionale, God of War: Ragnarok non risulta certamente un prodotto clamoroso dal punto di vista tecnico o comunque rivoluzionario, ma ancora una volta, portando avanti il lavoro di continuità iniziato quattro anni fa, si pone su livelli certamente elevatissimi, soprattutto sotto il profilo della direzione artistica e del world building. God of War: Ragnarok non è un titolo che grida next-gen a pieni polmoni, ma è talmente bello da vedere e soprattutto da vivere che è impossibile non rimanerne stregati. I coloratissimi anfratti di Svalthalfehim, l’oscura costruzione di Mondo col Crogiolo, la bellezza cromatica di Asgard: ogni cosa, associata alle altre, dona alla produzione un gusto ancor più meravigliosamente dolce, per quanto, come dicevo prima, non tutti i mondi hanno comunque goduto di un’attenzione analoga, soprattutto sul piano dell’estensione, sia “fisica” sia videoludica. Per farvi capire: non dappertutto troverete un mare di cose da fare o da vedere, ma sarà comunque meraviglioso scovare quanto i nove regni possono offrire, tanto a livello di mondo di gioco e level design quanto sul piano della quantità delle cose da vedere, dei misteri da svelare, dei personaggi da ascoltare e comprendere e delle storie da vivere, sullo sfondo di un mondo di gioco talmente bello da mozzare il fiato.

God of War: Ragnarok

Ho lasciato volutamente per ultimo il “pippone” sull’aspetto più tecnico, quello dei numeri per intenderci, che però è molto importante, soprattutto per un prodotto in cui lo scontro è sempre dietro l’angolo. Ebbene, da questo punto di vista, God of War: Ragnarok non mi ha mai deluso, anzi. Su PlayStation 5, versione a cui ho giocato per la recensione, il titolo non ha mai faticato a tenere i 60FPS costanti, mostrando una stabilità importante anche in 4K. Ma la vera goduria l’ho provata sul monitor da gaming, in cui il frame-rate è letteralmente raddoppiato, unito a una risoluzione massima settata sui 1440p che, grazie anche alle dimensioni contenute del pannello (27pollici), ha evidenziato un impianto strutturale di primissimo livello, per quanto comunque non è mancato qualche bug occasionale.

Infine, lasciatemi spendere due parole sul doppiaggio italiano: che bravi! Ho trovato veramente ottima l’interpretazione, soprattutto quella di Kratos e di Freya, ma a sorprendermi è stato l’attore che ha dato voce a due volti nuovi quali Odino e Tyr, che mi sono sembrati subito perfettamente calati in ruoli delicati e affascinanti. Di grande fascino e solenne bellezza è anche la colonna sonora che accompagna il viaggio, un viaggio che faticherò sinceramente a dimenticare e che, grazie proprio alla volontà del gioco di “aprirsi” ancor di più una volta raggiunti i titoli di coda, continuerò a vivere, con la stessa felicità di quando ormai oltre venti anni fa ho incontrato Kratos per la prima volta.


 

God of War: Ragnarok è un viaggio unico, splendido, emozionante, per certi versi brutale ma che ogni appassionato dovrebbe compiere. La storia di Kratos e Atreus, pur lasciando aperta più di una porta, trova una sua dimensione “finale” nella maniera migliore possibile, e lo fa con il solito ritmo frenetico e una qualità narrativa imponente. Senza quella stessa vena “rivoluzionaria” del suo predecessore, il nuovo viaggio dei due protagonisti è comunque un fiume in piena, che ha letteralmente spazzato via ogni mio più recondito dubbio con la stessa forza con cui il Fantasma di Sparta ha provato a opporsi al suo fato per tutta l’avventura. E, onestamente, poco importa se sul piano ludico non ci sono stati scossoni o nuovi picchi creativi: God of War: Ragnarok funziona, convince e soprattutto emoziona, ed è bellissimo così com’è nella sua imperfezione che però, a conti fatti, è la descrizione perfetta del ciclo della vita, che di fatto rappresenta il cuore pulsante di una storia che difficilmente dimenticherò.

9.6

Pro

  • Storia appassionante
  • Missioni secondarie splendide e intriganti
  • Personaggi sempre più ricchi e sfaccettati
  • Gameplay assuefacente nella sua "semplicità"
  • Visivamente sempre clamoroso, soprattutto sotto il profilo del world building
  • Direzione artistica sontuosa

Contro

  • Manca quel guizzo geniale del capitolo del 2018
  • Poche novità rivoluzionare di gameplay
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