From Space – Recensione
From Space è un titolo sicuramente difficile da raccontare, per me, in modo imparziale. Per molti/e il senso di frustrazione è qualcosa di lontano dalla quotidianità (almeno quella di fronte a cui e in controllo della quale ci pone il videogioco) e io sono il primo, nel contesto di un genere che più sembra toccare tangenzialmente il concetto di inappagamento, quello dei Souls, a restituire quella mezza occhiataccia lessicale che solo le parole “non è difficile, è che devi capirne il linguaggio” sono in grado di esprimere… ma con From Space la vera e propria frustrazione – ossia il sentimento di chi ritiene che il proprio agire sia vano – si esprime, nasce, sublima e muore, tutto nel giro di pochissimi minuti.
Insomma, questa recensione, se avesse un titolo, si chiamerebbe “In quante lingue posso scrivere che non ci siamo nemmeno lontanamente?”
From Space è un action shooter con visuale dall’alto, giocabile sia in solitaria che in coop: la nostra missione, se decideremo di accettarla, è quella di rispondere a colpi d’arma da fuoco (‘mmmmerica) a un’invasione aliena. Finora nulla di nuovo, giusto? A un’analisi anche solo superficiale di quello che un buon twin-stick shooter dovrebbe essere, sicuramente possiamo riconoscere il pilastro offerto dalle due azioni principali che il giocatore/la giocatrice compie nell’affrontare il core loop di gioco, ossia, gergalmente, i verbi di gioco, che in un twin-stick shooter sono “muoversi” e “sparare”. From Space riesce a rendere tediosi anche queste sue azioni: se il movimento rispetta “la tradizione”, venendo assegnato cioè all’analogico sinistro, al destro non rimane che la mira e, te lo dico senza remore, sparare non è mai stato più noioso. I colpi non sembrano mai avere un effetto visivo evidente sui nemici, il feel delle armi è monotono (nei momenti migliori) e un elemento che aveva il potenziale di rendere il tutto un po’ più dinamico (se non fresco), il dash, è qui sfruttato in modo pessimo, privandolo di qualsivoglia finestra di immunità dai colpi dei nostri nemici.
È chiaro che non tutti i giochi possono (o vogliono) proporre qualcosa di nuovo e ci sono titoli che, onestamente, vogliono dimostrare di fare “una cosa” e di farla bene, ma è proprio in questo che From Space fallisce… ma andiamo avanti. Vogliamo parlare dei nemici? Ogni nuovo tipo di nemico, la prima volta che lo incontri, si presenta a te con una breve cutscene, qualcosa che sembra fare il verso a quanto fa Borderlands già dal primo titolo. Carina come idea, no? No, perché questa ti verrà riproposta ogni volta di nuovo, se morirai prima di poter arrivare al checkpoint post-cutscene. Il focus sui nemici è lungo e completamente non necessario, e anche la loro identità estetica (un viola fluo piuttosto uniforme) è pensata male, perché nella quasi totalità degli scontri non avremo una precisa idea di che tipo di nemico abbiamo davanti, cosa piuttosto essenziale quando, ad esempio, esiste un nemico base che tende ad avvicinarsi per sferrare colpi corpo a corpo e uno che invece salta come una rana impazzita e riesce a coprire la distanza che lo separa da voi con un solo salto… e tu non sai quale dei due hai davanti. Questo non permette a chi gioca di creare una (per quanto approssimata) strategia moment-to-moment, ed ecco che il sensore della frustrazione torna a suonare impazzito.
L’estetica di From Space, per il resto, più o meno c’è, ma è difficile togliermi la sensazione di un profondo contrasto di coerenza fra il tono estetico del gioco e quello narrativo, il primo cupo e simile all’Atlanta di The Walking Dead, il secondo caciarone, leggero e cartoonish. Alcuni elementi delle mappe stesse permettono una minima interazione e sono utilizzabili come “arma”, come la possibilità di far esplodere mezzi o simili, però il loro posizionamento e utilizzo è davvero spoglio di divertimento. La presenza di trappole e torrette porta un pelo più di freschezza allo stantio combat system, però è una ventata d’aria che dura davvero poco. Il vero minimo indispensabile è invece fatto dal comparto sonoro, con suoni ambientali praticamente stock, e musiche quasi mai coerenti nel passaggio fra uno stato di quiete e uno di folle scontro con gli alieni, tanto che ogni “tema” sembra sempre un po’ in ritardo rispetto a quello che succede sullo schermo.
A volte From Space ti garantisce un companion, ma, indovina indovina, è quasi peggio averlo che non averlo, perchè l’IA è a dir poco basilare, e il più delle volte è più un peso andare a curare l’alleato in mezzo al marasma di nemici nel quale si trova piuttosto che lasciarlo morire. Ma il più delle volte questa è una libertà che il gioco non ti concede, perché molti dei companion che dovremo accompagnare attraverso i livelli sono indispensbabili per la riuscita della missione.
Noi, di contro, potremo usare diversi avatar, aka diverse tipologie di soldato, passando ad esempio da un Assistente di Laboratorio più offensivo, a un Flame Trooper più tank e, nella teoria, c’è una buona varietà di armi, ma il gameplay non ti fa sentire per niente la differenza fra l’uno e l’altro personaggio o, peggio, tra l’una e l’altra arma. Ci sono in tutto sei tipi di operatori, ognuno con suoi specifichi perk e specifiche armi e, piacevole feature, se ne stai livellando uno li stai in realtà livellando tutti, aspetto positivo perché non ti costringe a utilizzare un singolo operatore per tutta la run.
Il coop è disponibile ma per qualche strana ragione solamente online, e a quanto pare funziona solo su inviti, non in matchmaking; la cosa strana è che anche in single-player il gioco si comporta come se fosse online, tanto che ad esempio non puoi mettere in pausa. Sì, in un altro gioco potrebbe non infastidire, ma qui è davvero, di nuovo, frustrante.
Ultima lamentela, ma essenziale perché sembra rispuntare in diversi titoli che dovrebbero essere “moderni”, è la gestione dei checkpoint. Mi spiego. In From Space salvi la partita solo se passi attraverso una zona sicura, piccole fortezze militari che sono poche e posizionate malissimo; questo significa che moltissime volte morirai all’ultimo step di una missione a più step e… ciaone, ti ritroverai all’inizio del livello. La cosa buffa e irritante è che il save point salva i tuoi “dati” come salute, munizioni, ecc, quindi se passi di lì con poca salute, e poi muori, tornerai lì con poca salute. Avevi un companion che stavi escortando quando sei passato? 99 su 100 devi tornare a prendertelo dove l’hai trovato originariamente, ma con la salute e le munizioni che avevi quando hai salvato. Wow. Solamente wow.
From Space è semplicemente un titolo insufficiente, su moltissimi aspetti: il tono estetico che non rispetta quello narrativo, i verbi di base di un twin-stick shooter che qui sono resi tediosi e semplicemente non divertenti, un sistema di checkpoint frustrante, dei companion utili quanto un sacchetto di coriandoli il 13 Luglio e, in generale, una totale non curanza di quelli che sono non solo gli stilemi del genere al quale appartiene, ma il buon senso nel design che ormai ci si deve aspettare dalla quasi totalità dei titoli in uscita in questa generazione.
From Space è semplicemente un titolo insufficiente su moltissimi aspetti
Pro
- Il level up dei personaggi è ben strutturato…
Contro
- … ma non si percepiscono troppe differenze tra un operatore e l’altro
- Il sistema di checkpoint è frustrante
- Persino il muoversi e il correre non riescono a divertire
- C’è una profonda incoerenza di base tra stile visivo e narrazione
Primo obrobrio dell’anno