Fist of the North Star: Lost Paradise – Recensione
Negli anni ’80 nasceva un manga destinato a diventare leggenda: Hokuto no Ken, arrivato in Italia come Ken il Guerriero, compariva per la prima volta tra le pagine di Shonen Jump, portando in auge la storia del maestro di arti marziali Kenshiro e della sua ricerca dell’amore perduto Yuria. Dopo più di trent’anni dalla pubblicazione, il talentuoso Ryu ga Gotoku Studio ha deciso di partecipare al progetto di rinascita del brand (che conta già serie tv e film) creando un videogioco sulla leggenda di Hokuto. Nasce così Fist of The Nort Star: Lost Paradise, esclusiva PlayStation 4 che reinterpreta il manga di Buronson e Tetsuo Hara sotto una diversa luce, progettandolo come fosse uno spin-off della serie Yakuza.
Il risultato è sorprendentemente fedele allo spirito dell’originale, pur sfruttando una sceneggiatura e struttura narrativa differente. In generale, il gioco è di pregevolissima fattura, con un mix vincente di rispetto per l’opera originale e spunti personali dello studio che ha voluto inserire del suo nella formula. Per mettere immediatamente la situazione in chiaro, Fist of the North Star: Lost Paradise è probabilmente il miglior tie-in mai realizzato sia per il brand di Ken, sia per il panorama anime in generale, questo grazie a delle ottime scelte di design e al coraggio di sviluppare un titolo non relegato nei soliti generi dei tie-in giapponesi (cioè musou o picchiaduro).
Fist of the North Star : Lost Paradise si colloca in una linea temporale differente rispetto al manga, partendo però dalla stessa base. Kenshiro viaggia per le terre apocalittiche alla ricerca dell’amata Yuria, fino a quando non incontra Shin, l’uomo che lo sconfisse sottraendogli la donna con la forza. Il gioco inizia proprio da questo iconico scontro, reso molto fedelmente alla controparte cartacea, per poi prendere la sua strada e concentrarsi sulla città di Eden, dove Yuria sembra essersi rifugiata. Durante le vicende di Lost Paradise compariranno tanti personaggi della serie, come i fratelli di Kenshiro, Rei, Airi, ecc. L’integrazione di tali figure perlopiù non è casuale, ma ben integrata con la sceneggiatura originale dell’opera. I personaggi mantengono fedelmente i loro caratteri e obbiettivi, ma il diverso contesto li porta a dover interagire in maniera diversa, senza però snaturarli. Gli unici lasciati un po’ in disparte sono i due giovani accompagnatori di Kenshiro, che in Lost Paradise son relegati a semplici npc interpellati solo per accedere a dei minigiochi e qualche piccola substory.
Detto questo, la sceneggiatura non è esattamente il punto forte del titolo. In generale è gradevole e ha passaggi interessanti, ma il pacing non è dei migliori, con alcuni capitoli estremamente lenti o persino evitabili. I personaggi originali aggiunti in Lost Paradise si comportano bene, ma non risultano particolarmente memorabili, sebbene uno in particolare cerchi in ogni modo di ricordare il personaggio di Tsuyoshi Nagumo, ottima spalla per Kiryu in Yakuza 6. A determinare la debolezza della sceneggiatura è anche un problema dovuto alla struttura del titolo: laddove Yakuza nasconde sezioni di gameplay poco ispirate dietro un’ottima regia e una trama avvincente, Lost Paradise non riesce a ottenere lo stesso risultato.
I video sono più che buoni, con un ottimo doppiaggio giapponese (a fronte di un pessimo doppiaggio inglese), ma son troppo rari fino a capitolo 7.
C’è però un settore, molto importante, in cui abbiamo trovato Fist of the North Star: Lost Paradise migliore di Yakuza: il sistema di combattimento. Senza i vincoli dati dalla sospensione dell’incredulità dovuti al setting realistico di Yakuza, Ryu ga Gotoku Studio ha potuto dare il suo meglio, rendendo alla perfezione la forza e crudeltà dello stile di Hokuto. Il gameplay di Fist of the North Star: Lost Paradise è una manna per tutti quei ragazzini cresciuti con Kenshiro, sognando di poter sconfiggere orde di nemici con l’Hokuto Shinken. Di questo sistema di combattimento si giovano particolarmente le battaglie contro nemici multipli: nelle famose “Long Fight” avremo decine di avversari da sterminare, dando la sensazione di potenza straordinaria di Ken, che si contrappone bene contro le boss fight maggiori che invece sapranno dare filo da torcere. Parlando di boss fight, il titolo presenta alcuni boss eccezionali, specialmente dal settimo capitolo. Ad accompagnare queste battaglie avremo delle coreografie pazzesche, che fan l’occhiolino ai fan di anime a manga, citando movenze o intere tavole.
Oltre al gameplay è promosso con buoni voti anche il mondo di gioco, ottimo per atmosfera grazie allo stile grafico e al design e pieno di cose da fare. Alcuni minigiochi sono più stratificati e sviluppati rispetto agli Yakuza, con il miglior “Colosseo” mai realizzato dallo studio, una benvenuta modalità racing (con un’auto utilizzabile anche in esplorazione) e delle chicche particolari nei videogiochi “riciclati”, che son stati adattati egregiamente al mondo post-apocalittico di Kenshiro. Migliorabile invece il sistema di power up e level up, che consiste in una sferografia abbastanza retrograda e molto limitata nelle sue possibilità.
Il comparto tecnico di Fist of the North Star: Lost Paradise è probabilmente il suo più grande tallone d’Achille. Il titolo non utilizza il Dragon Engine, dato che il team a lavoro sul gioco era inesperto col nuovo motore grafico, in favore di un engine più vecchio ma contemporaneamente più stabile, perlomeno ai tempi dell’uscita giapponese del gioco. Il risultato è altalenante. Per quanto lo stile grafico sia stato scelto e realizzato con molta cura, tecnicamente il gioco non è eccelso. Molte texture sono a bassa risoluzione ed è facilmente notabile in alcuni dettagli persino del protagonista, come ad esempio le cicatrici che porta sul petto. La varietà degli npc non è vasta, tanto che molto facilmente si possono incontrare spudorati doppioni, a differenza magari di ciò che succede negli Yakuza dove l’ampio numero di npc a schermo aiutava a ingannare l’occhio. Anche le animazioni, più che altro per quanto riguarda i già citati npc, non sono delle migliori, con alcune che a vedersi sono quasi ridicole. Le prestazioni del titolo invece sono buone, con un framerate stabile su PlayStation 4 Pro e caricamenti non istantanei ma comunque mai particolarmente prolissi. Buona la colonna sonora, con tracce adatte e talvolta epiche anche per attività secondarie quali le battaglie al colosseo.
Fist of the North Star: Lost Paradise è un ottimo titolo, prima che un eccellente tie-in. Prende i personaggi e i combattimenti dell’opera originale e li integra in un action game in stile Yakuza, scelta rivelatasi azzeccata. Un comparto tecnico non eccellente e una sceneggiatura non al livello dei precedenti titoli dello studio ne limitano il valore per un non fan della serie di Ken, ma il titolo rimane buono anche per chi non conosce l’opera di Tetsuo Hara. Per i fan, invece, Fist of the North Star: Lost Paradise è un acquisto obbligato, una lettera d’amore a Ken il Guerriero.
Pro
- Combat system ben realizzato
- Stile grafico azzeccato
- Alcune bossfight fantastiche
- Il miglior tie-in su Ken
Contro
- Tecnicamente non eccelso
- Sistema di level e power up retrogradi
- Pacing narrativo mal gestito