Final Fantasy Type-0
Un altro punto critico, per certi versi peggiore, è la difficoltà che si incontra nel distinguere le città esplorabili, soprattutto nelle fasi iniziali di gioco. Delle quattro nazioni, ci sarà permesso visitare prevalentemente le città che, grazie al successo della nostra campagna, ritornano nelle mani di Rubrum. E proprio per via della disposizione a quattro nazioni di Oriens, la liberazione di ogni città legittima, nel gioco, una modularità a tratti imbarazzante delle aree esplorabili, una ripetizione degli stessi elementi, l’uso della stessa palette di colori, delle stesse texture. In altre parole, vedremo le stesse pareti, le stesse finestre, le stesse persone in ogni città tornata sotto la custodia di Rubrum. Non rimane nulla del sentimento bizzarro ed esotico sperimentabile nei j-rpg tradizionali, quella particolare caratteristica che consente al giocatore di farsi sorprendere e di mantenere alta l’attenzione rivolta verso il prossimo, inesplorato centro abitato. Le città di Rubrum sono città morte; vuote sono le costruzioni identiche le une alle altre che circondano piazze dove non crescono erbacce né palmizi, e la banale struttura rigorosamente perpendicolare d’ognuna d’esse non fa che alimentare un senso di desolazione per certi versi addirittura irritante. Non si sa in che misura la precedente natura mobile del progetto possa avere influito su un aspetto così vistoso, ma è indiscutibile che un gioco che occupa ben due UMD potesse offrire qualcosa in più. Per buona parte dell’avventura, di fatto, forse l’unica vera e propria locazione pienamente sviluppata sarà proprio il peristilio di Suzaku, nostro quartier generale e accademia di magia, da dove partiremo all’inizio di ogni operazione militare e nella quale rientreremo per proseguire i nostri studi, viaggi individuali e allenamenti al termine di ognuna di esse.
Detto questo, è tuttavia innegabile come Final Fantasy Type 0 riesca comunque a non scadere mai nella mediocrità e a restare una produzione di alto livello a tutti gli effetti, grazie anche e soprattutto all’energia della sua storia e dal ritorno, mai così tanto atteso e insieme così assolutamente riuscito, di uno degli elementi che in passato hanno fatto la fortuna della serie e che ne è stato a lungo tempo uno dei suoi elementi cardine: la mappa del mondo liberamente esplorabile.
È difficile riportare l’emozione che si prova la prima volta che, un po’ titubanti, si esce dal cancello di Suzaku e ci si incammina verso le terre che si stagliano di fronte a noi. Mentre la visuale si posiziona a volo d’uccello sopra il nostro personaggio, e il paesaggio percepibile si estende di conseguenza, un arrangiamento dell’intramontabile Tema dei Chocobo ci proietta indietro nel tempo, proprio là dove i capitoli per la prima console di casa Sony ci avevano lasciato: la sensazione è che tutto sia stato sistemato meticolosamente nel posto giusto. Ma è un’istantanea che non lascia spazio, fortunatamente, a soli ricordi: all’improvviso, e sorprendentemente, il cielo si oscura e una lieve pioggia comincia a cadere sul nostro alter ego virtuale. Un dettaglio pressoché insignificante nell’economia di gioco, ma che regala fino al termine della nostra avventura uno spessore visivo dall’impatto innegabile (al contrario, seppur presente, l’alternarsi tra il giorno e la notte non avviene in tempo reale ma nella perlustrazione di predeterminate regioni della mappa stessa). La mappa, però, è anche l’unica area del gioco in cui incapperemo nello spauracchio di molti detrattori del genere: gli incontri casuali. Final Fantasy Type 0 si presenta infatti come una sorta di ibrido tra la vecchia guardia di giochi di ruolo nipponici, dove si veniva catapultati di sorpresa nel bel mezzo di una battaglia, e la recente corrente di titoli in cui il nemico è ben visibile nel piano di gioco ben prima che possa ingaggiare uno scontro col giocatore. E, se durante le nostre manovre militari avremo a che fare con una struttura che ricorda da vicino un action game, con avversari umani e macchine ostili che si presentano in ogni schermata di gioco in numero più o meno elevato e che, una volta sconfitti, lasceranno sgombra la zona, nella mappa di gioco non sarà insolito incontrarsi faccia a faccia con temibili mostri erranti dalla forza smisurata (e vi rincorreranno, scappate!) così come venire coinvolti nei random encounters. Una precisazione, a ogni buon conto, è d’obbligo: la loro frequenza è settata verso un numero così drasticamente basso di occorrenze tanto da non impensierire nemmeno il più irritabile dei giocatori.
Il sistema di battaglia presente in Type 0 è una diretta evoluzione del Super High Speed ATB (Active Time Battle system) già visto in Final Fantasy VII: Crisis Core, voluto dal game director Hajime Tabata per entrambi i giochi. A differenza di quello presente in CC, dove era mantenuta una struttura mediante un menù a cascata più o meno snello per selezionare attacchi e incantesimi, in Type 0 abbiamo modo di settare tutta una serie di parametri pre-battaglia (tra cui figurano armi equipaggiabili, attacchi eseguibili, incantesimi, specialità) che verranno poi controllate a tutti gli effetti in tempo reale dal giocatore sul piano di battaglia. Ciò significa che la sola forza acquisita dai nostri personaggi grazie a punti esperienza e sviluppo delle proprie abilità non sarà sufficiente per ottenere la vittoria: grazie alla sua natura di gioco, improntata più all’azione che alla strategia, avrà non meno peso la nostra destrezza nell’evitare colpi diretti verso di noi, il tempismo con il quale attivare gli incantesimi di cura e di protezione, o ancora l’abilità nell’utilizzare il piano di gioco per aggirare i nostri avversari e sfruttarne i punti deboli a nostro vantaggio. Il gioco, in questo senso, consiglia sempre un livello ottimale con il quale presentarsi in spedizione: starà a noi decidere se raggiungerlo prima di accettare di compiere l’impresa o scommettere sulla sua riuscita con una capacità offensiva inferiore. È chiaro però che, rimanendo un gioco di ruolo a tutti gli effetti, il livellamento della propria squadra mantiene un’importanza fondamentale: mettersi alla prova con una missione particolarmente ostica senza un livello minimo necessario è alla prova dei fatti un suicidio garantito.
Tipico del genere, sebbene ben dissimulato, il gioco basa la sua struttura sulla ripetizione dello stesso schema fino al suo epilogo. Partiremo e torneremo sempre dal peristilio di Suzaku, in cui avranno luogo i briefing della prossima missione, l’espansione della nostra scuderia di chocobo (nessuno si preoccupi, però: lontani anni luce dall’arbitrarietà sperimentata nel settimo capitolo, l’allevamento dei pennuti si rivela quanto mai semplice e intuitivo), la nostra noiosa vita scolastica e, cosa più rilevante di tutte, le nostre uscite individuali per Oriens. Tutte queste attività sono però contenute in un lasso di tempo determinato che ci viene misurato in ore interne al mondo di gioco. Il tempo a nostra disposizione crescerà, dalle limitatissime dodici ore iniziali, man mano che la nostra avventura si avvicinerà alla sua conclusione. Questo comporta che dovremo sempre decidere come impiegare il tempo passato nell’accademia, scegliere cioè se attaccare bottone con alcune persone che sembrano volersi sfogare proprio con noi, perdendo così ben due ore (seppur verremo spesso ringraziati con un oggetto di cortesia), o decidere di uscire dal peristilio alla ricerca di sfide non dettate dalla trama principale consumando, anche raggiungendo la parte opposta del pianeta, solamente sei ore.
Da questo punto di vista, dobbiamo ammettere come l’effettiva anima di Final Fantasy type 0 non si possa che riassumere con una sola parola: grind. Tutto, infatti, può e deve essere potenziato, livellato. E questo può far sorgere una complicazione quando si ha a che fare con quattordici personaggi, ognuno con le sue armi, le sua abilità, e soprattutto tutti ugualmente necessari. Sbagliano coloro che pensano di poter formare un party ristretto e disinteressarsi degli altri compagni di classe. Controlleremo solamente tre personaggi in battaglia, questo sì, ma saremo sempre al comando di tutta la classe 0. Infatti, non è raro finire fuori combattimento agli inizi del gioco (anzi, si muore spesso!), ed essere rimpiazzati da qualcuno di cui ci eravamo persino dimenticati il nome. Indifesi e incapaci, ci si accorge che trascurare il fatto di avere il controllo di un’intera squadra di giovani soldati piuttosto che un semplice trio di eroi si rivela del tutto fallimentare. Inoltre, aggiungendo a questo ventaglio di caratteristiche potenziabili anche i diversi attributi delle divinità guerriere, come sono chiamate le evocazioni nella versione giapponese del gioco, si capisce che il risultato più chiaro di questa totale presenza di parametri è un invito al turismo planetario diretto verso luoghi sempre più impervi alla ricerca di avversari sempre più coriacei.
Ma la cosa più interessante è che tutto questo non verrà, praticamente, che solo assaggiato di sfuggita al completamento della prima partita. L’unico vero modo per conoscere a fondo la trama di gioco, e vedere la maggior parte di quanto hanno da offrire i due UMD non consiste nel tentare, in qualche modo, di vedere e fare il più possibile sin da subito, ma nell’affrontare il gioco, mantenendo salvataggi, potenziamenti, livelli e via dicendo, una seconda e volta in maniera più calibrata e tranquilla (e questo spiega anche la recensione leggermente tardiva). I più avventurosi, che faranno emergere le fondamenta di gioco con la loro caparbietà, verranno infatti premiati non solo con risvolti di trama nascosti inizialmente, ma anche con un vero e proprio secondo finale.
Ciò non stona con la natura portatile del titolo: così come Monster Hunter o Metal Gear Peace Walker, le missioni di gioco possono essere affrontate più volte per ottenere oggetti ed esperienza; anche qui ogni missione può essere affrontata nell’inedita modalità mulltyplayer e, una volta affrontata e conclusa una di esse nella campagna principale, questa sarà resa disponibile nella Mission List accessibile dal menù principale.
Una delle incognite più grandi che ha fatto discutere i più è proprio la possibilità di condividere con un amico le proprie imprese militari. A questo proposito, meglio dire fin da subito quale risultato si è ottenuto: il multiplayer di Final Fantasy Type 0 è ingenuo e intrigante allo stesso tempo. Ingenuo perché, una volta connessi in locale, i giocatori avranno a disposizione soltanto 3 minuti di tempo (estendibili grazie al soddisfacimento di certe condizioni o performance di buon livello) per condividere glorie e dolori della missione in corso. Inoltre l’host manterrà due dei suoi tre personaggi, mentre l’invitato alla partita dovrà scegliere un personaggio qualsiasi e, cosa un po’ curiosa, verrà rappresentato sullo schermo dal suo solito modello poligonale ma tinteggiato di nero per l’occasione. Intrigante, perché aiutare o farsi aiutare in missioni dalla difficoltà davvero elevata è davvero appagante, soprattutto considerando la scarsa intelligenza artificiale che sono soliti avere i compagni controllati dalla cpu: le strategie che si possono mettere in atto sono numerosissime e certamente variegate, sebbene la loro efficacia strategica tenda a esaurirsi all’aumentare della forza dei nostri personaggi.
Per di più, la modalità a due giocatori permette di guadagnare SPP, punti spendibili sia nella modalità stessa per poter acquistare oggetti e potenziamenti nel momento in cui ci si unisce a una partita in corso di un altro giocatore, sia per soddisfare richieste o missioni secondarie nella modalità principale.
Infine, tra una missione e l’altra, Type 0 ci fa divertire con una sorta di rudimentale RTS sulla world map: tra gli obiettivi presenti, avremo modo di conquistare o difendere le città di Rubrum, avanzare con la nostra nave aerea da combattimento o più semplicemente difenderci da truppe di mech con i più agguerriti dei nostri chocobo. Questa modalità, esclusivamente single player, si rivela niente più che un passatempo per facilità nella riuscita e semplicità della sua realizzazione in cui avanzare nella riconquista delle terre Rubrum.
Poco da dire, invece, a riguardo del comparto tecnico. Un’occhiata agli screenshot che per mesi hanno affollato internet è rivelatrice. Il livello grafico raggiunto è, con qualche miglioria qua e là, quanto Square-Enix ci ha già mostrato nel recente passato con The 3rd Birthday: Final Fantasy Type 0, infatti, non segna di certo un nuovo metro di paragone per l’esausta console di Sony, ma segna anzi, forse, un punto di arrivo non più superabile per il developer nipponico. Detto questo, stiamo comunque parlando di un lavoro grafico indubbiamente eccellente. I modelli poligonali dei protagonisti sono ricchi di dettagli, animati in maniera competente e carismatica (anche se i più attenti noteranno una certa legnosità di fondo nel passaggio tra alcune animazioni), le (poche) ambientazioni sono minuziosamente progettate con finezze che premiano l’osservazione incuriosita del giocatore e, a parte alcuni infelici scelte artistiche (una su tutte, la schermata che segna il passaggio alla modalità battaglia è forse la più brutta sin’ora apparsa nella serie) la coerenza architettonica e artistica generale dell’ultima fatica di Square-Enix è lampante e se non altro ammirevole.
Certi giochi sono molto facili da spiegare, per convenzione o magari per posa stilistica, ma quasi impossibili da giudicare tanto è vaporoso il loro target di riferimento, tanto è mal definita la loro inflessione verso un particolare genere di appartenenza e, in qualche modo, caratterizzati per una struttura a tratti fuori dal comune. Uno di questi è probabilmente Final Fantasy Type 0. Gli aggettivi che si possono usare: avvincente, difficile, duraturo ma anche ripetitivo, disomogeneo, artificioso, servono solo ad avvicinarsi all’esperienza offerta a chi si lascerà accompagnare da un gioco che, a sole parole, è molto difficilmente afferrabile. Gli appassionati si faranno rapire dalla brillante bellezza della sua storia e dalla straordinaria quantità di mete che il gioco pone strada facendo. Per tutti gli altri, invece, l’invito è di non etichettare Type 0 come il solito, sterile e frustante gioco di ruolo nipponico testardamente ancorato alla tradizione. Arruolarsi per la salvezza di Oriens potrebbe, inaspettatamente, fruttare una ricompensa ben più grande delle proprie aspettative.