Final Fantasy: The 4 Heroes of Light – Recensione Final Fantasy: The 4 Heroes of Light
La Square Enix oramai col logo e col nome di Final Fantasy ha iniziato a sfornare prodotti di ogni tipo: l’ultimo esempio più classico, ma anche il più ricordato, è sicuramente quello del Crystal Chronicles, serie di stampo Action-RPG sviluppata su console Nintendo, partendo dal GameCube fino al Wii e il DS, creando anche diverse versioni a seconda dell’hardware su cui veniva pubblicato il titolo. Di vicino alla saga restava l’ambientazione, lo stile della narrazione, il riuscire a toccare alcuni punti salienti dei sentimenti umani, e tutto ciò si ritrova anche in Final Fantasy The 4 Heroes of Light, ennesimo prodotto Square Enix che si distacca dalla saga madre e offre un aspetto diverso rispetto a tutto ciò che siamo stati abituati a vedere in questa generazione videoludica.
Gli eroi del cristallo. Di nuovo.
Le vicende di Final Fantasy: The 4 Heroes of Light ci pongono dinanzi ad un dramma comune che investe i nostri quattro protagonisti principali: il loro villaggio è stato colpito da una maledizione, e tutti gli abitanti, compresi i cari dei nostri personaggi, sono stati pietrificati. Per risolvere la situazione c’è bisogno di coraggio e caparbietà, ed ecco che il nostro eroe, col quale inizieremo l’avventura in stile prettamente Nintendo alzandoci dal letto e salutando nostra madre, dovrà unirsi alla principessa del suo regno, la rispettiva guardia del corpo, e un soldato specializzato in magia nera che era in viaggio per debellare il potere di una malvagia strega che era locata poco a più a nord del castello. Le loro storie si divideranno più volte a causa degli atteggiamenti non sempre condivisi dai membri del gruppo, e spesso ci ritroveremo con party composti da soltanto due dei membri o magari da combattenti provvisori, che potremo reclutare in determinati posti e che avranno comunque la loro importanza nella storia: possibile in alcuni punti che ci ritroveremo anche a guidare degli animali, in particolar modo dei gatti, che in principio erano umani colpiti da maledizioni.
La trama viene narrata in maniera abbastanza facile ma con poca linearità, che di certo non può creare danni, a volte però, proprio a causa della divisione che avverrà all’interno del party originario, ci troveremo a dover tornare indietro nel tempo, compiere dei flashback e capire perché tutto ciò accade; insomma, nulla è lasciato al caso e ogni situazione saliente ha una spiegazione insita nella sceneggiatura, e starà a voi viverla in prima persona. Alla fine, se proprio vogliamo trovare dei difetti, possiamo recarci subito al fulcro della nostra avventura: il male dovrà essere debellato con la forza del cristallo, riprendendo in pieno quel che accadeva nei primi Final Fantasy, i classici, dove i Cavalieri del Cristallo si impegnavano per il bene nel mondo.
Un classico, per favore
La nostra storia si distacca completamente dalle ultime comparse della saga di Final Fantasy: scordate lo sci-fi di Final Fantasy XIII, la tecnologica medievalità di Final Fantasy XII o l’unione con universi paralleli di Final Fantasy IX; qui è tutto classico, con castelli, spade e scudi, magia nera e magia bianca; non ci sono tecnologie strane, e le uniche cose che possono sembrarvi trascendentali saranno le numerose maledizioni che troverete disseminate per la strada che porta alla vostra vittoria. Gli incontri, le battaglie, saranno tutte casuali, quindi non saranno visibili i vostri avversari sullo schermo, se non per alcuni boss che vi ostacolano la strada. Una volta incontrato l’avversario verrete trasportati, come nel più classico dei classici, in un ring da battaglia dove assisteremo ad un sistema di combattimento inusuale.
Tutto girerà intorno alle nostre sfere AP, per l’appunto sfere che ci gestiranno le azioni: sono cinque, non modificabili, e ogni vostra azione costa un tot di queste. Lanciare una magia può arrivare a farvene spendere due, mentre attaccare ve ne porterà via soltanto una. Ovviamente ad ogni turno terminato ne recupererete una per permettervi di non rimanere mai senza, nel caso del bisogno, poi, rimane sempre l’opzione Boost, che vi permetterà di saltare un turno ma recuperare il doppio degli AP rispetto al normale, così da gestire meglio la vostra strategia. Oltre all’attacco, i vostri personaggi potranno gestire un numero limitato di abilità: ce ne sono alcune che vengono apprese di base dalla classe che si indossa, che analizzeremo successivamente, mentre altre dovranno essere equipaggiate tramite dei libri di magia. Ogni libro di magia occupa uno spazio nel vostro inventario e ognuno dei personaggi, calcolando che l’equipaggiamento arriva ad occupare quattro spazi, avrà la possibilità di gestire solo 13 abilità. Ovviamente anche utilizzare gli oggetti costerà una sfera di AP. Non sarà possibile, rendendo la situazione un po’ più casuale ma anche avvincente, selezionare l’obiettivo della vostra azione: l’attacco verrà indirizzato a chi la IA riterrà più opportuno, e anche l’azione di Cura verrà indirizzata a chi la IA riterrà più a rischio tra i vostri compagni di party.
Ognuno dei personaggi, dopo aver incontrato il primo cristallo, verrà a conoscenza dell’esistenza delle Crown, che permettono di cambiare e gestire le proprie classi: ne esistono 28; ognuna offre una variante diversa, e dovranno essere conquistate andando avanti nella storia. Ad ogni evento, infatti, sbloccherete alcune classi partendo dalla base e passando dal mago nero, al mago bianco, al ladro, al bardo e così via; ognuna di essa vi metterà un copricapo, appunto una Corona, e vi farà ricordare in quel momento che classe equipaggiate. Saranno intercambiabili in qualsiasi momento. Ognuna di essa, ovviamente, ci darà la possibilità di gestire al meglio le nostre abilità: il mago nero potrà usare magie dimezzando il consumo di AP, stessa cosa per il mago bianco con le magie di cura e protezione, il ladro otterrà maggiori oggetti a fine battaglia e il bardo riuscirà ad ottenere il massimo dal proprio equipaggiamento.
Le pecche del gameplay sono rappresentate dalla scarsità di denaro che ci verrà messo a disposizione: i mostri non ne lasciano cadere, giustamente, e ci lasceranno solo delle gemme, di otto tipi diversi, che potremo sì rivendere, ma che ci serviranno anche per potenziare le nostre armi presso un fabbro, mettendoci quindi in condizione di prendere decisioni importanti. Per fortuna, di rimando, le armi disseminate nei dungeon segreti sono numerose, ma non sempre questi sono facili da affrontare. Infatti, una pecca che si può evidenziare di questo capitolo di Final Fantasy, per quanto per molti possa essere un ottimo pro, risiede nella difficoltà: tutto è molto tirato al minimo, come i punti esperienza, i danni subiti ed effettuati.
Un tratto magico e medievale
Graficamente Final Fantasy: The 4 Heroes of Light ha uno stile molto particolare che riprende in pieno lo stile classico ma con una componente 3D molto interessante: gli scenari seguono i vostri movimenti con profondità e spessore, tutta la città sarà visibile dalle spalle e non dall’alto, dando una falsa idea di tridimensionalità. Il charachter designer, inoltre, è molto particolare, e riesce, nella sua piccolezza, a costruire dei lineamenti molto simpatici e affascinanti, nulla che possa spremere il DS al massimo delle sue possibilità ma sicuramente una linea di matita curata e gentile che si lascia amare senza problemi.
A livello sonoro, non essendoci un doppiaggio per i nostri personaggi ma solo per gli animali con i quali interagiremo, possiamo valutare solo la colonna sonora, spesso ripetitiva ma abbastanza pronta a segnalare le situazioni di pericolo: anche in battaglia, nel momento in cui uno dei nostri compagni andrà in pericolo di vita, avremo un motivetto tragico, mentre nel secondo successivo alla sua cura tutto tornerà normale e brioso. Sarà piacevole tenere il volume della vostra console a livello normale così da farvi accompagnare dalle musiche medievaleggianti.
Perché non è un capolavoro?
Tirando le somme, quindi, ci sarebbe da domandarsi perché Final Fantasy: The 4 Heroes of Light non è un capolavoro. Non lo è perché il prodotto è fin troppo classico, e lascerebbe storcere il naso a molti videogiocatori, soprattutto quelli che, in altra analisi, troveranno ostica la mancata localizzazione in italiano: la vostra avventura, infatti, è completamente in inglese, dai dialoghi all’inventario, ma resta comunque un inglese comprensibile senza troppi discorsi filosofici o trascendenti; qualcosa alla portata di tutti insomma. Magari come longevità non avremo quel che cerchiamo per l’assenza di sub quest (ne avremo appena una, facoltativa tra l’altro, nella prima metà del gioco) e ci dovremo limitare a portare avanti la trama; inoltre, la grande difficoltà, come detto già in precedenza, potrebbe far premere l’interruttore della console già dopo il quinto KO nelle prime ore di avventura. Per tutti gli amanti del nostalgico, i nostalgici appunto, questa è come la solitudine per i numeri primi.