Final Fantasy VI – Recensione
Sqaresoft cambia marcia
Esistono dei titoli nella storia dei videogiochi che possono definirsi come rivoluzionari, e forse in alcuni casi anche immortali. Giochi di questo tipo sono rari a dire il vero, ma una volta lanciati sul mercato sono destinati a dettare per lungo tempo nuovi canoni per il proprio genere.
Siamo nel 1994, la console del momento è il Super Famicom (Snes) della grande N, e sono passati ben 7 anni da quando Hironobu Sakaguchi salvò la Square dal fallimento inventando quella che con ogni probabilità avrebbe dovuto rappresentare la sua fantasia finale. La saga portabandiera della casa del chocobo aveva già dato alla luce 5 capitoli, riuscendo a conquistare un ampia fetta di mercato e di appassionati degli RPG nel paese del sol levante (oltre 4 milioni di copie vendute per il IV e V capitolo) diventando a tutti gli effetti una delle software houses di punta (assieme ad Enix) nello sviluppo di questo genere videoludico.
Tuttavia Squaresoft doveva ancora sfoderare il proprio asso nella manica, un titolo rivoluzionario che avrebbe portato gli RPG ad un livello ben diverso da tutto ciò che si era visto in precedenza: Final Fantasy VI.
Evoluzione
Il sesto capitolo della saga infatti presentava per la prima volta dei temi più adulti rispetto ai suoi predecessori, sviluppando una storia molto più in profondità attraverso la continua introspezione dei ben 12 personaggi principali (più 2 personaggi segreti).
La psicologia dei protagonisti, i loro sogni, le loro angosce e paure vengono svelati con il fluire della trama principale, spesso anche attraverso dei flashback che ci permettono di ricostruire il loro background.
In FF VI l’alto numero di personaggi disponibili è più che supportato dalla loro ottima caratterizzazione, ogni protagonista infatti non si limita ad essere un riempitivo od una semplice macchietta, ma svolge all’interno della storia una parte integrante per la continuazione di quest’ultima.
Come detto in precedenza forti tematiche vengono sviluppate in questo titolo, e i personaggi di FF VI crescono e maturano nel corso della trama affrontando i propri fantasmi e soggetti complessi, che vanno dal suicidio all’accettazione di se stessi e del diverso, presentando il tema della morte e del ricordo, dell’amicizia e della solitudine, della speranza e del rimpianto, il tutto legato indissolubilmente alla lotta contro l’impero e alla salvezza del mondo.
La trama
E’ passato un millennio da quando la guerra dei Magi ridusse il mondo ad una landa desolata e la magia cessò di esistere; ferro, polvere da sparo e macchine a vapore sono stati riscoperti, e la tecnologia domina. Esiste chi però desidera dominare il mondo risvegliando la forza distruttiva conosciuta come magia.
In questo scenario futuristico e iper tecnologico si muove Terra, una giovane ragazza misteriosa che ha perso la memoria e che si trova ora alle dipendenze dell’impero che controlla gran parte del mondo conosciuto. Terra ha l’incarico di recarsi a Narshe, indipendente città del nord, accompagnata da due soldati imperiali, poiché in quel luogo è stato ritrovato un Esper ibernato. Questi ultimi sono creature mistiche, scomparse dal mondo conosciuto dopo la guerra dei magi, nonché fonte principale della forza conosciuta come magia di cui l’impero vuole a tutti i costi impossessarsi.
Durante la missione tuttavia qualcosa va storto, e l’ Esper sembra in qualche modo interagire con la misteriosa ragazza. Comincia così l’avventura di Final Fantasy VI, con la fuga da Narshe (la ragazza è ricercata ora dai soldati dell’impero per tradimento e anche dalle guardie cittadine) e l’incontro con il cacciatore di tesori Locke, il viaggio fino al regno del deserto di Figaro, dove il giovane re Edgar accoglie i fuggiaschi, la successiva fuga e l’invito a far parte della resistenza, un movimento che lotta contro il potere imperiale. In tutto questo ci sarà ampio spazio per le rivelazioni (Terra è infatti inspiegabilmente capace di usare la magia) e l’incontro con i personaggi che formeranno il party: Sabin, fratello minore di Edgar che è fuggito dalla vita di corte scegliendo di vivere sulle montagne ed allenarsi nelle arti marziali; Shadow, ninja solitario dall’oscuro passato; Cyan, samurai proveniente dal castello di Doma che per colpa dell’impero e del malvagio Kefka ha perso la moglie e il proprio figlio; Celes, ex generale imperiale accusata di tradimento; e molti altri ancora.
In tutto questo svolge un ruolo fondamentale la parte degli Esper e della magia, la ricerca del potere da parte dell’impero, e soprattutto quella della propria identità da parte della protagonista.
E’ da sottolineare inoltre l’ottima caratterizzazione del cattivo di turno, il perfido Kefka (difficilmente vi scorderete il motivetto che lo accompagna nelle sue buffe e allo stesso tempo malvagie azioni), con ogni probabilità la più infida delle nemesi presentate da Squaresoft nella sua ventennale saga.
Un gameplay rivoluzionario
Le innovazioni portate dal VI capitolo della saga non si fermano però alla trama e ai personaggi, ma vanno ad influenzare anche il gameplay, anch’esso rielaborato rispetto al passato.
La Square mette da parte il pur ottimo job system presente nel V episodio, e ci presenta un nuovo sistema di gioco (seppure sempre basato sull’ormai collaudato ATB) dove gli Esper hanno un ruolo fondamentale. Ogni invocazione può infatti essere abbinata ad uno dei 14 personaggi a disposizione, e può essere evocato una sola volta durante un combattimento in corso.
Tuttavia le proprietà degli Esper vanno ben oltre quelle della semplice evocazione: oltre ad aumentare, con l’avanzamento del livello di esperienza, determinate caratteristiche del personaggio a cui sono associate, gli Esper hanno la capacità di insegnare ad un personaggio diverse magie. Dopo ogni combattimento vengono infatti assegnati a tutti i personaggi del party dei punti esperienza e dei punti magia. Questi ultimi, moltiplicati per un valore presente in ogni magia da acquisire, incrementano la percentuale di apprendimento, che una volta giunto al 100% renderà disponibile la magia per quel personaggio anche senza avere quel tipo di Esper equipaggiata.
Altro elemento fondamentale nel sistema di gioco sono le reliquie, di cui se ne possono equipaggiare al massimo 2 per ogni personaggio, che possono donare protezioni e immunità a determinati status, oltre a modificare o aggiungere nuove abilità.
Ogni protagonista è poi dotato di abilità innate che incrementeranno attraverso l’avanzamento del livello di esperienza: ci sono le tecniche Blitz di Sabin, delle mosse da utilizzare in combattimento eseguibili come in un picchiaduro; la tecnica Throw di Shadow, abilità che permette il lancio di shuriken o qualsiasi altro tipo di armi; i Tools di Edgar, etc.
Un altro punto di forza di Final fantasy VI è sicuramente la possibilità di cambiare i membri del party indipendentemente dalla presenza o meno del personaggio principale, ricordando che dei 14 personaggi selezionabili il party è formato al massimo da 4 membri, e c’è anche la possibilità di giocare in 2 giocatori durante i combattimenti. Altro dato da rimarcare è la grandezza della mappa e del mondo esplorabile, che va ben oltre a ciò che la casa del chocobo ci aveva proposto fino a quel momento.
La grafica del titolo Square è sicuramente molto datata, ma ai tempi dello Snes garantiva un ottimo impatto visivo: gli sprite dei personaggi super deformed sono dettagliati, gli effetti speciali sfruttavano a pieno le potenzialità della console 16 bit di casa Nintendo, e le caratterizzazioni e di tutti i personaggi e delle ambientazioni futuristiche mescolate a quelle rurali furono sapientemente disegnate dalla matita di Yoshitaka Amano.
Il comparto audio si adattava al meglio al chip dello Snes, spremendolo fino in fondo, e la colonna sonora composta come sempre dal maestro Nobuo Uematsu rappresenta con ogni probabilità la migliore opera di accompagnamento presente nell’intera saga. Alle 14 melodiose theme che accompagnano i protagonisti della storia (indimenticabile la canzone di Terra, che è anche la main theme del titolo), si aggiungono canzoni ritmate e agressive presenti nei combattimenti e negli scontri con il boss di turno, oltre ad altre memorabili opere come “aria di mezzo carattere”, “Kids run throught the city corner”, e naturalmente la grottesca e sempre verde “Kefka’s theme”.
Non è quindi un caso se nel 1994 il maestro Nobuo Uematsu presentò proprio questa colonna sonora alla Scala di Milano.
Il gioco è dotato di un’ ottima longevità, occorrono circa una trentina di ore per giungere alla fine della storia, e ancora di più se si vuole finirlo completamente svelandone tutti i segreti, sbloccando tutti i personaggi utilizzabili e sconfiggere tutte le crature leggendarie risvegliatesi.
Nella seconda parte del gioco (nel World of Ruin), inoltre, viene data grande libertà al giocatore, che può scegliere se andare il più velocemente possibile a sconfiggere il nemico finale (cosa sconsigliata vivamente, dal momento che si perderebbe buona parte della trama e degli elementi che costituiscono la storia di ogni personaggio) o c’è la possibilità di scegliere se ritrovare tutti i compagni perduti. Questa parte della storia offre si grande libertà al giocatore, ma mostra forse qualche piccolo calo nella narrazione della trama principale che si avvia verso la propria conclusione.
L’eredità di un capolavoro
L’avventura di Terra e dei suoi amici irrompe nel panorama videoludico e ne rinnova i canoni, ampliando per sempre la concezione dei jrpg e ponendosi a lungo come cartina di tornasole per l’intero genere.
Chi non riesce ad avvicinarsi a causa della grafica datata a questa opera senza età perde un occasione unica di scoprire cosa erano i jrpg prima dell’avvento della grafica 3D, e soprattutto prima che la software house del chocobo strizzasse entrambi gli occhi al mercato occidentale.
Final Fantasy VI è una delle massime vette creative nella ventennale storia della Square, e per quanto concerne trama, gameplay e caratterizzazione dei personaggi merita di essere considerato senza ombra di dubbio il miglior gioco della serie assieme al più celebre FF VII, titolo capace di raccogliere un eredità pesante come un macigno e di farla propria, sviluppandola però in altre direzioni fino a quel momento sconosciute.