ENKI

Dopo le atmosfere da fiaba onirica del notevole e controverso N.E.R.O., il team italiano di Storm in a Teacup vira bruscamente su un concept più tetro e peculiare.

Al momento dell’uscita, a fine luglio dell’anno scorso, Enki ha collezionato diversi pollici versi dalla critica specializzata, ma curiosamente è stato premiato da una sfilza di “Consigliato” dagli utenti di Steam. Un divario così notevole dovrebbe quantomeno incuriosire ogni appassionato di titoli indie, e infatti così è stato per il sottoscritto. Con questa prospettiva addentriamoci negli oscuri meandri di Enki per capire esattamente cosa ci propone.

ENKI - recensione

Nella tana del lupo

Nei panni di un malcapitato protagonista, ci risvegliamo in una cella sotterranea dopo essere stati abbandonati da un ignoto rapitore. Lo scheletro in decomposizione accanto a noi non fa presagire niente di buono, quindi capiamo che è il caso di svignarcela il prima possibile. Usciti dalla cella ci ritroveremo rinchiusi in uno scantinato formato da diverse stanze disseminate di testi, oggetti esoterici e tracce che ci fanno capire che il nostro rapitore è un serial killer con il pallino per l’occulto. Come se la situazione non fosse già abbastanza preoccupante, un conto alla rovescia ci avverte che abbiamo solo trenta minuti per uscire da lì.

Il gioco si propone quindi come un “escape room” che punta sul trial and error. Ogni volta che il tempo si esaurisce il giocatore sarà riportato al punto di partenza, dal quale ricomincerà basandosi sull’esperienza acquisita in precedenza per cercare di proseguire impiegando meno tempo.

Per trovare la chiave dello scantinato che ci permetterà di salvare la pelle dovremo risolvere degli enigmi ambientali concatenati che comprendono generalmente trovare i giusti oggetti da usare nel giusto ordine, o impostare la giusta combinazione per aprire altre porte e cercare altri oggetti. Nelle varie stanze troveremo molti oggetti inutili che serviranno per lo più a confonderci e distrarci da quelli veramente importanti.

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Per non rendere ogni partita uguale e prevedibile, gli sviluppatori hanno inserito un sistema di randomizzazione per il posizionamento degli oggetti. Quindi, se durante una partita andata male avete trovato una chiave in un posto, non è detto che alla partita dopo sarà nello stesso punto.

Sparsi nello scantinato ci sono anche libri e oggetti che ci faranno intuire la “formazione” occultista del nostro serial killer, come anche altri tipi di testi. A seconda di quanti di questi documenti recupererete si otterrà un finale leggermente diverso una volta scappati dalla prigionia, con relativo achievement sbloccato. Esiste inoltre un finale collaterale alla fuga che può essere scoperto risolvendo un particolare enigma che richiederà l’attenta osservazione e analisi dei vari oggetti che troveremo in giro.

Il concetto di base del gioco è sicuramente interessante. Immergere il giocatore in un ambiente tetro, sottoposto alla spada di Damocle del tempo, e farlo girare in un ambiente tutto sommato poco esteso alla ricerca di elementi che lo aiutino a fuggire. Il sistema di randomizzazione evita la prevedibilità della ripetizione quanto basta, anche se a onor del vero non propone una differenziazione così straordinaria; insomma sarà difficile che vi ritroviate a sbattere la testa al muro per trovare gli oggetti chiave. Ma a ben vedere è probabile che programmatori abbiano puntato relativamente su questo aspetto. Il gioco, insomma, rimane vittima più che altro della dicitura che gli è stata data: “extensive randomization system”, una definizione decisamente azzardata e poco assennata che può lasciare con l’amaro in bocca a chi si aspetta troppo.

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Prigione per la mente

Trascurando le avventate parole del marketing, il gioco rimane comunque abbastanza coinvolgente e divertente. Gli sviluppatori si sono impegnati a creare un’atmosfera opprimente che tiene il giocatore in perenne allerta. Non esiste una vera storia, ma i libri e i documenti sparsi per l’area ci danno un’idea sulle convinzioni occultiste dell’uomo che ci ha rapito riguardo alla forze divine e in particolare alla figura di Enki. Viene anzi il dubbio che queste fonti siano state lasciate apposta dal killer in modo da dare una speranza di salvezza solo a chi riesca a capire la simbologia esoterica a cui egli si ispira, come se tentasse di convertirci. Senza prendere la cosa troppo sul serio, non sarebbe strano se dopo aver letto gli sprazzi di informazioni trovate nei libri nel gioco vi imbarcaste a cercare informazioni sul satanismo su Google.

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Acluofobia

Per quanto riguarda il comparto grafico, Enki, dimostra un discreta cura ai dettagli, con un buon lavoro di artwork e illuminazione “strategica”. Anche dal punto di vista della resa tecnica non ci si può lamentare, tenendo sempre presente che si tratta di una produzione indie.

Durante il primo periodo di distribuzione digitale diversi giocatori hanno lamentato frequenti crash e cali notevoli di frame rate, problemi che sono stati per gran parte risolti con delle patch correttive rilasciate successivamente, che denotano comunque un’attenzione degli sviluppatori verso la propria creatura.

Il team di sviluppo di Storm in a Teacup ha chiaramente inseguito l’ideale di “horror” focalizzato in primis sul meccanismo di angoscia per il non-visto. Come già accennato, l’atmosfera del gioco convince particolarmente per cupezza e senso di inquietudine. Le cose che troveremo nello scantinato del killer, nel loro silenzio, ci danno un’idea cruda della mentalità contorta che ci ha imprigionato.
L’esplorazione viene poi condita da rumori, versi, scricchiolii, nonché da qualche momento di spavento.

Tutto questo risulterebbe ben architettato, se non fosse per un difetto insito nella struttura stessa del gioco: il trial and error. Per sua stessa natura, infatti, il gioco richiederà diverse partite consecutive, portandovi quindi negli stessi posti più volte. Se alla prima partita la sensazione di inquietudine è palpabile, man mano che si gioca ci si rilassa abbastanza velocemente. Oltre alla collocazione degli oggetti chiave, gli sviluppatori avrebbero fatto meglio a randomizzare anche qualche effetto per degli jump scare imprevisti, o comunque qualcosa che continuasse a mantenere tesa l’atmosfera anche dopo le prime partite.

Anche sul piano del sonoro qualcosa in più poteva essere fatto. Una o due basi musicali anche semplici non avrebbero guastato per enfatizzare l’atmosfera. Gli effetti sonori sono efficaci quanto bastano, ma non sono molto vari.

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6.5
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