Dying Light
Che quelli di Techland avessero un talento naturale nel creare mondi sandbox pieni zeppi di zombi lo abbiamo già scoperto con Dead Island, a cui ha fatto seguito il più discutibile ma comunque apprezzato Dead Island: Ripitide. Con Dying Light gli sviluppatori intendono proporre la stessa ricetta, variando l’ambientazione e migliorando tutti i dettagli che hanno fatto amare Dead Island ai fan.
Harran è perduta
Che si tratti di un’isola tropicale, della storica Roccoon City o, come in questo caso, dell’immaginaria città di Harran, l’incipit che dà il via alle vicende di Dying Light non può che essere il medesimo: una serie di esperimenti falliti ha dato il via all’apocalisse zombi. La totalità degli abitanti della città – eccezion fatta per pochi superstiti che vivono barricati in rifugi di fortuna – è stata trasformata in non morti affamati di carne umana, pronti a sbranare chiunque sia ancora sulle strade. Il protagonista dell’avventura è Kyle Crane, inviato dal GRE (acronimo di Global Relief Effort) per recuperare importanti documenti e confermare l’identità di un ricercato. Inutile dire che, eseguite le prime missioni, la situazione si farà sempre più complessa e Crane si ritroverà ben presto invischiato nei giochi di potere di Harran più di quanto avesse voluto, scoprendo nel contempo che la linea che separa buoni e cattivi non è così demarcata e che forse lui non è schierato dalla parte giusta.
Lasciamo a voi il gusto di scoprire trame e sottotrame di Dying Light, limitandoci a evidenziare come Techland abbia tessuto con cura l’intreccio narrativo, regalandoci una serie di carismatici personaggi non protagonisti e una narrazione che pur non toccando vette altissime riesce a regalare interessanti colpi di scena degni di essere vissuti in prima persona. Interessante la scelta di delineare con forza la personalità di Kyle Crane: scurrile (a volte fin troppo) e cinico ma dall’animo nobile, il protagonista del gioco parla molto e non esita a prendere posizione di fronte alle situazioni che man mano gli si parano davanti. Questa scelta, unita alla visuale tenuta costantemente in prima persona, è coraggiosa ma efficace: troppe volte abbiamo provato FPS in cui il protagonista è volutamente taciturno e passivo di fronte agli eventi del gioco. Giocare nei panni di Crane significa invece trovarsi a dover assecondare il suo carattere, seguendo dai suoi occhi l’evolversi della disastrosa situazione di Harran e ritrovandosi più coinvolti nelle vicende narrate.
Botte, crafting e parkour
La prima impressione di fronte a Dying Light è di trovarsi di fronte a un ibrido tra Dead Island e Mirror’s Edge: alle classiche meccaniche dei survival horror in prima persona, il titolo di Techland offre infatti la possibilità di azioni acrobatiche degne della migliore Faith, tra l’altro utilissime per spostarsi velocemente tra gli stretti vicoli della città. La nota dolente in tutto questo è che, a differenza di quanto accadeva in Dead Island, in Dying Light non si possono utilizzare mezzi di trasporto diversi dalle proprie gambe: torna così la fastidiosa sensazione dei primi Far Cry, dove ci si ritrovava spesso a ritornare sui propri passi e a percorrere lunghe sezioni di mappa per raggiungere il luogo di una missione o un punto di interesse in particolare. Fortunatamente Techland ha arginato questo potenziale difetto inserendo nel gioco un numero davvero impressionante di quest secondarie, che molte volte vi ritroverete a seguire anche contemporaneamente: usciti da un rifugio per una missione, verrete quasi sicuramente contattati via radio da uno dei personaggi precedentemente incontrati, che vi proporrà di fare qualcosa per lui; se questo non dovesse succedere, state pur certi che vi basterà gironzolare un po’ per la città per imbattervi in una serie di eventi in grado di tenervi seriamente impegnati durante qualsiasi spostamento, allontanando così la noia potenzialmente in agguato tra una missione principale e l’altra.
Abbiamo parlato dei rifugi, importante caratteristica strategica del gioco: oltre alla torre, il luogo attorno al quale vi ritroverete a svolgere le prime missioni, vi sono una serie di avamposti – alcuni dei quali da liberare e fortificare – nei quali fermarsi a riprendere le forze. In questi luoghi sarà possibile cambiarsi d’abito, trovare risorse utili al proseguo dell’avventura e, soprattutto, superare la notte. In Dying Light è cruciale l’alternarsi tra notte e giorno: se prima delle ore 21 per le strade troverete solamente i classici morti viventi ideati da Gerorge Romero, lenti e stupidi quanto basta per lasciarvi tranquilli, facendo le ore piccole potrete imbattervi nei più paurosi abomini, compresi i cosiddetti “notturni” che vi costringeranno a sopravvivere a mortali inseguimenti per le strade di Harran. Inutile dire che alcune missioni sono necessariamente da portare a termine di notte e che, volenti o nolenti, sarete spesso chiamati a mettere a repentaglio la vostra incolumità girando per le strade nell’oscurità. La buona notizia è che tutti i punti esperienza, di notte, sono raddoppiati: Dying Light propone un solido sistema di potenziamento del personaggio che, proseguendo con il gioco, rende possibile la personalizzazione di una numerosa serie di caratteristiche di Crane, permettendo al giocatore di sbloccare differenti power-up a seconda del suo stile di gioco. Potrete così scegliere di migliorare le mosse corpo a corpo e la resistenza, oppure di aumentare la capacità di trattativa per pagare meno le armi ai negozi oppure ancora, tanto per fare un altro esempio, di diventare più efficienti con le armi per poterle utilizzare più a lungo.
Parlando di armi, il catalogo proposto offre varietà e profondità persino superiori rispetto a Dead Island. Le armi da fuoco sono poche e rare – e lo sono anche i proiettili, a patto che siate comunque disposti a creare grimaldelli per scassinare tutte le auto della polizia che incontrerete – mentre si ha l’imbarazzo della scelta con le armi contundenti: asce, tubi di ferro, assi chiodate, coltelli, picozze, martelli e armi a due mani si affiancano a tutti gli oggetti che, raccolti i progetti sparsi per il mondo di gioco, Crane sarà in grado di creare con il crafting. Sempre se confrontato con Dead Island, nel caso di Dying Light il crafting gioca davvero un ruolo fondamentale per la sopravvivenza: richiamabile ovunque tramite un comodo menu, permette di generare elementi come kit medici, temporanei power-up da battaglia, armi, dardi, shuriken dalle varie caratteristiche, granate, grimaldelli e un’infinità di altri oggetti che lasciamo a voi il divertimento di scoprire. Dal momento che, soprattutto all’inizio del gioco, le armi a disposizione saranno deboli e in grado di sopportare pochi colpi, il nostro consiglio è di raccogliere quanti più oggetti utili da ogni dove (si possono saccheggiare armadietti, casse, scatoloni e persino bidoni dei rifiuti) per poter riparare le armi in uso e creare quanti più oggetti contundenti possibili, pena la morte certa alla prima apparizione di un nemico leggermente più potente di un normale zombi.
Per quanto riguarda le modalità aggiuntive, troviamo una co-op online che permette di esplorare Harran insieme ad altri giocatori e la modalità Be The Zombie, della quale parleremo più approfonditamente in altra sede, pensata per vivere l’avventura dal punto di vista dei non morti. Si tratta di aggiunte che, unite alle numerose side quest, garantiscono una longevità non indifferente. Seguendo senza distrazioni la sola avventura principale, invece, si rischia di completare il gioco in poche ore rinunciando nel contempo al divertimento offerto da parecchie side quest che non sono assolutamente da considerarsi semplici riempitivi.
Si stava meglio in vacanza
Passando all’analisi del comparto tecnico, Dying Light dimostra di saper sfruttare le caratteristiche hardware delle nuova console: la profondità di campo è notevole, così come gli effetti particellari e la sensazione del vento, in grado di rendere interessante e vivo l’ambiente di gioco. Abbiamo particolarmente apprezzato la verticalità del level design, appositamente pensato per accentuare le movenze alla Mirror’s Edge, ma personalmente bocciamo l’ambientazione: il fascino dell’isola tropicale di Dead Island, con il suo geniale ossimoro paradiso/inferno, manca completamente nel caso di Dying Light, il cui sfondo è l’anonima città di Harran, dalla vaga localizzazione geografica e poco interessante rispetto all’isola delle precedenti fatiche di Techland.
Fortunatamente Dying Light ha dalla sua il carisma di tutti i personaggi che incontrerete nel gioco e la variabile dell’alternanza tra giorno e notte, il tutto accompagnato da una colonna sonora che a tratti strapperà un sorriso ai fan de “La notte dei morti viventi” e di altri cult degli anni ’80, riprendendo chiaramente lo stile compositivo di quel periodo. Sottolineiamo anche il doppiaggio in italiano, tutto sommato ben realizzato e inserito anche in sezioni di gioco dove non è solito essere presente, come ad esempio i riassunti della trama tra un caricamento e l’altro.
[signoff predefined=”Signoff 1″ icon=”quote-circled”]Dying Light è il seguito spirituale di Dead Island che ci aspettavamo: grazie alle potenzialità offerte dalle console di nuova generazione Techland è in grado di offrire un’esperienza completa e interessante mixando le meccaniche del survival horror in prima persona con il crafting e gli elementi GDR, il tutto impreziosito dalla libertà di azione che promette salti e arrampicate alla Mirror’s Edge. Peccato per l’impossibilità di guidare qualsiasi mezzo di trasporto e per la scarsa presenza di armi da fuoco che, seppur sottolinei la componente survival, metterà il giocatore di fronte a numerosi game over causati dalla difficoltà nell’affrontare certe situazioni con le sole armi improvvisate a disposizione. Harran non è un’ambientazione azzeccata come l’isola tropicale dei precedenti giochi di Techland, ma nonostante questo l’alternanza tra il giorno e la notte, così come il variare delle tipologie di infetti e il cambio di gameplay che questo impone sono elementi distintivi in grado di far apprezzare l’avventura a chi è in cerca di qualche novità nel genere. Se avete amato Dead Island, non lasciatevi sfuggire Dying Light; se non siete avvezzi al genere, tenete presente che Techland necessita di affinare ancora la formula proposta prima di poter sfornare un vero capolavoro.[/signoff]