Dragon Age II – Recensione Dragon Age 2
Mano alle armi
Se il trailer cinematografico del primo Dragon Age, in cui venivano versati ettolitri di sangue alternati a scene dal contenuto erotico (con tanto di Marilyn Manson di sottofondo), faceva presagire male, inevitabilmente vedere filmati di gioco contenenti pura azione per il seguito non può che far pensare peggio – specialmente se seguiti da una demo incentrata esclusivamente su tale modello di gameplay. Come già detto, sono informazioni (per fortuna) fuorvianti. In Origins i trailer volevano essere un assaggio dei contenuti maturi della trama, non un’anticipo del gameplay, che (a parer mio, ndr) è prossimo alla perfezione: ogni combattimento richiede pianificazione usando il comando di pausa; non si può pensare di lanciarsi allo sbaraglio senza rischiare di morire. Occorre programmare le mosse dei propri personaggi e mettere insieme un party adatto a ogni evenienza. A tal scopo interviene lo sviluppo dei personaggi, che si basa su alberi di abilità estremamente variegati, i quali permettono alle classi di guerrieri, ladri e maghi di assumere ruoli assolutamente diversi all’interno del loro stesso genere – è possibile, ad esempio, avere maghi d’assalto, con magie finalizzate a fare danni, oppure di supporto, con cure per il gruppo o incantesimi debilitanti per il nemico. Fiore all’occhiello del combattimento intelligente sono le tattiche: non possiamo controllare più di un personaggio alla volta ma possiamo programmarli così che agiscano in determinati modi a seconda di certe condizioni, per esempio usando certe abilità quando circondati da un determinato numero di nemici, oppure in base alla propria salute o a quella degli alleati, e tante altre variabili.
Innegabilmente, il sistema di combattimento di Dragon Age 2 è cambiato per rendersi maggiormente user-friendly ai giocatori su console, ma mentiremmo se vi dicessimo che si tratta di un clone di Dinasty Warriors, come certe fonti accusarono prima dell’uscita: si potrebbe dire invece che le semplificazioni sono occorse per poter rendere l’azione più scorrevole, con menù e controlli più immediati. La sostanza delle meccaniche rimane quindi quella eccellente già vista in passato, anche per quanto riguarda l’evoluzione, che peraltro ha molte più abilità – con una piccola differenza nelle specializzazioni, la cui acquisizione non è più legata a momenti della trama ma avviene automaticamente raggiunti certi livelli di esperienza.
Uno dei menù dei personaggi
Eppure, nonostante tutto, qualcosa non quadra. L’analogia con il prequel termina quando ci si rende conto che la consolizzazione del prodotto intacca in malo modo il bilanciamento della difficoltà. Se giocato a difficoltà Normale pare di trovarsi di fronte al più semplice degli hack’n’slash, in cui i nemici non saranno altro che dei bersagli da abbattere senza nessuna tattica – ridicolo. Per trovare un minimo di sfida occorre giocare a livello Difficile, in cui comunque si noteranno fasi estremamente discordanti: si passa da sessioni in cui potremo lasciare agire incontrollati i nosti personaggi, a momenti esageratamente complessi dove conta più la fortuna che la tattica. L’unica sfida sensata, dove tutti i parametri vengono considerati (fuoco amico incluso), è la modalità Incubo, la quale, di contro, risulta davvero un incubo. Oltre alla difficoltà altalenante, ci sono alcune differenze spiacevoli nei nemici: pur mantenendo le creature uniche, dotandole tutte di bonus e malus specifici, sono stati drasticamente ridotti i boss, e nemici che in Origins risultavano veramente ostici, come i Revenant, qua sono semplici mini-boss. Un altro aspetto irritante è il respawn; molti degli scontri si rivelano a ondate, in cui dopo aver eliminato i primi avversari, ne compariranno altri a prenderne il posto, in maniera alquanto fastidiosa e casuale, visto che si materializzano letteralmente dal nulla.
La regola del "più sono grandi, più fanno male" non è cambiata
Gli occhi del drago
Il primo passo per poter trasportare il Fantasy nel mondo contemporaneo non può che essere adattarsi ai tempi con un aspetto visivo adeguato. Con i fondi di EA, era quasi scontato che Bioware riuscisse nell’intento con Dragon Age, e Dragon Age 2 segue a ruota questa politica, adeguando il suo motore ai tempi, avvalendosi inoltre (su pc) delle ultime DirectX 11. Queste ultime introducono effetti di rendering avanzato che rendono molto piacevole l’esperienza, a patto di avere un hardware adeguato a supportarle. A ogni modo, anche se giocato in DirectX 9, il livello qualitativo è comunque ben accetto. Consigliamo però di scaricare e installare il pacchetto di texture ad alta risoluzione per sopperire alla scarsa qualità delle stesse nella versione base (lo trovate a questo indirizzo). Questioni tecniche a parte, si notano sensibili miglioramenti per quanto riguarda l’animazione, soprattutto nei dialoghi: nel prequel si aveva spesso l’impressione che il linguaggio corporeo dei personaggi non rispecchiasse il parlato, l’esatto opposto di quello che avviene qua. Un salto di qualità cinematografico dunque, aiutato a sua volta dal doppiaggio di buon livello, anche se i giocatori italiani con scarso orecchio per l’inglese ne perderanno il fascino. Stilisticamente rimane inalterato, mantenendo le tipiche rappresentazioni occidentali del Fantasy, eccezion fatta per quanto riguarda il design di certi personaggi, elfi in particolare, che talvolta appaiono quasi usciti da un manga – aspettate di vedere Fenrir e capirete…
L’unica nota di demerito per quanto riguarda l’aspetto visivo è l’eccessivo riciclo delle ambientazioni: non è déjà vu quello che si ha in molte quest, perché per molti dungeon non è stato fatto altro che riutilizzare le stesse mappe cambiandogli un po’ l’aspetto – quindi, se visitando una cripta avrete l’impressione che sia identica alla grotta visitata poco tempo prima, probabilmente avrete ragione.
Non eccelsa la colonna sonora, che sostanzialmente si rivela un semplice accompagnamento senza elevato impatto emotivo.
Galvanizzante
Analisi finale
Lo sviluppo narrativo incentrato sulla storia di Hawke, il futuro Campione di Kirkwall, permette ai giocatori di sentire il distacco dal predecessore, in maniera non necessariamente positiva per i puristi del gioco di ruolo ma sicuramente non negativa per chi sa apprezzare i frutti di un buon lavoro – la minore libertà viene quindi compensata da una maggior caratterizzazione. Possono tranquillizzarsi coloro che avevano paura di un cambio di rotta verso un gioco d’azione, visto che le meccaniche sono sostanzialmente rimaste invariate. Purtroppo non si può dire altrettanto del bilanciamento del gioco, veramente pessimo, inoltre la scelta di inserire il respawn dei nemici (che appaiono dal nulla) durante i combattimenti è spesso odioso e frustrante.
Aldilà di tutto, si può comunque dire che, con alti e bassi, Dragon Age 2 si rivela essere un buon seguito, che vi terrà impegnati per parecchio tempo.