Doom – Recensione
Prima che si coniassero e diffondessero definizioni e relativi acronimi come “real time strategy” e RTS, chi recensiva videogiochi utilizzava come metro di paragone i nomi dei prodotti più simili e arrivati prima di quello analizzato. Doom, in questo senso, è stato per molti anni la pietra di paragone dei “first person shooter” (FPS) e ha addirittura surclassato Wolfenstein 3D, primo vero “sparatutto” creato dalla medesima (e leggendaria) software house: Id Software. Sulle motivazioni di questo e sulla storia dietro la nascita dell’archetipo del genere di videogiochi probabilmente più diffuso di sempre esiste addirittura un libro (consigliatissimo), quello che ci interessa ora però è questo: a ventitre anni dall’originale e tredici dall’ultimo sequel, Doom è finalmente tornato. Sarà in grado di diventare nuovamente un metro di paragone?
Siamo onesti: i videogiochi violenti ci piacciono. L’originale Doom, oltre a essere qualcosa di tecnicamente straordinario e innovativo per l’epoca, è piaciuto perché si potevano disseminare per ogni livello centinaia cadaveri di zombie e demoni utilizzando le armi più disparate – da motoseghe ad “armi dannatamente grosse” che disintegrano tutto ciò che capita a tiro. Il tutto in ambientazioni variabili dal fantascientifico al grottesco e con una fortissima influenza satanista (e tanto sano heavy metal di sottofondo, giusto per non smentire i luoghi comuni). Quale scelta migliore, dunque, di riproporre la stessa formula dell’epoca ma con le potenzialità tecnologiche odierne ed esagerare ancora di più?
La situazione del gioco è esattamente quella che i fan si aspettano: in una base scientifica su Marte, qualche scienziato folle ha spalancato le porte dell’Inferno e il protagonista è l’unico superstite in grado di affrontare un’intera armata di demoni.
Il nuovo Doom non fa attendere più di qualche decina di secondi di introduzione per catapultare il giocatore nell’azione e iniziare a massacrare pseudo-zombie e demoni con la prima arma trovata, ma la vera novità è il combattimento corpo a corpo: tutti i nemici, una volta feriti abbastanza, possono essere terminati con una violentissima “uccisione gloriosa” con le stesse mani (e piedi) del protagonista. Esistono tante animazioni diverse per ogni singolo nemico, ma il comune denominatore è la loro spettacolarità e il fatto che ucciderli in questo modo ripristina la salute del giocatore – una meccanica di gioco che di fatto dovrebbe spingere a concentrarsi totalmente sull’azione frenetica e ripetuta e meno sulla ricerca dei classici medicinali e power-up. Abbiamo usato il condizionale per un motivo: in totale contrasto a tale scelta, Doom introduce elementi di evoluzione del personaggio e delle armi attraverso potenziamenti, punti abilità e oggetti collezionabili da cercare in giro per le ampie mappe di gioco. Se dal punto di vista delle armi questo rende più divertente tutto grazie a modifiche con effetti molto diversi fra di loro, dal punto di vista del personaggio si è costretti spesso e volentieri a lunghe esplorazioni di livelli ormai liberati da ogni nemico per poter aumentare la salute o la portata massima di munizioni – cosa quasi obbligatoria per la sopravvivenza a lungo termine del giocatore medio. Allo stesso tempo, la quantità di segreti e citazioni nascoste è apprezzabile da chi amava esplorare in lungo e in largo i livelli dell’originale Doom per scoprire tutto ciò che era nascosto.
Torniamo all’azione, vero punto del gioco: Id Software, sebbene sotto l’egida di Bethesda e priva della quasi totalità del suo team originale (incluso John Carmack, attualmente occupato con Oculus VR), è riuscita senza dubbio a creare un gioco diabolicamente divertente e che tiene impegnati abbastanza a lungo (ma non troppo) i giocatori in un continuo e costante massacro di mostri e con il suo canonico fascino metal e gore che farà impazzire chi ritiene che da Serious Sam 3 non si sia più visto un FPS degno di tale definizione. Tuttavia, si sente la mancanza di qualcosa che faccia gridare al miracolo. Per capirci, laddove Doom 3 ha diviso i fan a causa di uno stile di gioco decisamente più lento e pertanto lontano dall’originale, all’unanimità tutti sono stati sbalorditi dalla rivoluzione tecnologica che nel 2003 lo portò a elevarsi al gioco con la miglior grafica esistente. La stessa cosa non si può dire di questo nuovo titolo, che per quanto ben curato non offre nulla di particolarmente innovativo – in particolar modo nelle versioni console, le quali non hanno ragion di essere considerate se non per l’impossibilità di far girare Doom sul proprio PC. E il multiplayer, sebbene fortemente promosso dal publisher, non migliora la situazione.
Se Doom è sempre stato un’icona del singleplayer, Quake è altrettanto per il multiplayer, e sono tantissimi quelli convinti che non sia ancora stato creato un FPS multiplayer “puro” degno di rivaleggiare con Quake III. Il nuovo Doom prova a unire elementi della serie Quake (basti notare la presenza del fucile fulminante e di piattaforme di salto in ogni dove) agli elementi caratteristici di Doom, e alcune trovate – come la possibilità di trasformarsi in demone – sono davvero interessanti. Resta però di fondo una sensazione di trovarsi davanti a qualcosa che somiglia più a un Call of Duty o a un Halo che a Doom o Quake, senza però riuscire a proporre un esperienza che sia maniacalmente curata e bilanciata come le altre serie e senza la velocità tipicamente offerta da Quake.
Altra storia la modalità SnapMap: Doom offre un editor in-game (anche sulle versioni console) che permettono di creare rapidamente livelli single e multiplayer con asset pronti all’uso e testabili immediatamente. È presente anche un tutorial piuttosto interessante che costringe il giocatore a modificare mappe di gioco per risolvere situazioni diversamente impossibili da affrontare, dando così qualche briciola di level design anche ai meno creativi. Naturalmente, per quanto ben fatto sia, questo editor ha tutte le limitazioni di uno strumento gestibile con un controller, e per vedere mod degne dei famosi .wad dei primi due Doom occorrerà un tool esterno più completo.
Doom riesce nell’encomiabile sforzo di riportare la serie sulla retta via, ma manca quel qualcosa che, a prescindere da tutto il resto, renda il gioco un’esperienza tale da giustificare l’ingresso del titolo della storia. Tanta violenza, tanto sangue, tanto heavy metal e tanto divertimento sono ciò che tutti vorrebbero (e ottengono) dal nome Doom, ma anche se dovesse fregiarsi del titolo di gioco dell’anno non sarà mai un episodio sul quale verranno dedicati libri o che cambierà il nostro modo di concepire il videogioco.
Pro
- È tutto quello che avremmo voluto da Doom ventitre anni fa
- Violentissimo e cattivissimo come pochi
- Motosega e doppietta non sono mai stati così divertenti
Contro
- Per quanto bello tra qualche anno ce ne dimenticheremo
- Multiplayer trascurabile
- Versioni console trascurabili