Doom 3 VR – Recensione
Duemilaquattro. Diciassette anni fa, ma sembrano millenni. Non che Doom 3 sia invecchiato male, anzi: ancora sono in molti a pensare che sia stata la scelta migliore quella di abbandonare il motore grafico originario del ’93 per l’id Tech, creato ad hoc in funzione di questo terzo capitolo.
Quel “3”, posto lì, accanto a un nome che una folta schiera di appassionati aveva imparato ad amare, fa quasi da contraltare ai vari sequel/non-sequel che punteggiano l’attuale scenario videogame, da Horizon Forbidden West, agli Assassin’s Creed senza numerazione ormai dal Black Flag del 2013, e, perché no, al Doom Eternal che tanto (per alcuni, troppo) evolve quanto fatto dal “reboot” del 2016. Quel “3” era una promessa, la promessa di un ritorno, ma così non fu, perché Doom 3 era più uno spin-off che un vero sequel. Una scelta coraggiosa? Assolutamente sì, ma anche un rischio piuttosto redditizio, talmente di successo dall’aver reso Doom 3, ad oggi, il titolo id Software più venduto di sempre, con più di 3,5 milioni di copie vendute.
Certo, come spesso accade di fronte alle scelte coraggiose di alcuni developer, ora come allora, la critica fu spezzata in due da Doom 3, nettamente divisa fra chi elogiava la natura più horror e meno action del titolo, e chi invece ne ritrovava troppe infiltrazioni dal Doom originale.
La recensione che state leggendo aveva bisogno di un’introduzione di questo tipo, atta a contestualizzare meglio il gioco del 2004 che negli scorsi giorni abbiamo potuto provare con il nostro PSVR. Continuate quindi a seguirci in questo percorso, quasi a vivere voi stessi virtualmente quella che è stata l’esperienza di gioco di chi scrive queste parole. Non appena arrivato il codice in redazione la curiosità era molta: chi vi scrive infatti non si è mai potuto godere, più per casualità che per scelta, i primi Doom al meglio, venendo a stretto contatto con il franchise solo con il reboot del 2016, relativamente vicino a Doom 3 per il canovaccio narrativo ma ovviamente ai suoi antipodi in quanto a flow di gioco, combat system e, inevitabilmente, prestazioni grafiche.
Il poter recensire Doom 3 VR era l’occasione per godersi un must del genere e forse del mondo videoludico in toto, con tutte le immancabili comodità che il tempo gli ha potuto regalare; per farvi capire, c’è stata parecchia frenesia anche nel ricollegare il PSVR alla console Sony, comprese le matasse di cavi che sono tanto fastidiose quanto tuttora inevitabili, se non con sistemi VR ben più costosi.
PSVR impostato, PS Move carichi, mente e cuore pronti alla frenesia di una stazione spaziale marziana del 2145 assaltata da forze demoniache… ed ecco il primo stop.
Un’incompatibilità, penserete, magari un aggiornamento inaspettato o una PS Camera posizionata male: i pensieri che popolano la vostra testa, in questo momento, sono esattamente quelli che riempivano la testa di chi vi scrive. Risparmiandovi le preoccupazioni relative alla remota possibilità che qualcosa non funzionasse più nel sistema PSVR, arriva la scoperta dell’arcano: Doom 3 VR non supporta i PS Move, affidandosi quindi al DualShock 4 o ad un eventuale PS Aim Controller, che purtroppo chi scrive non possiede e che quindi rimane, per ora, un’esperienza completamente what if.
La delusione ci abbandona momentaneamente, premiamo “Start” e selezioniamo “Doom 3”, sicuri di ricordare che le “Resurrection of Evil” e “The Lost Mission” offerte dal menu sono due espansioni, promettendosi di giocarle dopo aver terminato la campagna principale.
Con i primi suoni il senso di immersione è immediato, ogni dubbio messo a tacere, la delusione di prima è dimenticata: Doom 3 VR sembra IL modo di vivere Doom 3, un’esperienza orrorifica dalla quale siamo al sicuro quanto il Doomguy stesso, come lui protetti da un casco, come lui ritrovatici in un contesto così riconoscibile eppure così alieno. Le cutscene introduttive si vivono da fuori, il nostro PSVR telecamera di gioco che ci rende testimoni del volutamente conciso pretesto narrativo che ci vede su questa base marziana a un passo dall’essere presa d’assalto dalle orde infernali… ed ecco subito un nuovo stop.
Il movimento è sempre uno degli aspetti più ostili per i developer che decidono di portare un titolo in prima persona su VR: spesso si opta per aderire allo standard sicuro (i binari di Until Dawn: Rush of Blood), altre volte si va su soluzioni “punk” ma che funzionano anche nel contesto delle meccaniche di gioco (il “teletrasporto” di Batman: Arkham VR) e le poche volte nelle quali si lascia il giocatore libero di muoversi, l’outcome è un “o la va o la spacca” che assume i contorni di una roulette russa, in quanto a rischi. Ricordate l’introduzione di poco sopra che vi parlava di rischi calcolati?
Il movimento libero del player, in Doom 3 VR, sarebbe accettabile, in un vacuum, ma è la modalità di rotazione nell’ambiente che lascia un po’ basiti, pur comprensivi delle limitazioni che il titolo può offrire alla trasposizione in VR: il giocatore può infatti ruotare con degli snap regolabili (di partenza sono di 15 gradi, non poco, ve lo assicuriamo) o passare alla rotazione libera. Dopo qualche tentativo con la prima, anche con diverse prove di regolazione, passare alla seconda sembra la soluzione… sembra. Il movimento rotatorio, in modalità libera, è sì fluido ma vede la creazione di una sorta di cono d’oscurità attorno alla view del player che disorienta tanto la prima volta quanto le successive, numero di movimenti che a malapena vi vedrà superare il secondo corridoio.
È comprensibile, sia chiaro, ma non possiamo giustificare una scelta di questo tipo su uno degli elementi pillar di ogni esperienza VR, soprattutto poiché il risultato è un player che preferisce imboccare corridoi “storto” piuttosto che sorbirsi la motion sickness dell’ennesima rotazione.
Cercando di non pensare al senso di malessere iniziamo a esplorare la base, giusto in tempo per assistere ad una nuova cutscene, momento nel quale la telecamera, ossia noi, si distacca dall’avatar e indietreggia, facendoci testimoni degli avvenimenti da dietro le spalle del Doomguy; un paio di dialoghi, nuovo movimento della cam ed entriamo (letteralmente) nella testa del nostro alter ego; qualche corridoio e ci risiamo. Il senso di spossatezza mentale viene meno in una situazione inaspettata, ossia una delle pochissime uscite “all’aria aperta”: sia chiaro, di Marte non si vede quasi nulla, ma è all’aperto che ci rendiamo conto che il sound design è il primo grosso “sì” dell’esperienza, più immersivo di quanto fino a quel momento siano stati in grado di fare i nuovi pacchetti texture o l’integrazione visiva stessa del VR.
È forse il primo istante nel quale sentiamo di essere… “altrove”, che è in fondo un po’ destinazione e scopo della realtà virtuale, no? Ovviamente non c’è tempo, l’ossigeno inizia a scarseggiare e siamo sicuri che la nostra salute, ora di comoda consultazione grazie a un indicatore posto sul polso sinistro del nostro alter ego virtuale, non ce ne sarebbe molto grata.
Si torna al chiuso, fra le mura di quella base, ed è allora che decidiamo di esplorare la qualità degli ambienti: vaghiamo felici dell’integrazione della torcia fissa (una delle mancanze del Doom 3 originale), vaghiamo con curiosità e speranza, la speranza che anche i corridoi bui sappiano restituirci il senso di immersione che poco fa l’esterno del pianeta ci ha regalato… ma è la disorganicità delle texture a spegnere la fiamma del nostro entusiasmo. Più ci fermiamo a guardare, più si riconosce la differenza fra le sezioni di livello rielaborate e rimesse a lucido e quelle che invece sono state lasciate un po’ a sé stesse: in un titolo dal gameplay più frenetico forse non ce ne saremmo nemmeno accorti, o avremmo lasciato correre, ma in un Doom 3 VR che fa del mood degli ambienti il suo punto forte, come Doom 3 prima di sé, è difficile pensare a una ragione valida per una gestione così incostante degli asset visivi.
Si alzano le spalle e si va avanti, in fondo siamo qui perché “stanno per avvenire cose fantastiche” e non possiamo più aspettare.
“Arriviamo allo shooting, poi non può non migliorare“. Vi abbiamo mai detto qual è la definizione di follia, no?
Il portale si apre, gli eterei teschi iniziano a vagare per la base ed è ora di sparare agli zombie… ed è qui che torna la delusione per la mancanza del supporto ai PS Move. Doom 3 VR ci mette così nelle condizioni di dover sparare usando la rotazione del DualShock 4: il tutto è talmente scomodo e goffo da astrarci nuovamente dall’esperienza; il terrore per l’ennesimo corridoio buio popolato dalle urla strazianti di soldati e scienziati e dai suoni di un metallo che sembra piangere sfuma, annacquato dal fastidio di quel mirino laser che non sembra mai essere dove vogliamo, da quel proiettile appena sprecato, dall’ennesimo zombie spawnato alle nostre spalle con il solo scopo di infastidirci ancora di più.
Vorremmo potervi dire che l’esperienza, nelle 13-14 ore circa che seguono, migliora e risolleva le sorti di questo Doom 3 VR, ma non è così; l’arrivo dei demoni logicamente non è in grado di cambiare la formula, e tutto lo sforzo del sound design viene vanificato dall’ennesimo colpo di BFG9000 andato a vuoto. Non fa piacere trovarsi a usare questi termini o paragoni, ma non vi mentiremo: tutto quello che, per pubblico e critica, funzionava in Doom 3, in Doom 3 VR perde qualcosa, viene sminuito o diluito da un aspetto o scelta tecnica che purtroppo, nel contesto VR, non può che venir esaltata e di conseguenza messa alla gogna. Doom 3 VR si salva dal punto di vista audio, ma pochissimi altri aspetti meritano attenzione o plauso.
Lo diciamo senza vergogna o rabbia, solo con un po’ di frustrazione: in diversi momenti è stata la necessità di portare su queste pagine la recensione a spingerci a tenere duro fino al prossimo corridoio, al prossimo demone, al prossimo armadietto da aprire con una combinazione. Doom non è questo, e non dovrebbe esserlo.
Doom 3 VR riesce in qualcosa che non pensavamo fosse possibile, soprattutto non in un contesto come quello del franchise di id Software: rende l’esperienza VR diminutiva rispetto all’originale (da noi poi rivissuta proprio per dettare questo paragone), riuscendo a stendere su quasi tutto il comparto tecnico, e perfino nel game loop di base e nel gunplay, un velo di mediocrità che scaturisce da scelte meccaniche che possiamo a malapena rispettare, ma che sicuramente non ci spingiamo a condividere. Doom 3 VR sembra un cashgrab senza arte né parte, un titolo che ha come unico potenziale inaspettato quello di spingere i giocatori a rigiocare il Doom 3 originale. Il VR non è chiaramente un concetto e un ambiente di design sul quale possiamo appiccicare senza impegno una meccanica di gioco dando per scontato che funzioni; i titoli che infatti in VR, e in particolare su PSVR eccellono, sono quelli che ne riconoscono anche solo in parte le potenzialità, i limiti e le necessità, a partire dal comparto narrativo, ma non senza sapersi spingere persino a quello meta-videoludico (il linguaggio dei segni usato dal topino di Moss, ad esempio). I termini di paragone con altri titoli VR è giusto tracciarli, in fondo siamo qui anche e soprattutto per questo, e ci spiace dover sottoporre ad una disamina così crudele Doom 3 VR, ma l’asticella delle esperienze VR è stata fissata ed è bella alta, ed è giusto che noi, come voi, si sappia riconoscere che, certo, Doom 3 merita di meglio di questa trasposizione, ma che anche il VR merita di meglio.
Pro
- L'intro è incredibilmente immersiva
- Il sound design eccelle...
Contro
- ...dove invece gli asset visivi e le texture deludono
- Mirare con il Dualshock è improponibile
- La mancanza di supporto ai PS Move è inaccettabile
- Sembra un'esperienza appiccicata al VR e non pensata per essa