Divinity: Original Sin
Per tutti i dinosauri cresciuti durante il cretaceo della tecnologia, dove il massimo a cui un gamer poteva aspirare era un oscilloscopio su cui poter giocare a pong, sicuramente sarà facile ricordare quanto le giornate fossero lunghe e noiose: due tiri a pallone con gli amici (anche se non siamo mai stati un granché ndr), un ghiacciolo e magari riuscivamo anche a dare una sbirciatina alle ragazze del vicinato. Erano decisamente altri tempi. Le nostre giornate trascorrevano tranquillamente, e noi eravamo ignari del tifone che ci stava per investire e che avrebbe stravolto totalmente le nostre vite. Dal nulla uno dei nostri amici ci venne a citofonare per raccontarci una storia: un suo amico, che noi non conosciamo, gli ha appena regalato il più mitico gioco da tavolo mai inventato, dal nome Dungeons & Dragons: le miniature, una mappa, dadi dalle forme mai viste, un campo di gioco e quell’immancabile, quanto strano, mattone/guida di quattrocento pagine di regole che il Master doveva imparare.
Da quel giorno nessuno dei vicini si lamentò dei rumori del pallone che sbatteva contro la serranda, o della vicina che urlava perché la spiavamo dalla finestra: i ragazzini del cortile sembravano spariti, “forse rapiti” diceva la vecchietta pettegola dell’ultimo piano. Nessuno capiva bene cosa facevamo chiusi per delle ore in una stanza sgranocchiando patatine e sorseggiando qualche bevanda gassata. Eravamo troppo impegnati a liberare la principessa dal castello, o a cercare di raggirare un troll per non pagare il pedaggio, o ancora meglio in qualche combattimento epico con chissà quale creatura evocata dagli inferi. Eravamo talmente presi dal non accorgerci di tutto quello che ci accadeva intorno, chiusi in quella stanza, con la nostra nuova quest. Eppure si sa, gli impegni non tardano ad arrivare. Anche se gli irriducibili esistono: quelli che nonostante tutti gli impegni ti contattano sempre per sapere se hai il tempo per una piccola giocata.
Perché questo lungo preambolo vi chiederete? Perché oggi ci ritroviamo a raccontarvi la storia di un gioco indipendente, che ha quasi certamente ridato vigore all’intero genere RPG, che negli ultimi anni si è diversificato in tantissimi sottogeneri, andando a dimenticare le sue forti e anzianotte radici. Ma prima che questa recensione si trasformi in un completo revival anni ’90, o in un meme della Pepperidge Farm, volevamo parlarvi di questo gioco, ovvero di Divinity: Original Sin. Ha fatto un po’ la storia del genere, insieme ai suoi predecessori, soprattutto per quella nicchia di amanti del gioco di ruolo classico. Nonostante rimanga abbastanza fedele alle regole classiche dei GDR, è stato denaturato di tutte quelle regole che i più giovani (e anche alcuni dinosauri ndr) trovavano noiose, riuscendo a regalare nuova luce a questa saga da tempo dimenticata. Per questo siamo sicuri di dover ringraziare i ragazzi di Larian Studios, uno studio indipendente belga che ha in cura la serie Divinity fin dal suo primo capitolo, Divine Divinity. Dopo una campagna su Kickstarter di successo, sono riusciti a resuscitare la loro serie di punta e regalarci questa piccola pietra miliare, che speriamo divenga un faro per tutti i giochi del genere a seguire.
Divinity: Original Sin dispone di una campagna affrontabile sia in singolo giocatore che in cooperativa, con un massimo, stranamente, di due giocatori per volta. Diciamo stranamente perché i personaggi giocabili nell’avventura saranno al massimo quattro, quindi ci si aspetterebbe una cooperativa a quattro giocatori. Tuttavia, durante lo sviluppo del gioco, si è optato per una campagna a due giocatori perché, a detta degli sviluppatori, meno dispersiva e più fruibile dal punto di vista del gameplay. Naturalmente non avete nulla per cui disperare: se ancora sognate di riportare insieme la vecchia crew di D&D, magari per un’ultima epica avventura, grazie a qualche piccola e semplice modifica a dei file di gioco sarà possibile ampliare la campagna ai più congeniali quattro giocatori.
Il primo passo prima di poterci buttare nell’avventura nelle terre di Divinity: Original Sin, sarà creare due personaggi, che vestiranno il ruolo dei protagonisti. Il pool di classi selezionabili sono le classiche del genere come il mago o il guerriero, insieme a tante altre aggiunte meno conosciute come il viandante (mago/assassino) o al mago da battaglia (mago/guerriero). Anche se non si nota un’estrema possibilità di personalizzazione (quella a cui i giocatori di D&D sono abituati), la scelta della classe iniziale è quasi certamente fine a se stessa: ad esempio, anche se abbiamo scelto di utilizzare un mago all’inizio, il gioco non preclude in nessun modo la possibilità di poter creare un ibrido, come un mago in grado di usare balestre o spadoni a due mani. Una scelta che mostra grande flessibilità, e che permette al giocatore di plasmare al meglio il proprio party in modo da affrontare gli scontri e gli ostacoli, nel modo che più lo aggrada.
Entrati nel vivo del gioco, veniamo accolti da un breve filmato iniziale, creato da ottime artwork animate, che ci snocciola le prime informazioni sulla trama e sui personaggi: la Sorgente, un tempo magia benevola portatrice di luce, è stata bandita dai Revellion perché ormai corrotta dall’oscurità e noi, i Source Hunter (coloro che hanno l’arduo compito di cacciare eventuali utilizzatori delle arti proibite, quelle arti che possono modificare sia lo spazio che il tempo) siamo la prima e ultima linea di difesa contro di essa. Cyseal, la città in cui siamo diretti, è stata teatro dell’omicidio del consigliere Jake e alcuni sospettano che ci sia la Sorgente dietro tutto questo. Ovviamente dovremmo svolgere il ruolo dei perfetti detective e investigare sull’intero caso, e per farlo dovremmo non solo ascoltare tantissimi NPC, ma soprattutto leggere, leggere, e leggere tantissimi log.
Il dungeon che si troverà a pochi passi dall’inizio dell’avventura, sarà un completo tutorial per le meccaniche di base del gioco, e ci permetterà di approfondire nel dettaglio una delle feature principali: le magie. Le magie saranno divise in categorie, così come le specializzazioni nelle armi e nelle armature, le magie personalità, il crafting e il borseggio. Ma mentre nella maggior parte dei GDR sono fine e a stesse, cioè a fare danni, su Divinity: Original Sin ogni magia avrà un effetto secondario, e sarà compito del giocatore riuscirne a prevederne gli effetti e sfruttarli a proprio vantaggio. Ad esempio una delle magie da subito disponibili per tutti i maghi sarà il Dardo Avvelenato, che come effetto primario infliggerà danni da veleno con una probabilità di avvelenarlo, mentre come effetto secondario creerà intorno all’area d’impatto una nuvola tossica che colpirà nell’immediato, e nei prossimi turni, chiunque vi passi in mezzo, sia alleati che nemici.
In aggiunta a questa già interessantissima meccanica, c’è anche la possibilità di utilizzare la nube tossica creata dal dardo per provocare un’esplosione, la quale colpirà, anche questa volta, tutti i malcapitati che ci si troveranno nelle vicinanze. Questa fisica si riuscirà ad applicare a quasi tutte le altre magie: sarà possibile nebulizzare l’acqua e poi elettrificarla per creare nubi statiche in grado di paralizzare i nemici; oppure bagnare i nostri nemici con una pioggia torrenziale che andrà ad amplificare i danni provocati dai fulmini. Insomma tutte queste varianti di buff e debuff e la possibilità di colpire sia nemici che amici con le magie che causano danno ad area, riescono a creare un gameplay strategico e profondo, in grado di appassionare veterani e neofiti.
Ciò che permette di distinguere meglio questo gioco dal resto dei GDR, facendolo risplendere di luce propria, riguarda i puzzle e i trabocchetti. Il gioco è disseminato di trappole e trabocchetti da evitare, indovinelli da decifrare, oggetti da particolari da raccogliere, forzieri e passaggi segreti nascosti che porteranno sempre al nostro caro e amato loot. Anche se è vero che i puzzle a livello intellettuale sono calibrati in modo graduale, ovvero in modo che il giocatore non li trovi mai irritanti e sempre divertenti, le trappole comuni d’altro canto non variano mai la loro potenza, neanche con l’avanzare dei punti ferita del party: se all’inizio dell’avventura una mina sarà in grado di uccidere anche il più forzuto dei nostri personaggi, verso la metà del gioco difficilmente riuscirà a preoccupare il più gracilino dei maghi. Le trappole perdono completamente fascino e, come se non bastasse, il relativo talento del ladro di poter disattivare le trappole diventa quasi inutile. Per fortuna le terre e i dungeon di Revellion sono disseminati di trabocchetti mortali, che di sicuro riusciranno a darvi del filo da torcere.
Quello che invece potrebbe far infuriare non pochi è il sistema di crafting. Partendo dal presupposto che si tratta di un sistema abbastanza profondo, che ci permette di craftare dalle semplici pozioni alle armature, ma anche frecce e pergamene in cui iscrivere le magie. Il problema è che svolge tutte queste richieste in maniera per niente intuitiva: le recipe vengono sbloccate attraverso la lettura di libri che si trovano sparsi all’interno del gioco. Una volta completato il processo di lettura, queste ricette verranno automaticamente annotate sul nostro diario. Fin qui tutto fila liscio come l’olio, se non fosse che il gioco manca totalmente di un menu dedicato al crafting, che si completerà semplicemente trascinando e combinando oggetti nel nostro inventario. Molto spesso ci sarà difficile trovare le ricette, perchè non suddivise in categorie, e saranno distinguibili soltanto dal nome del libro da cui provengono.
Certamente con un po’ di dimestichezza ci ricorderemo a memoria come creare la nostra pozioncina rossa di fiducia, ma bisogna ammettere che all’inizio questa feature è troppo macchinosa. La pessima gestione delle recipe non riguarda tuttavia soltanto il crafting ma anche l’inventario in generale: anche se l’inventario sarà diviso in categorie ben precise e sarà facile tenere traccia di tutti i nostri equipaggiamenti, sarà molto più difficile tenere conto degli oggetti relativi alle quest, principali e non. Non sarà insomma raro rimanere bloccati in qualche punto perché non ci siamo accorti di aver preso un oggetto fondamentale per procedere nella nostra quest o ancora peggio lasciarlo al suolo perché ritenuto di poca importanza. Tali oggetti non saranno quindi messi in evidenza rispetto agli altri, e alcuni sembreranno dei veri e propri junk da dover cestinare.
Una delle feature che più di tutte ci ha emozionato è la completa apertura del gioco a delle modifiche non ufficiali: potremmo creare grazie all’editor di avventure, la nostra storia personale o la nostra piccola quest e poi anche inviarla all’intera comunità di Steam. Infatti il titolo potrà essere adeguatamente moddato a piacimento, e siamo sicuri che a breve lo vedremo pieno zeppo di rimandi di qualsiasi tipo, perché le possibilità aperte da questa funzionalità sono praticamente illimitate. Detto ciò si capisce bene che Divinity: Original Sin a livello di longevità è completamente rigiocabile, e rischia di diventare la nuova killer application di D&D. Soprattutto grazie a una foltissima comunità di modder che è in costante aumento e che sicuro in futuro non ci deluderà.
Graficamente parlando il gioco resta su ottimi livelli, anche se non è caratterizzato da texture di qualità estrema. Le ambientazioni sono ben riprodotte e riescono a immergere il giocatore nell’atmosfera del gioco. Piccola pecca è la telecamera isometrica, che non potrà girare liberamente a 360°, ma sarà ancorata ad un angolo di 180°: anche se questo non inficia assolutamente sulla godibilità dell’avventura, spesso durante i combattimenti ci verrà difficile puntare correttamente il nostro avversario, risultando a volte in un miss click che porterà a un movimento involontario. Anche le ambientazioni non risplendono, un po’ monotone e sotto tono, ma comunque molto legate agli standard del genere. Nota invece tutt’altro che negativa è il comparto sonoro, che oltre a ottimi effetti sonori di magie e doppiaggio totalmente in inglese (i meno anglofoni dovrebbero spaventarsene), presenta anche delle ottime musiche di accompagnamento. Dobbiamo ammettere che la questione “localizzazione” in un gioco come Divinity: Original Sin può diventare un vero e proprio problema. La mole di roba da dover leggere/interpretare è davvero enorme, e di sicuro parte dell’esperienza viene minata da questa mancanza di traduzione in lingua nostrana.
[signoff icon=”quote-circled”]In Divinity: Original Sin siamo costretti a confrontarci con le conseguenze di ogni nostra azione, poiché è un titolo che possiede un proprio peso vitale, a tal punto da spingerci a convivere con un’eventuale amoralità mostrata durante la narrazione. Non stiamo parlando di un gioco dove abbiamo a che fare con la solita solfa “azione cattiva o azione buona”. Non è un’avventura da “sblocca il finale perfetto”. Divinity: Original Sin è un titolo che vuole riportarci a quei dialoghi fantastici che ci hanno rapiti durante il cretaceo della tecnologia. Ma per farlo dovremmo usare bene il nostro cervello, e l’interfaccia di gioco è un chiaro rimando a quest’ultima affermazione. Al giorno d’oggi c’è solo bisogno di titoli che ci diano fiducia, che non ci facilitino le cose e basta. E questa è la vittoria più grande per Larian Studios: riuscire a creare un mondo fatto di meraviglia, che invoglia il dinosauro a tornare nelle fantastiche memorie ruolistiche del passato e che lo porta a esplorare, a capire, a lottare, a sognare.[/signoff]