Deus Ex: Human Revolution

Nuovo rinascimento

È difficile mettere insieme qualcosa di decente quando c’è tanta ambizione. La formula però è collaudata e ben riuscita: Human Revolution non fa né più né meno che riprendere le meccaniche dell’originale Deus Ex ed adattarle alle necessità videoludiche odierne, curando maggiormente l’interazione e il dettaglio di quanto fosse tecnicamente possibile in passato. Oltre che nel gameplay, possiamo osservarlo nella ricchezza degli ambienti: ogni luogo è vivo e “realistico”, e rispecchia le caratteristiche che gli sviluppatori hanno deciso di dare alla società del 2017. Strade principali piene di schermi pubblicitari e negozi, vicoli fatiscenti abitati da persone demodé, stanze ricolme di oggetti di uso comune e personale degli individui che le abitano o frequentano… nulla è lasciato al caso e nulla è inutile, come quei personaggi ben nascosti che vi venderanno munizioni, armi e modifiche per le stesse al nero, o le cliniche Limb, dove comprare oggetti di cura o punti Praxis a caro prezzo.

E tornando al background: non sono solo le decine di dialoghi ed e-mail ad approfondirlo: il giocatore apprende moltissimo sulla società semplicemente guardandosi in giro, e, onestamente, sono scelte di design come questa che rendono un gioco in grado di uscire dall’anonimato, dimostrando che non sono solo poligoni, rendering avanzati e texture ultra-definite a rendere interessante un titolo. Avendo tirato in ballo la colonna sonora, non si può che dichiarare la soddisfazione provata: ogni tema musicale è adatto al contesto e carico di emozioni, a partire dal sottofondo che accompagna ogni vostra visita alla Sarif fino ai brani da combattimento. Anche il resto dell’audio non delude, specialmente riferendosi alle armi, anche se non si può definire riuscito il doppiaggio italiano, che consigliamo vivamente di non sostituire alle voci originali, decisamente meglio riuscite – comprenderete anche voi che eliminare nemici con la voce di Pietro Ubaldi (aka: Capitan Barbossa e taaaaanti altri, ndr), per quanto soddisfacente, renda l’esperienza sensibilmente meno seria.


L’inevitabile confronto

Giunti fin qui, la recensione si potrebbe dire pressoché fatta, e Human Revolution sembra proprio un signor gioco che prende le distanze dai tanti altri prodotti che non sono né carne né pesce. Eppure, qualcosa non quadra: se siete tra coloro che hanno giocato, rigiocato, amato, adorato, osannato, idolatrato ecc. ecc. (come il sottoscritto, ndr) il primo Deus Ex, questa sezione è dedicata a voi.

Anzitutto, la sensazione provata con il primo capolavoro è impossibile da eguagliare, per via dell’atmosfera cyberpunk decadente influenzata dalla medesima letteratura degli anni ’80 che non ha nulla a che vedere con questo “rinascimento futurista”: pur non mancando di fascino, non sortisce lo stesso impatto dell’originale, ponendo i due episodi in due realtà distinte. In secondo luogo, ci sono domande senza risposta che lasciano non poche perplessità, partendo dal fatto che pur essendo un prequel, appare molto più futuristico del presunto seguito, e proseguendo con buchi nella trama che rendono difficile creare un collegamento – come le tante aziende qua protagoniste e mai nominate nemmeno per sbaglio in Deus Ex, e tanti altri fatti che (non) si comprendono giocando. Questi due fattori riescono già da soli a rendere difficilmente riconducibile Human Revolution all’universo di Deus Ex. Anche alcune scelte di gameplay lasciano amarezza, a partire dall’ormai consolidata abitudine di prendere per mano il giocatore e portarlo all’obbiettivo, semplificando il gioco e facendo calare l’importanza della scoperta – non per nulla i livelli migliori saranno quelli dove partirete non avendo nessuna idea del da farsi.

Ma infieriamo, raccontandovi della scelta di gameplay più ingrata che si potesse fare: i boss. Non ve ne avevamo ancora parlato ma, ebbene sì, ci sono, e se avevamo detto che il gioco si poteva finire senza uccidere nessuno, ora per essere corretti dovremmo dire quasi nessuno: sì, dovrete ucciderli, per forza. Questo purtroppo rende evidente anche un’altra cosa: la spiccata orientalità del gioco. Laddove Deus Ex aveva come vero protagonista una civiltà al limite del crollo (similmente a quella reale, ndr), alla mercé di governi fantocci e multinazionali di anonimi bramosi di potere, Human Revolution si concentra troppo sui personaggi e la loro emotività, rendendo la vicenda una vicenda eroica. JC Denton e Adam Jensen non hanno nulla in comune: Denton è un servo di poteri maggiori che prende lentamente autocoscienza della sua posizione, lasciando però fino alla fine sensazione di impotenza e di non poter cambiare il mondo da solo, come difatti non avviene; Adam invece, a seconda delle scelte fatte, diventa un eroe o un anti-eroe, nella tipica tradizione nipponica in cui il protagonista ed i suoi ormoni sono alla testa di tutti i cambiamenti dell’universo. Il colpo di grazia lo dà il fatto che la campagna di marketing che ha preceduto l’uscita del gioco ha praticamente rivelato, o comunque reso prevedibile, una buona metà della trama, ed il resto dei danni lo fanno introduzione e prologo del gioco, specialmente se prendete la briga di leggere tutto ciò che trovate nella prima stanza.


Esito

Ci troviamo di fronte ad uno di quei titoli che meriterebbe due voti: se si chiamasse solamente Human Revolution e non avesse riferimento alcuno a Deus Ex, probabilmente nessuno gli negherebbe il merito di essere un giocone, ma appurato che la realtà è ben diversa, il vero fan di Deus Ex si vede costretto ad un’amara decisione. Intendiamoci: Human Revolution non è un brutto gioco, anzi, ma eccetto combattimenti e grafica, resi migliori grazie allo sviluppo tecnologico intercorso in tutti questi anni, non c’è davvero altro che Deus Ex non avesse già, a partire da sceneggiatura e personaggi molto più maturi.
La dura verità è che l’hype è una brutta, bruttissima bestia, in grado di accecare anche i critici più feroci.

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