Dead Rising Deluxe Remaster RECENSIONE
Dead Rising Deluxe Remaster soffre di uno dei problemi principali delle remaster di titoli particolarmente vecchi e profondamente radicati nelle proposte di game design del momento storico nel quale sono originariamente usciti: è uno scheletro tirato a lucido.
È nuovamente senza legame affettivo all’originale (creato da Keiji Inafune per Capcom nel 2006 e, ad oggi, la 6a IP più di successo di Capcom) che pronuncio, o scrivo, queste parole. C’è da divertirsi, con Dead Rising Deluxe Remaster, ma gli anni si vedono e si sentono, e forse si poteva fare qualcosina di più nel rimaneggiare questo titolo.
Dead Rising Deluxe Remaster RECENSIONE
Un elicottero in volo, una macchina fotografica, una cittadina sperduta che oggi no, non è incastrata nel suo solito tram tram quotidiano. Chiaramente il gioco si chiama Dead Rising e potrai immaginare che saranno nuovamente gli zombie a ostacolare il nostro cammino, ma nel caso di questa remaster non è tanto il cosa che ci deve interessare, quanto il dove e il come.
La location di gioco è infatti il Willamette Center, un enorme centro commerciale che ospiterà l’intera avventura e che rappresenta un parco giochi piuttosto interessante per quanto Dead Rising Deluxe Remaster sa e vuole offrire. Abbiamo 3 giorni per venire a capo di quello che sta succedendo in città, per cercare informazioni sull’origine della mutazione che sta trasformando tutti in zombie e per svignarcela. Siamo reporter, in fondo, e la verità è la nostra moneta, ma Dead Rising Deluxe Remaster è più interessato ad un’altro moneta: il nostro tempo.
Quella di Dead Rising Deluxe Remaster è una recensione che molto parlerà di conflitti, e il primo sta qui: Dead Rising Deluxe Remaster rispetta il nostro tempo almeno quanto a volte lo dilania per capriccio. Se la missione è quella – generica – di recuperare informazioni, infatti, il gameplay minuto per minuto di DRDR è fatto di continui viaggi da A a B, da B a C e poi di nuovo ad A. A non rendere la cosa monotona ci sono dei piccoli eventi, che il gioco chiama “scoop”, solitamente legati alla presenza, ostile o meno, di altre sopravvissute/i.
Se lo volessimo, potremo intervenire in qualsivoglia situazione includa questi sopravvissuti e procedere in uno di due modi: se l’NPC è amichevole, è utile salvarlo dal pericolo immediato, armarlo, e portarlo in salvo nella stanza di sicurezza che funziona grossolanamente come hub; se l’NPC fosse ostile, vi chiedo di prepararvi a sezioni di combattimento più intense di quelle con gli zombie.
Spazi vitali e mortali
Il centro commerciale è pieno zeppo di non morti, e saranno loro i principali spettatori e destinari dei nostri colpi di arma bianca o dei nostri proiettili. Mi sono trovato davanti a corridoi strettissimi e pieni di zombie almeno tante volte quante le situazioni nelle quali era un grande spiazzo interno – o esterno – ad offirisi orgoglioso ostacolo della mia traversata. Gli zombie di Dead Rising Deluxe Remaster in sé non costituiscono troppo pericolo, se non per il loro numero, e solo alcuni poliziotti non morti possono colpirci con le loro pistole, mirate e “attivate” per una qualsivoglia abitudine o memoria muscolare.
Di contro le nostre capacità offensive sono svariate, dalle più ovvie (coltelli, travi, mazze da baseball) alle più improvvisate, come ombrelloni, palle da bowling e spade giocattolo. Non ci sono statistiche a rovinarci il divertimento, e il più delle volte conta più buttare a terra i nemici che assicurarsi che non si rialzino.
Le armi hanno sì una barra di durabilità – e le armi un numero di proiettili piuttosto generoso – ma Dead Rising Deluxe Remaster mette eroicamente in primo piano l’urgenza di attraversare le masse di non morti, più che l’enorme varietà di mosse o combo. Occasionali bombole di propano o carrelli possono aiutarci ad aumentare il nostro kill count, ma in generale ogni strumento di morte è immediato sia nell’utilizzo che nella comprensione di come funziona.
Poco prima vi parlavo però di NPC e, se poco c’è da dire sulla gestione di quelli amichevoli, da salvare e sopportare accompagnare in salvo sfoderando tutta la pazienza del mondo, complice il modo rudimentale (ma funzionante) che Dead Rising Deluxe Remaster ci fornisce per gestirli, per i sopravvissuti più ostili, definiti “Psycho”, conta molto interpretare l’ambiente nel quale ci troviamo.
Se uno psycho proprietario di un alimentari sembra infatti particolarmente sensibile all’essere colpito con le casse piene di contanti, un veterano della guerra del Vietnam apprezzerà particolarmente la punta delle motoseghe di un negozio di ferramente. Altri psycho, come una famiglia di cecchini, sono più lineari, mentre altri sono più complessi nella definizione del “trucchetto” necessario ad abbatterli (sto guardando te, Clown!). È proprio l’interazione con questi psycho, però, che fa ritornare i conflitti che introducevo poco fa.
Imbalsamati a fissare lancette
Una storia non la si può raccontare senza cutscene, in fondo, e Dead Rising Deluxe Remaster ne fa un uso sapiente, almeno per quanto riguarda la loro quantità e durata. È come sono messe in scena, però, il vero problema. Tempi e battute sono infatti sempre leggermente “sbagliati”, i silenzi fra un personaggio e l’altro sempre troppo lunghi per essere pregni di tensione e non solamente mal ritmati, e solo il protagonista, per quel che mi riguarda, si salva in quanto a interpretazione.
Sì, la voce del protagonista Frank non è la stessa del gioco originale (Terence J. Rotolo, qui sostituito da Jas Patrick), e anche il modello di gioco è ora leggermente più vecchio, ma Frank rimane il personaggio che, nel complesso, è più approcciabile e comprensibile, il meno “macchietta stereotipata”.
I comprimari di Dead Rising Deluxe Remaster sono infatti elastici come carrozze sui binari, e altrettanto malleabili nella comprensione e definizione di ciò che li spinge e motiva, o anche solo definisce; gli eventi si succedono “perché sì” e il loro peso emotivo è traballante fra nullo e involontariamente comico; il comparto narrativo rimane vittima di una struttura di design che, di per sè, risulta invece ancoora fresca, ad oggi, quasi capostipite delle versioni moderne dei roguelike.
Ti ricordi quando dicevo che abbiamo 3 giorni per recuperare indizi relativi a quello che sta succedendo? Quei 3 giorni sono un effettivo limite di tempo che Dead Rising Deluxe Remaster ci mette davanti: ogni giorno dura circa due ore in-game e ogni evento o scoop che inseguiremo ha una scadenza molto specifica, e a volte molto stretta. In ogni momento abbiamo almeno due o tre conti alla rovescia da rispettare, e spesso ne va della sopravivvenza di uno degli altri 76 comprimari.
Qui la cosa che abbaglia e sorprende è sicuramente l’idea di design alla base: il bloccare del contenuto di gioco dietro a scadenze “reali” è una scelta coraggiosa e che vorrei più titoli si permettessero di fare, ad oggi, sopratutto nel modo trasparente e onesto con quale Dead Rising Deluxe Remaster ti permette di ricominciare dal giorno 1 ma con tutte le skill che hai sbloccato ancora con te. L’integrazione di queste idee mostra però il fianco di una UX che, pur con le attenzioni che il team ha sicuramente messo in questa Remaster, non eccelle. L’elemento che forse più triggera lo UX designer che sono, a parte i continui caricamenti da zona a zona, giustificati dalla necessità di “scaricare” il peso grafico e tecnico delle maree di zombie che il centro commerciale di Willamette offre, è la UI relativa proprio alla “scadenza” degli eventi.
Rappresentata da una barra che mano a mano si svuota, questa deadline non si spiega mai troppo bene, dandoci una senso di urgenza quando in realtà l’evento “inizia” (e non “finisce”) alla fine del countdown visivo. Ad ognuno dei punti di salvataggio, sparsi per la mappa, potremo far avanzare il tempo in modo graduale o più violento, con il rischio ovviamente di perderci determinati eventi o occasioni. È una remaster eseguita oggi, quindi aspettatevi più slot di salvataggio e qualche autosalvataggio ben piazzato che più di qualche volta vi salverà la pellaccia (o vi darà modo di riprovare uno scontro particolarmente ostico).
Say cheeeeeseeeeee!!!
No, non potevo chiudere la recensione senza citare l’altra meccanica chiave di Dead Rising Deluxe Remaster: le fotografie. Frank in fondo è un fotogiornalista e non c’è momento nel quale non trovi l’occasione di inforcare la macchina fotografica e immortalare ciò che lo circonda per costruire “lo scoop del secolo”, ma al di fuori delle cutscene sta a noi scattare quelle foto.
Non esistono missioni che utilizzino espressamente questa meccanica, ma il loop dello scattare fotografie è indissolubilmente legato all’ottenimento di XP. Uccidere zombi è l’attività che faremo di più, ma non quella che restituirà maggior crescita di skill del personaggio. Dovremo comporre composizioni d’eccezione, infatti, per ottenere grosse quantità di XP (qui chiamati “PP”) e per livellare, sbloccando skill predefinite che ci danno ulteriori possibilità di colpi corpo a corpo e modalità di attraversamento (come il saltare sulla schiena di uno zombie per saltare da uno zombie all’altro).
Ad aiutarci ci sono i “toni” delle fotografie, da comico (“Outtake”) a truculento, a romantico, a drammatico. Più soggetti avremo nell’inquadratura e più quel “tono” sarà definito, più potremo contare in grossi quantitativi di esperienza. Esistono ovviamente anche sfide interne al gioco che toccano la meccanica fotografica, ma anche in questo caso non giustificano troppo la sua inclusione, se non appunto legata al miglioramento del personaggio, sempre meno sensibile di quanto vorrei e saltuariamente legato ad un tot di energia massima in più, o una capacità di tiro potenziata.
Dead Rising Deluxe Remaster è quello che succede quando un lavoro di aggiornamento di un titolo ultradecennale si sofferma all’aspetto estetico e, a parte qualche elemento di quality of life, gioca più sul fattore nostalgia che sulla voglia di ammodernare una struttura ludica. Detto questo, DRDR rimane un titolo godibile nelle sue imperfezioni e coraggioso per l’adozione di un loop roguelike ante litteram. Se riuscite a lasciar correre un evidente scheletro da gioco di due gen fa, c’è sicuramente del divertimento dietro i vetri scheggiati e sanguinolenti di questa revisione dell’opera di Keiji Inafune.
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DEAD RISING DELUXE REMASTER è uno scheletro tirato a LUCIDO
Dead Rising Deluxe Remaster soffre di uno dei problemi principali delle remaster di titoli particolarmente vecchi e profondamente radicati nelle proposte di game design del momento storico nel quale sono originariamente usciti.
Divertimento spigoloso
Pro
- Struttura di design interessante e a tratti innovativa, soprattutto per il tempo
- La mappa è interessante e grande abbastanza da offrire diverse opportunità di gameplay
- Gli psycho sono interessanti, nella maggior parte dei casi
Contro
- È una lucidata di qualcosa che a tratti sa davvero di vecchio
- Un po' pigro a livello di UX e la UI è a tratti confusionaria
- L'interpretazione dei co-protagonisti è ispirata a Corinna de Gli Occhi del Cuore