Dark Souls II – Dark Souls II
Oltre l’hardcore game
Il mondo videoludico ultimamente risulta sempre più piegato alle regole commerciali: i titoli di celebri saghe, pur con le dovute eccellenti eccezioni, si riducono troppo spesso a cloni degli episodi precedenti, e titoli horror inizialmente di nicchia si sono trasformati in saghe dense di sparatorie (vedi Dead Space e Resident Evil). In altri casi abbiamo avuto tagli di censura al solo scopo di abbassare il PEGI di un titolo videoludico, per renderlo fruibile da un pubblico più giovane ed esteso (leggi: per vendere più copie). Pochi sono i coraggiosi sviluppatori in grado di muoversi controcorrente, spesso relegati alla sola scena indie, che non accettano né regole di mercato né compromessi.
Tra queste mosche bianche dell’industria videoludica un posto ormai d’onore spetta alla From Software. Già autori di vari Armored Core, gli sviluppatori della casa nipponica crearono all’inizio del 2009 un titolo controcorrente rispetto ai consueti (e abusati) canoni videoludici: Demon’s Souls. Partito quasi in sordina per il solo mercato giapponese, il titolo della From divenne in meno di due anni un punto fermo nel panorama videoludico, riprendendo meccaniche hardcore figlie di una scuola ormai quasi scomparsa, quella degli anni ’80 e ’90, che vedeva nella costanza, nei riflessi e nell’allenamento le sole chiavi per la vittoria. Forte anche di un’atmosfera unica e decadente, Demon’s Souls (esclusiva PS3) uscì nel mercato occidentale solo nel 2010 e diede inizio a una saga multipiattaforma, proseguita con l’eccellente Dark Souls e giunta a questo nuovo ed atteso titolo, che riprende le meccaniche e le atmosfere degli episodi precedenti, limandone i difetti e aumentandone i pregi.
Una terra cupa, decadente, crudele
Drangleic è il vasto regno di re Vendric, un tempo glorioso e potente, ma ormai ridotto a una desolata landa abitata da non morti e da creature deformate dalla corruzione. In questo scenario, affascinante e decadente come pochi se ne vedono nel videoludo, si avventura il nostro alter ego, un non morto marchiato da un’antica maledizione e condannato a vagare (e combattere) per recuperare la propria umanità perduta.
All’inizio della nostra storia conosceremo tre enigmatiche anziane, molto più antiche di quando vorrebbero far credere, che ci faranno intuire lo sfondo della ricerca di un nuovo re in grado di far tornare Drangleic ai suoi passati splendori. Nel nostro vagare incontreremo numerosi personaggi, alcuni amichevoli e utili, altri ostili, ma ognuno con un ruolo ben preciso nell’avventura. La trama di Dark Souls 2 segue quindi la filosofia tracciata dai primi due titoli: spiegare poco, raccontare ancora di meno e rendere ogni indizio velato e sottinteso. Completamente slegata dal primo Dark, la storia non viene quindi esposta in modo lineare e completo, ma lascia all’utente il compito di capirla mettendo insieme i vari dialoghi, le scene cinematiche, e persino le descrizioni degli oggetti che troveremo. Questo potrebbe non piacere agli affezionati dei gdr di stampo classico, con trame ben definite e piene di dialoghi, ma è una scelta in grado di donare a Dark Souls 2 un suo inconfondibile carisma, quasi a voler ancora sottolineare la perenne atmosfera priva di speranza, tipica dell’intera saga.
Spietato ma onesto
Al di là di qualsiasi altro aspetto, quello della giocabilità, per precisa scelta degli sviluppatori, è quello meglio riuscito e sviluppato. Le meccaniche sono le stesse dei precedenti titoli, al punto che un utente veterano non faticherà a trovarsi a proprio agio con il pad in mano. Ma numerose piccole limature e tocchi di classe ne migliorano ora l’esperienza. Le prime novità, in meglio, riguardano già l’editor del nostro personaggio, ora più completo e dettagliato. Le classi disponibili passano dalle dieci del primo Dark Souls a otto, con due nuove entrate costituite dall’esploratore, non molto forte ma sin da subito equipaggiato con molti oggetti utili, e il maestro di spade, eccellente nell’uso di due armi.
Questa è un’altra gradita limatura del gameplay: dove nel primo episodio equipaggiare un’arma al posto dello scudo comportava uno stile di combattimento scomodo e lento, ora la possibilità di usare un’arma per mano è gestita in maniera realistica e fluida, permettendo di fatto l’uso di nuove tecniche. Ma scegliere una classe invece di un’altra è del tutto relativo: la gestione delle statistiche (anch’essa migliorata) permette di partire come mago, per poi magari proseguire come guerriero, ed eventuali ripensamenti possono essere corretti grazie all’uso di un particolare oggetto che permette di resettare i punti abilità finora spesi.
Lo stesso sistema di controllo ha subito cambiamenti che vanno da uno scatto più reattivo, un attacco critico più facile (eseguibile con un solo tasto) fino alla possibilità di saltare usando un tasto differente da quello usato per rotolare. Limature che potrebbero sembrare di poco conto, ma che risultano utilissime nelle meccaniche hardcore del titolo, in cui il minimo errore porterà a una prematura dipartita.
Anche l’inventario è ora più veloce e semplice da gestire, scelta felice da parte degli sviluppatori, dal momento che anche questo titolo non consente di mettere in pausa. Oltre al sistema di controllo, l’ambientazione stessa ha subito cambiamenti in grado di rendere l’esperienza più gestibile, senza per questo facilitarla. Sin da subito abbiamo la possibilità di teletrasportarci tra i falò scoperti, eliminando di fatto i lunghi viaggi a piedi che rallentavano la prima metà di Dark Souls. La scelta è stata necessaria anche per il fatto che ora per passare di livello non ci si dovrà riposare nei falò, ma dovremo interagire con una fanciulla (come con la Maiden in Black di Demon’s Souls) situata a Majula, una sorta di zona franca paragonabile al Santuario del legame di fuoco o al Nexus dei precedenti titoli.
La novità più grande riguarda l’eliminazione del respawn dei nemici uccisi. Nei precedenti titoli, una volta tornati al falò (o al Nexus) si aveva la possibilità di salvare la partita, ma al prezzo di resettare tutti i nemici uccisi (a parte i boss e alcuni nemici isolati). Tale tecnica aumentava di fatto la difficoltà dell’esperienza, già tosta di per sé, ma permetteva anche di accumulare punti esperienza (anime) sconfiggendo più volte gli stessi nemici, rallentando l’intera esperienza. Ora i nostri avversari torneranno in scena solo una decina di volte, dopo di che non appariranno più. Ciò elimina del tutto l’abuso del farming, ma permette, con la perseveranza, di rendere il nostro cammino leggermente meno ostico. Una scelta che potrebbe far piacere a molti utenti e deluderne altri, ma la crescita del nostro personaggio rimane comunque garantita dalle numerose anime rilasciate dai boss e da altri riusciti accorgimenti.
Questi boss rimangono difficilissimi da abbattere, ma sono più equilibrati rispetto a quelli del primo Dark. Dove prima si alternavano boss sconfitti al primo giro ad altri di una difficoltà estrema, in grado di richiedere da soli interi giorni di noioso farming, sono ora necessarie una tattica calcolata e una perfetta conoscenza del nostro equipaggiamento e dei pattern di attacco dei boss.
A fare da sfondo a questi numerosi e gradevoli cambiamenti, e a qualche gradito ritorno (le gemme vitali, equivalenti dell’erba calante di Demon’s, e un anello che permette di recuperare lentamente punti ferita) troviamo le stesse meccaniche spietate e dure del primo Dark, ma migliorate in modo da dare ormai la certezza che, se si muore, è solo per un errore nostro, e mai per un errore del sistema. Anche la barra vitale, in maniera molto simile a quanto accadeva in Demon’s, subirà un abbassamento graduale e stazionario (comunque gestibile tramite un anello speciale), curabile solo tornando umani. Solo un costante allenamento e una monumentale pazienza (che qualcuno chiama passione), quindi, permettono di gestire al meglio l’esperienza in un mondo senza apparenti punti di riferimento, pieno di boss (molti di più rispetto a prima), e dall’ambientazione vasta e labirintica.
Insieme si muore meglio
Discorso a parte merita il lato online di Dark Souls 2. Sin dal primo Demon’s le meccaniche online dettate da From Software si sono rivelate innovative e interessanti, permettendo un’interazione tra utenti fatta di evocazioni di personaggi, messaggi di aiuto lasciati sul terreno e invasioni.
In questo nuovo episodio le cose sono ulteriormente migliorate: votare un messaggio lasciato dal un giocatore connesso, farà ripristinare subito la sua barra vitale. Le invasioni, ora possibili in qualsiasi momento, comportano varie penalità per quegli utenti che ne abusano, e sono vincolate da patti specifici. Come la possibilità di battersi limitata all’appartenenza alla stessa covenant.
Utenti che seguono la stessa divinità possono inoltre interagire più facilmente, anche tramite una chat vocale (limitata al cooperativo e all’uso di un anello), ed è presente anche un’utile opzione per restringere il campo geografico dell’online.
Sangue e nebbie
Contrariamente alla giocabilità, il comparto tecnico risulta essere il meno curato del titolo From Software. Siamo abbastanza lontani dalla sfavillante demo mostrata all’E3 del 2013 (stessa cosa successa, a suo tempo, con Aliens: Colonial Marines), e solo di recente gli sviluppatori hanno giustificato questo sacrificio tecnico con la necessità di distribuire al meglio le risorse hardware disponibili.
Le texture risultano buone, anche se non all’altezza delle produzioni più recenti, il framerate è stato migliorato, così come la gestione delle fonti di luce, ma in generale il lato tecnico è simile a quello del precedente titolo, anche l’assenza di movimento delle labbra dei personaggi durante i dialoghi è rimasta.
L’hud di gestione dell’inventario a schermo (per inciso: la croce direzionale in basso a sinistra, che ospita gli oggetti equipaggiati) è ora a scomparsa, permettendo di liberare la visuale durante la nostra avventura. Il vero fascino del titolo, e dell’intera saga, non sta nel numero di poligoni o nella qualità delle texture, ma nello stile unico delle ambientazioni e dei nemici, tipicamente mature e occidentali, nonostante la produzione nipponica.
Permeato da una sorta di decadente misticismo, il cupo design di Dark Souls passa da scenari evocativi e oscuri, a mostri e boss che più di una volta raggiungono vette di vero e proprio genio artistico. Distorto, tetro, talvolta macabro, ma pur sempre geniale. Con l’unica ombra di alcuni mid-boss troppo simili tra loro, e qualche ambientazione che sa di già visto (la torre di Heide sembra la copia di Anor Londo). In generale stupisce come gli sviluppatori, dopo due episodi dalle ambientazioni altrettanto affascinanti, siano ancora in grado di creare scenari e situazioni di una simile potenza evocativa.
Il sonoro, da parte sua, comprende gli stessi effetti già ascoltati nel primo Dark, accompagnati da rari dialoghi, abbastanza ben caratterizzati, e da un buon numero di musiche perfettamente adatte al contesto.
Oltre la morte, verso la perfezione
La saga di Dark Souls è e rimane di nicchia, rivolto ai giocatori che non temono una sfida fatta di costanza, abilità e pazienza. Alla From Software va l’innegabile merito, in un mondo videoludico ormai schematizzato, di non aver ceduto alla tentazione di rendere il suo ultimo titolo più commerciale, ma è rimasta saldamente ancorata ai canoni tracciati dai primi due episodi.
Grazie ai numerosi miglioramenti, alle limature del gameplay e delle meccaniche, Dark Souls 2 raccoglie la pesante eredità dei suoi predecessori e raggiunge quell’eccellenza che il precedente titolo aveva solo sfiorato. Le aspettative per questo titolo erano alte, così come i timori da parte di chi temeva uno snaturarsi della saga e la scomparsa delle sue tipiche e affascinanti meccaniche hardcore, ma la From Software ancora una volta non delude nessuno.
Fare paragoni con il primo Dark Souls (o addirittura con Demon’s) è fuori luogo, tali e tante sono le differenze, in meglio, di quest’ultimo episodio. La scelta di limitare il farming, e di rendere il teletrasporto fruibile sin da subito, elimina i tempi morti. Ora si passa più tempo a giocare effettivamente, piuttosto che a vagare tra un falò e l’altro spendendo ore per raccogliere anime.
La mancanza di trama è una falsa impressione e, pur non essendo l’elemento principale del titolo, risulta comunque più articolata rispetto a prima. Il lato tecnico non è troppo curato, e da piattaforme ormai giunte all’apice della loro potenza ci si sarebbe aspettati di meglio. Ma ben venga, se questo è il prezzo da pagare per avere un titolo tanto ben confezionato, divertente, longevo, vasto, complesso e dalle meccaniche così affascinanti.