Cuphead – Recensione
Quando si dice che il videogioco è una forma d’arte, solitamente si finisce sempre con il cercare quali siano gli elementi nella scena videoludica adatti a tale descrizione: stile del gioco, artwork e così via.
A quanto pare Studio MDHR ha intrapreso un approccio diretto sotto questo aspetto difatti Cuphead è un’opera d’arte per gli occhi in ogni suo piccolo dettaglio. Ma riuscirà il suo gameplay a eguagliare la qualità applicata al comparto visivo?
La trama (rappresentata sotto forma di libro illustrato) racconta la storia dei due fratelli Cuphead e Mugman, felici e spensierati abitanti dell’isola Inkwell: la loro vita era puro divertimento, tenuta lontana dai pericoli grazie alla vigile presenza del vecchio Kettle.
Un giorno però decisero di avventurarsi nel Devil’s Casino, dove la voglia di vincere immense ricchezze li spinse a giocare la loro anima con il diavolo in persona. Dopo aver perso, patteggiarono con il demonio e lui stesso propose quello che diventerà il nostro obbiettivo: recuperare le anime di coloro che avrebbero dovuta consegnarla a lui.
Il vecchio Kettle ci donerà il potere per affrontare tutti i debitori del diavolo e dopo il breve tutorial inizierà la nostra avventura.
È inutile girarci attorno: la prima cosa che spicca di Cuphead è la grafica: lo stile anni ’30 seguito così maniacalmente da Studio MDHR ha un impatto visivo che pochissimi altri giochi possono vantare. Ogni personaggio e oggetto ha uno stile unico e ben distinto, curato nei dettagli e fedele all’ispirazione portata dai corti animati di Disney e Fleischer Studios.
Da essi il developer ha voluto cogliere non solo l’aspetto visivo puro e semplice, ma anche quel senso di caotico, inquietante e completamente surreale che caratterizzava quelle prime forme di intrattenimento animato.
Tutti gli elementi grafici (animazioni comprese) sono state ideate partendo da disegni realizzati a mano frame per frame, con l’obbiettivo di restituire al giocatore la sensazione di avere di fronte un vero e proprio cartone. Il risultato è totalmente riuscito: spesso ci siamo trovati a fissare lo schermo godendoci quanto Cuphead ha da offrire quasi fosse un puro e semplice cartone animato.
Cosa sarebbe però un corto d’animazione anni ’30 senza una colonna sonora adeguata? Ecco che entra in scena Kristofer Maddigan, che con un’intera orchestra ha registrato in studio quasi tre ore di musica coeva con lo stile del gioco. Squillanti strumenti a fiato e percussioni dal ritmo allegro e incalzante fanno di questa intera soundtrack la perfetta colonna sonora per una serata revival vintage con gli amici.
Oltre alle canzoni, Cuphead riesce a non esagerare con i suoni e i rumori: anch’essi realizzati coerentemente con lo stile principale del titolo: essi si amalgamano perfettamente con la colonna sonora e pur essendo spesso ripetuti non risultano mai di troppo o eccessivamente gioviali. Ogni suono presenta un lieve disturbo di sottofondo, come se l’audio provenisse da un grammofono; un’ottima trovata che abbiamo apprezzato con gioia.
Ora però torniamo alla domanda che ci siamo tutti posti all’inizio di questa recensione: il gameplay è all’altezza della qualità del comparto stilistico? Che sia davvero così difficile da risultare inapprezzabile?
È doveroso fare una premessa. Se Studio MDHR ha voluto allietare i nostri occhi con l’arte degli anni ’30, allo stesso modo ha voluto farci imprecare e distruggere i controller con un gameplay dei giochi degli anni ’80.
Cuphead è un platform side-scroller run&gun con momenti in stile shoot-em-up a scorrimento laterale e basato su numerose sfide boss.
Una volta terminato il tutorial ci si potrà muovere liberamente nella mappa e accedere ai vari livelli. Questa modalità permetterà di interagire con altri personaggi e cercare livelli o percorsi segreti, spesso nascosti da elementi grafici più vividi rispetto allo sfondo (allo stesso modo in cui, nei vecchi cartoni animati, le parti in movimento erano più evidenti rispetto allo sfondo statico).
Nella mappa sarà presente anche il negozio da cui acquistare potenziamenti. Essi potranno migliorare l’offensiva, aumentare la vita o migliorare i movimenti del protagonista ma ognunoavrà un punto debole: l’aumento di vitalità per esempio ridurrà la potenza di fuoco, il fuoco multidirezionale sarà a corto raggio e meno efficace del fuoco normale e così via.
Parlando dei livelli, quelli side-scroller sono caratterizzati da un level design elaborato e da strutture platforming divertenti e ben congeniate. Come nei giochi degli anni ’80, i nemici sono stati collocati in modo maniacale, dando così un primo assaggio di difficoltà con la loro sola posizione. Ma ovviamente i nemici non staranno immobili.
Quel che colpisce fin dal primo livello è la quantità di avversari che ogni secondo si muovono a schermo (al punto di diventare a volte caotico): tra fiori indemoniati, tronchi spara proiettili e coccinelle saltellanti ci si trova inondati da pericoli che richiederanno una particolare attenzione all’utente. Cuphead infatti non premierà i giocatori che staranno fermi sul posto: imitando vecchi titoli come Ghosts and Goblins e Mega Man richiederà costante movimento per non cadere vittima del respawn infinito dei nemici.
Dopo esser sopravvissuti a un esercito di esserini assassini, a volte ci si troverà ad affrontare un a sorta di boss di fine livello.
Rispettando lo spirito dei giochi vintage, morendo in un qualunque punto del livello si tornerà all’inizio dello stesso. Niente check point o aiuti, solo vite infinite e il mantenimento di armi e potenziamenti anche in caso di sconfitta.
Oltre a questa modalità, in alcune zone della mappa si potrà accedere alle sopracitate sfide con i (veri) boss. Saranno coloro da cui dovrete riscattare l’anima e di certo non vorranno cedervela facilmente.
Ogni boss vi omaggerà con una pletora di attacchi eseguiti in ordine totalmente casuale e non prevedibile. Ogni offensiva ha a sua volta elementi randomizzati (come per esempio quanto e il nostro avversario si muoverà per colpirci, quanti proiettili sparerà e con quale frequenza e così via) rendendo fondamentale la costante attenzione e la prontezza di riflessi.
Se tutto questo non dovesse bastare i boss muteranno in più forme, ognuna con diverse caratteristiche fisiche e offensive. Insomma, quelle anime ve le dovrete sudare parecchio.
Eppure Cuphead non è impossibile. Non è nemmeno difficilissimo. Oltre ad aver incluso una modalità agevolata, il piccolo developer indie è riuscito a conciliare una curva di difficoltà ripida con delle meccaniche così responsive e precise da renderla accessibile.
Dopo ogni sconfitta non ci sentivamo avviliti e non imprecavamo contro qualche presunto errore del gioco, anzi eravamo portati a ricominciare subito per migliorare e per proseguire. È una sfida continua, la cui correttezza nei confronti del giocatore instilla nella sua mente il desiderio di continuare senza farlo sentire punito dal suo errore e una volta superato il livello ci si sente infinitamente soddisfatti e appagati.
Complice in primo luogo la dimostrazione, sotto forma di piccola mappa, dei progressi fatti fino al punto della morte (che quindi porta l’utente a voler superare quel punto immaginario raggiunto) e un sistema di controlli incredibilmente ben realizzato. I movimenti del protagonista sono così facilmente accessibili da permettere sin dalla prima partita schivate o attacchi incredibili.
Cuphead avrà a disposizione il dash per schivare gli avversari (effettuabile a terra e in aria) e la possibilità si sparare proiettili in otto direzioni diverse. Il nostro protagonista potrà inoltre sfruttare un potente attacco speciale, il quale sarà eseguibile solo dopo che l’indicatore a forma di carta si sarà caricato. Ogni indicatore permetterà un singolo colpo potenziato.
Il developer ha saputo sfruttare perfettamente il posizionamento di tutti i tasti del controller, rendendo ogni tipo di mossa facilmente accessibile ed eseguibile. Non ci siamo mai trovati in difficoltà a causa della mappatura e non abbiamo sentito la necessità di apportare ritocchi.
Giocandolo su pc con una tastiera il discorso cambia leggermente: benché la mappatura sia sensata e ben ragionata, la periferica non è semplicemente la candidata ideale per il tipo di gioco. Vi consigliamo quindi di usare un controller o meglio ancora un arcade stick (con il quale abbiamo avuto dei momenti di gioco incredibilmente piacevoli).
Altro elemento degno di nota è la presenza del multiplayer co-op con due giocatori (attualmente solo in locale locale purtroppo), grazie al quale sarà possibile aiutarsi l’un l’altro interpretando sia Cuphead che Mugman. In caso di morte di un giocatore, l’altro potrà resuscitarlo semplicemente saltando verso la sua anima prima che arrivi oltre il bordo superiore dello schermo
Un ultimo apprezzamento va al porting PC. Performance e caricamenti sono eccellenti, privi di rallentamenti e di difetti. I requisiti minimi richiesti sono incredibilmente bassi, tanto da richiedere componenti di quasi 10 anni fa.
Cuphead è un’opera d’arte. Lo è per la sua grafica così unica e accattivante e per la sua colonna sonora incredibile. Ma quel che Studio MDHR è riuscito è riuscito a realizzare va ben oltre quel che vista e udito possono carpire. Meccaniche solide e precise, studio maniacale di level design e nemici, livello di sfida sopra la media ma reso perfettamente accessibile. Sono cose che nel panorama indie sono ancor più una rarità rispetto al comparto grafico. Ma perché dire “panorama indie” quando Cuphead riesce a risaltare su molti giochi tripla A? Certo è un richiamo nostalgico ai titoli del passato, ma è una rievocazione rispettosa e coscienziosa in grado di evitare tutti i difetti che i vecchi giochi avevano e proponendo al giocatore una scala di apprendimento appagante e divertente.
Pro
- Grafica incredibile e originale
- Colonna sonora memorabile
- Gameplay meccanicamente perfetto
- Difficoltà accessibile e piacevole
Contro
- (A volte) caotico per i troppi nemici a schermo
- Multiplayer Co-op solo locale