Crime Boss: Rockay City – Recensione
È sempre difficle identificare il punto esatto, nella storia di un qualsiasi medium d’intrattenimento, nel quale una nuova idea, un nuovo “genere” o un nuovo topos narrativo sono introdotti. Per i videogiochi forse è un po’ più semplice e, anche se rimane fumosa la certezza di un centro perfetto al cuore del colpevole, è quasi sempre possibile ricercare la prima volta in cui un genere si è presentato al mondo o, in questo caso, una commistione fra due generi apparentemente difficili da avvicinare o intersecare.
Crime Boss: Rockay City, di Ingame Studios, non vuole reinventare la ruota, questo è chiaro, ma sembra comunque volersi avvicinare ad un territorio quasi inesplorato, quello degli FPS… roguelike. Sì, hai letto bene, e anche io ero molto sorpreso quando ho potuto provare con mano quanto il team di sviluppo ha provato a creare, però, come la maggior parte degli esperimenti, il fallimento è dietro l’angolo… o, come in questo caso, al centro dello schermo, almeno in parte.
Sicuramente, se fino ad ora avrai avuto modo di incrociare un trailer di Crime Boss: Rockay City, è il cast ad aver catturato la tua attenzione: Michael Madsen, Kim Basinger, Chuck Norris, Danny Glover, Danny Trejo e Michael Rooker non sono nomi che capita spesso di sentire tutti insieme, ed è praticamente impossibili sentirli associati ad un videogioco. A popolare la Rockay City che dona il nome al gioco c’è infatti una complessa struttura criminale che vede proprio il cast di cui sopra al centro del sipario: la trama, te lo dico sin da ora, è spessa quanto un canovaccio usato, e il cast non eleva lo scheletro di narrativo di Crime Boss: Rockay City, quasi sotterrandolo ancora di più a causa di interpretazioni che sono disinteressate nei momenti migliori e pessime in quelli peggiori. In particolare sono proprio Madsen e Norris quelli che fanno più sentire il colpo della scelta di non ingaggiare doppiatori professionisti, ma attori, strada che avrebbe di molto giovato ad un titolo solido su altri aspetti, ma che qui, in mezzo alle diverse falle di Crime Boss: Rockay City, è un’aggravante non da poco.
La nostalgia è tanta, dalla scelta del cast fino al gameplay, ma forse essa ha dettato un po’ troppo la mano del team, tanto che il gameplay, pur essendo frutto dell’esperimento che ti raccontavo prima, risulta semplicistico, ripetitivo e vecchio: ispirarsi a Payday è legittimo, come lo è voler riproporre il mood di un iconico GTA V, ma al centro dello sforzo produttivo di un team deve esserci la voglia di creare qualcosa di coerente con i propri mezzi e un gioco che abbia un’identità sua, non il pigro rifarsi a meccaniche e stilemi che altri semplicemente fanno meglio. Ma perchè il gameplay di Crime Boss: Rockay City fallisce?
Fallisce in funzione di un potenziale del quale sembra grattare solamente la superficie. Per contestualizzarti meglio quanto sto dicendo devo spiegarti il gameplay: Crime Boss: Rockay City, almeno nella sua componente single player, è strutturato come una serie di piccoli scontri che ruotano, narrativamente e meccanicamente, attorno alla lenta ma inesorabile ascesa al potere del personaggio interpretato da Madsen, spezzata in giorni che determinano la quantitá di attivitá che possiamo svolgere prima di dover, appunto, chiudere la giornata. Questi scontri sono selezionabili da una mappa di gioco che ci mostra quelli che sono essenzialmente territori da conquistare, zone da rapinare o battaglie fra bande da cercare di far vincere alla nostra parte: entrando in ognuno di questi ci troveremo in una piccola sezione di mappa (davvero piccola) che, a seconda dell’interazione richiesta, ci costringerá a farci strada a forza di colpi d’arma da fuoco o a infiltrarci il piú silenziosamente possibile in un edificio.
Meccaniche di shooting e meccaniche di stealth, insomma, ma il tutto deve forzatamente essere incastrato nell’aspetto roguelike che ti accennavo inizialmente, e questo significa che entrambi questi elementi, soprattutto all’inizio, non sono totalmente soddisfacenti proprio perché manchevoli di alcuni aspetti quality of life che, vuoi perché sbloccati piú tardi, vuoi perché totalmente assenti dal design del titolo, li rendono perennemente zoppi a livello di fun. Un rougelike deve assolutamente spingere in fatto di rigiocabilitá, ma provare a sopravvivere giorno dopo giorno solo per arrivare a sbloccare un minor rinculo dell’arma o un potenziamento della salute tende ad essere percepito piú come un peso che come una destinazione che vale lo sforzo per arrivarci. Parlo di sopravvivere perché finire i soldi o causare la morte del protagonista (utilizzabile in missione, con relativi perk, una sola volta al giorno) significa game over, e si ricomincia dal giorno 1. Ah, e lo stealth, oltre che ad essere inutile, è praticamente assente o implementato malissimo.
La presenza di missioni “secondarie” o incarichi che potremo affrontare in piú di un modo tenta di dare un feel diverso di gioco fallimento dopo fallimento, ma non riesce nell’intento. Le mappe di gioco, oltre che estremamente piccole, si ripetono con una certa frequenza e, sposando il tutto ad una IA nemica superficiale e la quasi totale assenza di polizia a metterci i bastoni fra le ruote, tutto risulta presto ripetitivo e troppo frammentato per essere godibile nel suo insieme.
Una delle premesse che ho fatto era quella che Crime Boss: Rockay City non vuole reinventare la ruota, ma la mediocrità nell’esecuzione di qualcosa è a volte piú fastidiosa del fallimento totale, e il core loop di gioco non intrattiene abbastanza a lungo dal far venir voglia di giocare per piú di un paio di sessioni con gli amici. C’è un sacco di potenziale, sia nella commistione di generi che nella voglia di rinnovare il genere dell’FPS che, diciamocelo, dopo Titanfall 2 (personale capolavoro) sembra essere un po’ caduto nella sicura monotonia di tutti i suoi stilemi.
Forse è in funzione e nell’ottica della nostalgia che ti raccontavo prima che Crime Boss: Rockay City si rissoleva, una nostalgia che contamina anche il suo prezzo (40€): se inquadriamo tutto nel contesto di un titolo uscito negli anni ’90, ogni scena, ogni battuta scritta “male”, ogni sparatoria che sembra troppo convenientemente sbilanciata verso buoni o cattivi, ogni personaggio talmente stereotipato da parlare solo a metafore sul baseball, tutto acquisisce senso. I personaggi sono assolutamente monocordi, ma non lo è ogni singolo protagonista dei film action degli anni ’90? Non ci si può immedesimare in essi, perché è la loro storia, non la tua, ed è un po’ di questo egocentrismo che traspare dai toni, anche a livello di meccaniche, di Crime Boss: Rockay City. C’è un diamante nascosto da qualche parte in questo titolo? Sì, ma è seppellito sotto tanta terra. Una buona colonna sonora e un’alternarsi continuo di battaglie lisce come l’olio e scontri a fuoco tempestati di bug chiudono il cerchio su un titolo di cui non riesco a non apprezzare il potenziale, pur riconoscendone i molti limiti.
Crime Boss: Rockay City è un titolo che mette la cieca nostalgia al centro della propria struttura di gioco e questo detta legge sul gameplay, poco solido e molto ripetitivo. Il cast di soli attori e attrici icone degli anni ’90, per quanto incapace di innalzare la già debole narrativa, è perfettamente contestualizzato nel mood, e gli elementi roguelike, pur nella consapevolezza della natura sperimentale del titolo, andavano smussati e meglio adattati. La delusione un po’ rimane, ma bisogna apprezzare e premiare il tentativo di svecchiare un genere che ne ha assolutamente bisogno.
Un titolo dal potenziale solamente scalfito
Pro
- Il mood anni '90 è difficile da riprodurre così fedelmente
- Il potenziale di un FPS roguelike è molto forte...
Contro
- ...ma qui viene solamente scalfito
- Lo shooting non è soddisfacente
- Lo stealth è inutile
- Il cast si impegna al minimo