Castlevania: Lords of Shadow – Mirror of Fate – Recensione Castlevania: Lords of Shadow – Mirror of Fate
Se non lo chiami reboot puoi chiamarlo riavvio. Castlevania: Lords of Shadow può essere inteso con il secondo termine indicato, appunto un riavvio della saga. Staccandosi da quello che era stato Castlevania in origine, la nuova saga, che nasce con le intenzioni di una trilogia, offriva una soluzione diversa anche a livello di gameplay. Con Mirror of Fate, però, la Mercury Steam (Clive Barker’s Jericho, Castlevania: Lords of Shadow) ha deciso di ritornare alla formula nota delle console mobile, rompendo l’andamento delle tre dimensioni e ricreando lo stile classico della bidimensionalità, con un prodotto ben studiato e ben congegnato, ma che rischia, a lungo andare, di risultare monotono salvo trovare degli espedienti degni della saga. Mirror of Fate arriva quindi con l’intenzione di sedare l’attesa spasmodica per il secondo capitolo di Lords of Shadow, proponendo un’alternativa valida su Nintendo 3DS, cercando allo stesso tempo di continuare la tradizione dei Castlevania sulla portatile a doppio schermo.
Combattere, perché no?
Se l’intenzione era assolutamente condivisibile e allo stesso tempo era piacevole pensare a un ritorno alle origini della saga su portatile, Mirror of Fate non si esalta per trama. Fossimo dinanzi a un prodotto che non richiede un intervento di scenario potremmo giustificare la scelta della casa sviluppatrice spagnola, ma non possiamo permetterci di soprassedere alla scelta per niente stilistica della Mercury Steam.
Vestiremo i panni di Simon Belmont, rampollo partito alla ricerca di una bevanda che possa placare la sua sete di vendetta. L’apertura della nostra avventura ci mette dinanzi a un flashback decisamente rapido e poco chiaritorio: la madre di Simon è stata uccisa dal signore oscuro, durante un assalto alla Confraternita della Luce. Per tal motivo il Nostro, supportato dalla spinta di coraggio e di vigoria del padre insita nel suo cuore, parte quindi all’assalto del castello dell’oscuro senza alcun riferimento o background: un lancio nel vuoto accompagnato da un oracolo muto che apparirà sovente durante i vari stage senza fornirvi alcuna spiegazione e nessun’aggiunta di alcun tipo all’intera narrazione. L’idea basilare, quindi, si dimostra poco convincente, e dato che la prima impressione, pur non essendo fondamentale, conta oggigiorno, i Mercury Steam escono sconfitti.
Al secondo round, però, la situazione sembra migliorare. Dai panni di Simon iniziamo a vestire quelli di Alucard, così da poter migliorare il nostro momento di esaltazione spirituale. Il vampiro, che resta uno dei capisaldi della saga e rappresenta un personaggio (checché se ne possa dire nel corso dei capitoli e delle fazioni) tra i più amati, offre un secondo atto della sceneggiatura decisamente più ispirato e soddisfacente, sia dal punto di vista narrativo che di gameplay. Il parallelismo, che si trasforma in perpendicolare in maniera lieve e flebile, creato tra le due storie, poi, salva l’intera narrazione lanciandola nel climax ascendente che serviva. Nei successivi atti, infatti, Castlevania: Lords of Shadow – Mirror of Fate si riscatta del tentennio iniziale dimostrando una grande compattezza stilistica. Insomma, chi la dura la vince.
Simon, figlio di un dio minore
Anche nel gameplay Mirror of Fate dimostra una triplice faccia che si sviluppa e si muta da Simon fino ad Alucard fino all’ultimo atto del climax. Con un movimento, come dicevamo in apertura, bidimensionale, Simon, nel suo primo atto, non esalterà moltissimo le qualità del titolo e della saga: l’attacco frontale e l’attacco aereo vi permetteranno di colpire i vostri avversari con l’aggiunta, quando ne sarete in possesso, degli oggetti da lancio, come ascia e granata. L’azione procede senza difficoltà e soprattutto con dei boss che non possono essere ritenuti tali sia per semplicità che per immediatezza di combattimento, anche alla difficoltà massima. La situazione, per fortuna, come dicevamo anche in sede di analisi della trama, muta con l’arrivo di Alucard grazie alla maggior difficoltà mostrata dagli avversari e dalla complessità degli atti. Innanzitutto le sessioni di esplorazione saranno leggermente più esasperate e complesse, così come la sconfitta sarà più all’ordine del giorno se non sarete attenti. Alucard, d’altronde, all’inizio del proprio percorso non avrà a disposizione le due anime portanti di Simon: raccolte nel corso del primo atto avrete a vostra disposizione due spiriti che vi proteggeranno e vi aiuteranno a colpire i vostri avversari quando necessario, previa consumazione della barra di mana, facilmente ricaricabile con le anime dei nemici sconfitti. Una soluzione molto immediata e che semplificherà non poco le vostre battaglie, rendendo, di conseguenza, quelle di Alucard ben più ostiche.
Pecca dello sviluppo del vostro personaggio è legata, appunto, all’assenza di una personalizzazione totale di Simon e poi di Alucard, finendo con Trevor. L’esperienza del primo sarà condivisa dal secondo e dal terzo, così da avere uno sviluppo unico basato esclusivamente su alcune combo sbloccate di livello in livello, fino a un massimo di 18. Un sistema abbastanza piatto di sviluppo che conferma il suo mancato incurvamento anche nell’esplorazione, lineare e senza troppe soluzioni. Il primo momento di bivio viene fornito nel finale di primo atto, quando avremo l’occasione di entrare in una delle tre bocche che precedono uno scontro con un anti-boss, per poi tornare inevitabilmente al punto di partenza. Insomma la scelta della Mercury Steam non è condivisibile, soprattutto perché subisce un netto cambiamento con l’arrivo di Alucard. Si voleva penalizzare Simon? Si voleva allontanare il videogiocatore già nelle prime battute? Scelte che distruggono il dinamismo interno e respingono i meno tenaci a proseguire.
L’ombra dell’Oscuro
Se però bisogna criticare con decisione l’operato della Mercury Steam allora il campo migliore per farlo è quello del comparto grafico. Dopo le recenti produzioni d’alto livello su Nintendo 3DS, come ad esempio Resident Evil Revelations, non soddisfa a pieno la decisione di lasciare così sommaria l’intera realizzazione grafica. Le texture sembrano più abbozzate che altro, così come l’intero colpo d’occhio, da lontano, sembra essere sporco. Il fattore 3D, inoltre, non si va a intersecare come dovrebbe nella profondità delle azioni: parliamo di un bidimensionale al quale la profondità non serve moltissimo, anzi è decisamente superflua. I colori, cupi per la maggior parte del prodotto e lucidi esclusivamente in alcune breve sezioni, non danno soddisfazione ai giochi di ombra, che vengono totalmente annullati. Lo stesso, però, non si può dire del comparto audio, che sicuramente si assesta su un livello diverso e che dà una vena più drammatica a Mirror of Fate riuscendo a colpire l’utente.
Per non applicarsi
Non si esce del tutto convinti, insomma, da Mirror or Fate, anzi qualcosa di poco convincente c’è. Se gli sviluppatori avessero deciso di lanciare il prodotto già nelle mani di Alucard, evitando di far sì che la sessione con Simon si rivelasse un tutorial lungo, noioso, morboso e anche poco significativo se non come preparazione a quello che sarebbe arrivato dopo, staremmo parlando sicuramente di qualcosa di diverso. Delle poco meno di dieci ore a nostra disposizione, però, sicuramente un terzo viene valutato diversamente, mentre la restante parte, seppur con le stesse debolezze grafiche e audio, può essere rivalutata con diversi pregi. Alucard e Trevor, quindi ribadiamo, possono soddisfare ciò che cercate da un Castlevania per Nintendo 3DS in bidimensione, ma non soddisferanno tutti coloro i quali erano legati a titoli come Order of Ecclesia e Dawn of Sorrow, che riuscivano a offrire anche una versione molto più approfondita dello sviluppo del personaggio in sé. Il titolo resta, comunque, un ottimo passatempo in attesa di Lords of Shadow 2 e, soprattutto, un videogioco col quale trascorrere qualche ora senza dover necessariamente applicare in maniera eccessiva l’ingegno per la risoluzione finale.