Breath of Fire III – Recensione Breath of Fire III
La saga di Breath of Fire è una delle serie di RPG di maggior successo; pur non essendo conosciuta o campione d’incassi come quella di Final Fantasy o Dragon Quest, la saga della Capcom è riuscita comunque a ritagliarsi una fetta del mercato degli RPG e di un buon numero di fan per il mondo. I primi due episodi uscirono per SNES (il primo dei quali pubblicato dalla Squaresoft, ma sviluppato comunque dalla Capcom) ed ebbero un buon successo. Grandi quindi erano le aspettative al cambio di piattaforma con l’annuncio della terza evoluzione della serie. Tra l’altro il gioco è uno dei pochi usciti qui in Europa (anche se i primi due episodi hanno avuto i loro porting su GBA).
Storie di draghi
Breath of Fire III vi metterà nei panni di Ryu (protagonista ricorrente della saga, ma ogni volta ‘diverso’ per contesto), un ragazzino di una semi-estinta razza di uomini-draghi. Il suo corpo viene risvegliato da un lungo sonno all’interno di una roccia cristallina situato all’interno di una miniera. Gli sfortunati minatori fanno una brutta fine e Ryu nella sua forma di piccolo drago è libero dal suo sonno; ben presto però viene catturato, imprigionato e caricato su un trasporto. Egli riesce comunque a liberarsi e, tornato alla sua forma umana di giovano uomo, viene trovato da Rei e Teepo. Questi lo fanno partecipare alla loro vita da ladruncoli per potersi guadagnare da mangiare; sfortunatamente il trio viene obbligato violentemente a rompersi dopo non molto tempo. Ryu si ritrova nuovamente solo in un mondo che non conosce. Il suo viaggio lo porterà a scoprire la verità sul suo passato e sulla sua natura, coinvolgendo strada facendo altri personaggi che lo accompagneranno. La storia che troverete in Breath of Fire III non è propriamente un capolavoro di intreccio. Soprattutto all’inizio è facile sentirsi poco motivati ad andare avanti, la trama vi porta da una situazione ad un altra senza particolari attenzioni sui misteri. La gran parte della trama è concentrata per lo più nelle ultime ore di gioco. Ad aggravare questa sensazione troviamo un classico ‘silent protagonist’, cioè il protagonista Ryu non parla mai. Questa scelta, che molti sviluppatori scelgono per i propri personaggi, è dettata di solito dalla volontà di lasciare che sia il giocatore a impersonarsi nel protagonista, senza che questi imponga una sua personalità predefinita. Purtroppo quando questa ‘impersonificazione’ non avviene il giocatore si trova davanti un protagonista semplicemente inespressivo e senza alcuna personalità. Questo comporta anche che con l’andare avanti con la storia Ryu non reagirà in maniera molto ‘appassionata’ agli sviluppi e alle scoperte dell’avventura. Anche gli altri membri del party sono caratterizzati in maniera appena sufficiente, molti dei quali seguenti più stereotipi comuni. E’ difficile notare un reale sviluppo nelle loro personalità. Per lo più le uniche occasioni per ascoltare i loro punti di vista sulla situazione sono durante le soste con la tenda (che possono essere fatte in qualunque punto della mappa) parlandoci prima di andare a dormire. La trama in sé non è sul genere serioso e pieno di drammi apocalittici, ma non per questo si tratta di un difetto. Anzi molte sono le occasioni piene di humor. In ogni caso non avrebbe guastato concepire qualcosa di più articolato e che coinvolgesse maggiormente i personaggi. Ad ogni modo si tratta di una storia interessante, e fino alla fine vi chiederete se chi state cercando è davvero un ‘cattivo’ o meno, arrivando a dover fare una scelta (proprio alla fine) che influenzerà il corso del finale. La traduzione di dialoghi e diciture non è né buona né cattiva. In alcuni casi si assiste a errori di vario genere dello script inglese, ma nel complesso è stato fatto un lavoro discreto.
Spade e Fiamme
Dal punto di vista del gameplay il gioco ha un assestamento parecchio classico. Le opzioni che vi si trovano sono ricorrenti in moltissimi altri RPG. Due sono le novità fondamentali: il sistema di Geni di drago e i Master. Durante l’avventura Ryu potrà collezionare i cosiddetti "Geni di drago" (alcuni li troverà normalmente, altri sono segreti). Grazie ad essi può trasformarsi in vari tipi di drago, a seconda della combinazione scelta. Ad esempio se ci si vuole trasformare in un drago capace di manipolare il ghiaccio, basterà coinvolgere il gene del ghiaccio nella combinazione; queste possono essere di un gene solo, o anche di due o più. Più ‘elementi’ saranno coinvolti nella combinazione e più AP (punti magia) Ryu impiegherà durante la trasformazione. Infatti sia i turni che le abilità di Ryu trasformato impiegano un altissimo numero di AP, quindi le trasformazioni avranno il loro limite. I Master (maestri) invece sono persone che incontrerete durante la vostra avventura e delle quali potrete diventare ‘allievi’. Ogni Master ha le sue peculiarità che si rifletteranno sui personaggi in occasione dei loro level-up, e precisamente vedrete la differenza sull’aumento dei parametri. Per esempio: un personaggio che ha preso un Master votato alla magia ad ogni level-up vedrà i suoi parametri di forza magica, MP ecc.. notevolmente aumentati, ma l’attacco e la difesa fisica non aumenteranno molto. Inoltre, dopo aver raggiunto un certo livello, è possibile tornare a parlare col proprio Master per imparare nuove abilità. Purtroppo il ritmo di gioco di Breath of Fire III non lo rende un titolo per tutti i palati. Il livello di difficoltà è abbastanza alto, e per fare fronte a questo la frequenza degli incontri casuali è stata resa molto alta; oltretutto questa dipende dalla velocità di movimento del giocatore: insomma se siete abituati (come la maggior parte dei giocatori si presuppone) a correre nei dungeon, sappiate che questo fa aumentare il rate di incontri casuali; questo è decisamente un passo falso per la Capcom, non c’è alcun motivo per cui un giocatore debba essere ‘penalizzato’ per voler proseguire nel gioco ad una velocità decente. Ai punti negativi c’è da aggiungere una probabilità piuttosto alta di fallire un attacco fisico (i classici ‘miss’), che specialmente negli incontri importanti possono dare i nervi. Per via del numero di incontri casuali i dungeon possono risultare davvero molto frustranti, anche perché spesso i combattimenti si riducono al "caricare" i nemici semplicemente attaccandoli fisicamente, con poche variazioni. I boss offrono una buona sfida e vi faranno sudare abbastanza prima di crollare. L’esperienza di gioco è comunque molto variegata. Spesso ci si imbatte in mini-giochi e piccole deviazioni che distraggono dall’avventura principale (il che sotto un certo punto di vista può anche essere un fattore a doppio taglio, dato che la trama stenta di suo a coinvolgere). In particolare le sessioni di pesca sono molto interessanti e utili. Vale davvero la pena interessarsi alle giuste esce per catturare pesci che possono essere usati in battaglia come oggetti per curarsi e altro, o per essere venduti. C’è anche l’opportunità di gestire lo sviluppo di un villaggio di fatine (in perfetto stile ‘Sim City’, ma più blando), più per dilettarsi che per ottenere reali premi. Inoltre il mondo del gioco è costellato di piccoli segreti che possono essere svelati grazie alle azioni off-battle dei personaggi, diverse per ognuno (indispensabili per proseguire nella storia peraltro). Ad esempio Ryu esegue un fendente con la spada che può tagliare i cespugli e rivelare zone nascoste. I controlli sono buoni. Le opzioni nei combattimenti rispondono bene alla pressione dei tasti. Una pecca consiste nella imprecisa calibratura del posizionamento e delle collisioni per le mosse off-battle. A volte ci si ritrova a dover aggiustare di pochi millimetri il proprio personaggio per riuscire a interagire con gli elementi dello sfondo. E’ possibile ruotare la telecamera, ma questa pratica a volte risulta limitante e poco efficace, specialmente per il fatto che non ci sono trasparenze per gli ostacoli che impediscono la visuale e che è possibile ruotarla solo da fermi.
Gli occhi del drago
L’aspetto grafico del gioco è decisamente appagante. Gli ambienti sono in 3D nei quali i personaggi sono sprites 2D. I dettagli e le texture degli sfondi sono abbastanza buoni, anche se a volte risultano ripetitivi nei casi di locazioni simili o per lo più anonimi. I personaggi sono dettagliati ed animati superbamente. Ogni personaggio ha il proprio repertorio di animazioni che contribuiscono a definirlo nell’ambiente e a completare le sessioni dei dialoghi. In generale la grafica risulta ben colorata e frizzante. I caricamenti non sono pesanti. Una buona scelta, per ridurre i tempi di attesa per gli incontri casuali, è stata quella di far svolgere gli incontri negli stessi ambienti del dungeon. Quando un incontro casuale inizia non vi sono cambi di scena e caricamenti di un’arena predefinita: i personaggi si fermano e si pongono in posizione di battaglia nello stesso posto dove si erano fermati. E’ un ottima cosa soprattutto per non perdere (troppo) il ritmo dell’esplorazione, già abbastanza provato dalla frequenza delle battaglie. Gli effetti speciali non sono male; risultano efficaci allo scopo, con buoni effetti per le magie, senza eccedere nella spettacolarità.
Ode agli dei
Il reparto sonoro di Breath of Fire è buono, ma non si eleva ai livelli di molti suoi concorrenti del genere. I brani sono piacevoli da sentire (a parte qualche tema troppo ricorrente), ma non riescono a lasciare la propria impronta nel giocatore. Il genere è piuttosto ‘allegro’, sul genere light jazz per lo più. Gli effetti sonori sono appropriati e i combattimenti sono accompagnati da gustosi intermezzi vocali come grida di battaglia e formule magiche, rigorosamente in lingua giapponese però. Ogni voce rispecchia bene il personaggio che la esegue e non vi sono particolari problemi. Certo una semplice traduzione non avrebbe guastato.
L’esito della ricerca
Sul fronte della longevità di questo titolo propone intorno alle 40 ore di gioco. Queste possono ovviamente variare a seconda che vogliate o meno affrontare i numerosi mini-game che costellano l’avventura principale.
Per concludere
Breath of Fire III si attesta come un piacevole RPG, con delle buone novità e con uno sguardo comunque attento alle tradizioni del genere. Non un gioco per tutti indubbiamente. Coloro che non sopportano le lunghe sessioni di dungeon, specialmente se non sopportano gli incontri casuali frequenti potrebbero avere più di una riserva per questo gioco.
Ci sono vari difetti piuttosto ingenui, che potevano essere corretti ponendo una maggiore attenzione, ma nulla di particolarmente grave. Chiunque ami il genere può trovare molte ore di sano divertimento.