Bound – Recensione
La donna, con movenze lente e pacate giustificate dalla sua evidente gravidanza ormai prossima alla fine, si fece accompagnare in riva alla spiaggia. In compagnia del suo quaderno avrebbe percorso riflettendo il centinaio di metri che la separavano dalla casa al mare, per decidere infine se avrebbe suonato il campanello o se semplicemente sarebbe risalita in auto per andarsene.
Ad accompagnarla nel breve ma profondo tragitto attraverso i ricordi più vividi della sua non facile infanzia c’eravamo noi, i giocatori: osservando con empatia il suo diario attraverso l’incrollabile quarta parete che separa la realtà dall’immaginario, saremmo entrati in una differente dimensione con il compito di far luce sulla narrazione matura attraverso la metafora di un mondo onirico di rara bellezza. Questa è stata la nostra esperienza con Bound.
Di poche parole
Come dichiarato dagli stessi sviluppatori, Bound vuole in primis essere un titolo basato sulla narrazione. In realtà i dialoghi presenti nel gioco si contano sulla punta delle dita e allo stesso modo nella trama viene lasciato moltissimo spazio all’interpretazione del giocatore. I momenti di gioco si dividono sostanzialmente in tre sessioni distinte: quella principale è la parte platform, in cui compaiono gli scarsi dialoghi ma che non sviluppa particolarmente la trama; la seconda è costituita da quei pochi secondi alla fine di ogni livello in cui la visuale passa in prima persona e il giocatore deve muoversi in un ambiente tridimensionale fino a rendere intellegibile una scena di vita familiare che lentamente si compone attorno a lui; la terza, che funge da cornice per l’intera esperienza, è la lenta passeggiata della donna sulla spiaggia verso la casa sullo sfondo.
È davvero difficile spiegare a parole una tipologia di narrazione così introspettiva che per la maggior parte dell’esperienza non necessita nemmeno di parole. Bound fonda le sue radici su di una storia semplice ma profonda ed emozionante che, sebbene composta da poche scene chiave, riesce a entrare nel cuore lasciando il segno. Molti potrebbero trovare banali alcune scelte stilistiche del team Plastic, sviluppatore indie del gioco, ma per quanto ci riguarda Bound deve essere preso in considerazione proprio in virtù della sua coraggiosa e riuscitissima scelta di come raccontare la sua storia.
Danzando e… basta
Se la componente emozionale (come anche lo stile grafico che approfondiremo nel successivo paragrafo), è uno dei punti di forza di Bound, sul gameplay il titolo Plastic perde qualche colpo: superata l’iniziale curiosità necessaria all’apprendimento delle mosse base il divertimento va presto scemando. La protagonista, – una ballerina dalle aggraziate movenze di chiaro stampo classico – correrà, salterà e si arrampicherà tra i livelli in stile platform tramite la pressione di pochi tasti. Durante l’esplorazione dell’onirico universo di Bound può (raramente) capitare di cadere, ma un sistema di checkpoint forse troppo efficiente permette di superare qualsiasi ostacolo senza la benché minima difficoltà.
Allo stesso modo, le creature ostili nel gioco possono soltanto infastidire la protagonista ma mai ferirla o ucciderla, così come i momenti boss-fight (così chiamati così soltanto per utilizzare un termine condiviso) richiedono soltanto di premere il grilletto R2 mentre si danza con gli altri tasti, fino a far librare i nastri della ballerina nell’aria liberando di conseguenza un nuovo ricordo. L’intera esperienza dura poco più di due ore e in questo scarso lasso di tempo si rischia comunque di annoiarsi verso le fasi finali, che vedono il ripetersi di quanto sopra esposto di livello in livello.
È un peccato che un gioco dalle meccaniche potenzialmente interessanti non conceda più spazio al gameplay: un aumento graduale delle mosse a disposizione come in Teraway Unfolded o l’implementazione di meccaniche di combattimento più valide contro i titanici boss (che in un paio di istanti fanno venire in mente Shadow of the Colossus e questo non é certo un male) avrebbero sicuramente reso Bound appetibile anche a chi in un gioco indie cerca una sfida degna di un hardcore gamer.
Plasticità in movimento
La danza classica è una forma d’arte affascinante e in Bound si integra perfettamente con la componente sonora e visuale del gioco. Innanzitutto segnaliamo l’eccezionale design della protagonista principale dotata di una realizzazione grafica che le permetterebbe di recitare senza trucco ne “Il Labirinto del Fauno” di Del Toro. Esso le dona una leggiadria senza pari grazie al lungo lavoro di motion capture svolto dagli sviluppatori: la ballerina si libra letteralmente nell’aria ad ogni passo, con movimenti sempre aggraziati e gentili anche di fronte all’attacco dei mostri.
In secondo luogo va fatto un applauso alla realizzazione tecnica del mondo di gioco: sgargiante e coloratissimo esso rappresenta un perfetto mash-up di astrattismo e concretismo per quanto strano possa sembrare. Interamente immerso in un mare che, pur comportandosi come un liquido in continuo movimento è composto da spigolosi parallelepipedi, e risulta sempre in bilico tra il solido e l’inconsistente al pari dei ricordi della protagonista. È come se la ballerina si muovesse all’interno di uno scenario continuamente in divenire in cui una struttura può formarsi per poi immediatamente scomparire, mentre la grazia di una danzatrice le permette di sfidare la gravità e correre su un nastro mentre la pioggia invece di cadere dall’alto la bagna colpendola orizzontalmente.
Infine, perfettamente integrata con le animazioni e il coloratissimo mondo di gioco, trova posto la musica: l’artista e compositore Oleg “Heinali” Shpudeiko ha svolto un lavoro pressoché perfetto, miscelando le giuste dosi di musica da balletto e synth anni ’70 che, uniti a pianoforti scordati il cui lungo riverbero accentua la spaziosità del mondo onirico, riescono a rilassare e intrattenere il giocatore aiutandolo a immergersi nell’esperienza sfruttando il ruolo della musica come pochi altri titoli indie hanno saputo fare.
Bound è un titolo di rara ispirazione che, per il suo particolare ermetismo, non piacerà a molti. Più che un gioco lo definiremmo un’esperienza, un po’ come lo sono stati Journey e Flower, con i quali il titolo Plastic condivide molti elementi. La narrazione per immagini, in cui molta dell’interpretazione viene lasciata al giocatore, e il perfetto connubio tra stile grafico, animazioni e musiche sono il motivo per il quale Bound merita attenzione. Peccato soltanto per un gameplay esageratamente semplice che, anche per la breve durata dell’avventura, rischia si annoiare e penalizzare in parte un’esperienza intensa frutto di un lavoro di sviluppo sì imperfetto ma non per questo privo di dedizione e creatività.
Pro
- Narrazione ermetica ma toccante
- Animazioni e grafica ispiratissime
- Musiche d'autore
Contro
- Gameplay troppo semplice e ripetitivo
- La troppa introspezione attirerà parecchie critiche