Bladestorm: The Hundred Years’ War – Recensione Bladestorm: The Hundred Years’ War
Sviluppato da Omega Force e pubblicato da Koei nell’ormai lontano 2007 (il tempo, si sa, passa molto più velocemente in ottica videoludica), Bladestorm pone il giocatore al centro del conflitto storico tra Francia ed Inghilterra denominato Guerra dei Cent’Anni, commistionando cenni ed aspetti storici e realistici ad altri prettamente più fantasiosi e ricalcando fedelmente il gameplay della serie più famosa del succitato publisher giapponese: Dynasty Warriors; lo svolgersi delle vicende viene scandito dall’acquisizione di fama del nostro alter-ego (un mercenario giunto sul campo in cerca di fortuna) e del conseguente sblocco di missioni adibite a narrare una trama decisamente semplicistica sia dal punto di vista narrativo che da quello puramente realizzativo.
Fama e Gloria
La longeva campagna di Bladestorm tratta dell’ascesa del nostro alter-ego, liberamente creabile tramite un editor invero piuttosto povero, all’interno dei ranghi dei mercenari che costituirono la forza principale impiegata dalle armate francesi ed inglesi all’epoca del conflitto, sviluppatosi tra il XIV ed il XV secolo: affrontando le battaglie che si renderanno disponibili mano a mano ed aumentando la nostra fama sarà possibile progredire attraverso la storia, scegliendo di volta in volta per quale delle due fazioni combattere; a seconda dei casi e dei territori conquistati durante le nostre precedenti imprese, difatti, una fazione potrebbe essere in notevole difficoltà rispetto all’altra e gli incarichi assegnati dalla stessa possono quindi risultare maggiormente complessi e remunerativi rispetto alla concorrenza.
L’azione sul campo di battaglia, un’unica grande area in cui è possibile girare liberamente imbattendosi in eserciti ed avamposti nemici che a seconda dei casi renderà necessario rispettivamente abbattere o conquistare, si presenta estremamente concitata (come del resto la serie "madre" insegna): è difatti possibile prendere il controllo di guarnigioni di truppe varie e ben diversificate in termini di abilità e parametri, oltre che in grado d’ospitare un elevato numero d’unità, e gettarci quindi nella mischia seguiti dagli alleati gestiti dalla CPU, utilizzando al momento propizio le abilità peculiari di questa o quella tipologia d’armata capaci di rivelarsi più o meno efficaci a seconda del tipo d’unità nemica che si affronta. Se tale impostazione risulta sulle prime divertente, se non altro per il senso d’epicità che l’elevato numero d’unità a schermo riesce a trasmettere, è inutile negare come Bladestorm soffra nelle sue soluzioni narrative sulla media distanza: se è vero che la varietà di truppe via via sbloccabili, liberamente potenziabili mediante un riuscito sistema di level up, assicura difatti la possibilità d’impiego di varie strategie, è anche vero che gli obbiettivi posti dalle missioni principali o secondarie non si discostano mai dal canonico "conquista e difendi", sfociando rapidamente in una sagra della reiterazione esaltata. Ad ogni nuovo contratto accettato il giocatore ha a disposizione un numero in esso specificato di "giorni" per portare a termine l’impresa assegnata (ogni giorno dura dieci minuti, dopodiché le armate si ritirano e la battaglia ricomincia il giorno seguente, posizioni conquistate e perdute annesse), pena il fallimento e la mancata acquisizione di bonus d’esperienza ed equipaggiamento con cui personalizzare il proprio alter-ego.
Come già accennato, è un peccato che un’idea di base che si sarebbe potuta prestare ad una varietà ben più ampia sia invece relegata ad una singola modalità di gioco in cui non si fa altro che portare a compimento obbiettivi sempre uguali; inutile in tal senso il tentativo di smorzare la sensazione di ripetitività che si avverte dopo breve con l’inserimento di missioni secondarie che costituiscono, in sostanza, solamente una variazione del percorso da effettuare nel proprio cammino di conquista.
Un po’ di storia
Bladestorm risale ad un’altra epoca in tutti i sensi: il comparto tecnico del titolo non brilla certo per pulizia e cura risultando in modelli spigolosi, una linea d’orizzonte invero insoddisfacente ai fini di un’oculata programmazione dei propri attacchi, texture slavate ed una palette di colori eccessivamente spenta; a compensare una serie di magagne grafiche altrimenti insostenibili, subentra la capacità del motore grafico di assicurare un framerate stabile anche con centinaia di unità a schermo (saltuari e perdonabili i cali, vista l’entità degli eserciti in campo) utile al fine d’assicurare la già citata sensazione d’epicità dei numerosi scontri di cui si è resi partecipi.
Davvero poco ispirato risulta invece il comparto sonoro: inadeguato a sottolineare i momenti più intensi dell’azione e semplicemente insopportabile nella navigazione dei menù, accompagnato da un doppiaggio che non fa nulla più di svolgere il suo compitino nelle rare cut-scenes visualizzabili.
In conclusione
Bladestorm: La Guerra dei Cent’Anni non è un titolo malvagio: così come il suo genitore Dynasty Warriors farà difatti la felicità degli amanti del combattimento all’arma bianca e delle battaglie in grado di coinvolgere armate non indifferenti, ma lascerà insoddisfatto chiunque si aspetti di trovare in esso qualcosa di più di un divertente passatempo, magari alla ricerca di un’accurata realizzazione storica o di una narrazione coinvolgente. Allo stesso tempo non riuscirà a convincere appieno i puristi della strategia in tempo reale o gli amanti degli action, ma non gli si può negare il merito di realizzare una tutto sommato divertente commistione dei due generi.
Di acqua sotto i ponti, dalla data di pubblicazione, ne è passata parecchia ed il nostro consiglio non può che essere quello di dargli una possibilità (specie in considerazione della sua non certo esigua durata): potrebbe sorprendervi o, se così non fosse, per lo meno divertirvi.