Blackwood Crossing – Recensione
I tempi di Super Mario e Pang sono tramontati da una manciata di anni oramai ma di titoli che fanno del puro divertimento la loro principale ragion d’essere ce ne sono ancora solo che il media si è evoluto, sviluppato e maturato. Si è definitivamente liberato dall’etichetta di mero passatempo e così, accanto alla sfilza di prodotti di puro intrattenimento interattivo, sorgono con maggiore frequenza opere più profonde, che costringono il giocatore a tirare il fiato e a riflettere su delle tematiche che fino a qualche anno fa potevano – e dovevano – essere trattati solo da romanzi, opere teatrali o, al massimo, film.
I cosiddetti walking simulator li conosciamo un po’ tutti, (Gone Home, Firewatch o Dear Esther), titoli in cui l’aspetto narrativo gioca un ruolo cruciale rispetto all’interazione e alle varie meccaniche gioco, pressoché assenti. Questo è anche quanto accade con Blackwood Crossing, opera prima di PaperSeven, un piccolo team indipendente fondato da alcuni fuoriusciti da Black Rock Studio, software house famosa principalmente per i suoi racing game. Insomma, il cambio è piuttosto radicale e sviluppare un titolo di questo genere che non scada nella mera e stereotipata malinconia gratuita non è facile: vediamo quindi se Blackwood Crossing riesce a non cadere in facili cliché e a proporre invece un prodotto maturo e ben costruito.
Blackwood Crossing è un viaggio che esplora quel periodo non facile di transizione tra l’infanzia e l’adolescenza, quella fase in cui si costruisce il proprio io e vengono abbandonati isicuri luoghi – fisici e mentali – in cui si è cresciuti in una transizione di relazioni e con nuove figure che appaiono all’orizzonte. Questa è la storia di Scarlett, una giovane ragazza che non deve vedersela con le solite e spesso frivole difficoltà tipiche di una quindicenne americana, ma che si trova costretta a convivere con un passato all’inizio non molto chiaro.
Si capisce che Scarlett è cresciuta troppo in fretta e qualcosa ne ha segnato la spensierata infanzia e, nel suo rapporto di odio amore con il suo fratello minore Finn, emergono un po’ alla volta dei dettagli più neri e cupi che sbattono in faccia al giocatore temi come la perdita e l’essere orfani. Scarlett e Finn, i loro dialoghi, ciò che scaturisce dal loro difficile relazionarsi a volte con frasi affettuose e protettive, ma che tutto d’un tratto mutano in rabbia impossibile da soffocare, sono gli ingredienti principali di Blackwood Crossing.
Questo è un gioco che non cerca di strappare a tutti i costi e con una serie forzata di drammi la lacrima al giocatore, ma che anzi vive in un’atmosfera onirica e sospesa, alle volte fatta di gioie, ma spesso di dolori e rancore. Blackwood Crossing non dice semplicemente: “Guarda quei due poveri bambini, ti fanno tristezza senza genitori e abbandonati a sé stessi”, ma al contrario sviscera poco a poco tematiche difficili da digerire, che creano una forte empatia anche verso chi quei drammi, diciamo fortunatamente, non li ha mai vissuti.
L’espediente narrativo, quella sottile linea che tiene uniti tutti gli elementi risulta quindi quanto mai spessa e resistente in Blackwood Crossing: una regia magistralmente diretta dal team di sviluppo, (abile a usare ogni elemento del gioco nella sua semplice natura di indie e nelle sue poche meccaniche), che aggiunge ogni volta un tassello a un puzzle per dargli forma in modo coerente. Ogni tanto qualche caduta di stile c’è, se faticate ad avvicinarvi a certi temi e la si nota in qualche scambio di battuta che risulta forzata; ma crediamo che per rimanere insensibili davanti a un sogno/incubo che prende forma, a una dimensione dell’onirico che emerge in ogni pixel, bisogna davvero avere un cuore di pietra.
Blackwood Crossing è una favola nera che, anche per certi personaggi incontrati lungo il cammino – ovviamente non vi diciamo quali – strizza l’occhiolino all’opera di Lewis Carroll, perché con Alice nel Paese delle Meraviglie condivide spazi che si aprono e si deformano fuori dai loro confini fisici e così, anche un semplice treno può diventare una metafora del viaggio che ognuno compie nella sua vita, con le difficoltà e con le persone che ci accompagnano in questo percorso, mentre da una carrozza spunta fuori un giardino e ci si trova all’improvviso nella casetta sull’albero.
Per ovvi motivi di spoiler, in queste righe non troverete i dettagli dello svolgimento di un’avventura che può tranquillamente essere completata nel giro di circa tre ore, nonostante i ritmi sempre lenti e compassati, che ogni tanto ti fanno premere a vuoto il classico Shift, sperando che Scarlett si produca in una parvenza di corsa.
Ecco, se proprio dovessimo fare una critica all’opera di PaperSeven è la sua cadenza davvero poco ritmata, anche per un walking simulator, con i movimenti che avvengono sempre a singhiozzo e che, anche a causa di alcuni ambienti stretti e alle volte ingombri di qualsivoglia genere di oggetti, si incastrano spesso e (mal)volentieri. In Blackwood Crossing non c’è solo da camminare e da interagire con l’irrequieto e fragile Finn, perché PaperSeven ha anche inserito una serie di semplici enigmi, indispensabili per dare al proprio progetto un minimo di gameplay. Nella loro linearità va fatto un plauso agli sviluppatori per la bravura con i quali tali puzzle sono stati inseriti a livello narrativo: oltre a non spezzettare il fluire della storia, essi sono una quanto mai necessaria stampella per approfondire le tristi vicende e il passato di Scarlett e Finn, risultando così ben più che una superficiale aggiunta volta solo ad allungare il brodo.
Più in generale, stando attenti anche ai minimi dettagli che compongono il malinconico e allo stesso tempo fatato mondo di Blackwood Crossing, si scopre la cura maniacale riposta dal team per dare la giusta atmosfera che fuoriesce in ogni momento dallo schermo, come ad esempio le locandine presenti nei vagoni, ipotetici film che altro non sono se non la proiezione dello stato d’animo di Finn.
Non tutto in Blackwood Crossing è però andato nel verso giusto. Già in sede di anteprima avevamo segnalato svariati problemi in merito al comparto grafico, non semplicemente legati a qualche texture fuori posto e a un livello dei dettagli non esaltante – cose comunque vere e ben visibili – ma che purtroppo compromettono la fruibilità dell’opera. Oltre alle già citate difficoltà negli spostamenti, il frame rate rende ogni azione e ogni spostamento della telecamera davvero fastidioso, a tratti vicino alla nausea: capiamo la volontà di simulare ogni singolo passo di Scarlett, ma quando la visuale oscilla su e giù, il tutto condito da una instabilità del frame, la sensazione è davvero spiacevole.
Questo è un vero peccato, perché se si riesce ad andare oltre a un aliasing accentuato e a una qualità delle immagini non sempre di primissimo livello, emerge un lato artistico che si sposa alla perfezione con la narrativa, soprattutto nella forte caratterizzazione di Finn, sempre credibile nelle sue espressioni facciali e che ben ne connotano i conflitti interni ed esterni. Scarlett risulta invece meno curata e se ci si prova a specchiare in qualche superficie riflettente pare di trovarsi davanti a un manichino inanimato. Per concludere, segnaliamo la presenza del doppiaggio dei testi in italiano, utili per non perdere ogni scambio di battute.
Blackwood Crossing riesce nel compito più difficile, ossia narrare una storia dura da mandar giù, che parla di Scarlett e Finn e del loro difficile rapporto dopo la scomparsa dei genitori, senza però mai diventare banale e scontata, soprattutto grazie alla maestria di PaperSeven nella creazione di un mondo alle volte leggero e incantato, ma altre volte duro, scuro e cupo. Purtroppo, accanto a un aspetto narrativo di primo livello e a un gameplay leggero ma perfettamente incastrato, le tante, troppe, pecche tecniche ci impediscono di premiare a tutto tondo Blackwood Crossing.
Pro
- Storia matura e ben sviluppato
- Il lato artistico è un ottimo supporto alla storia
- Personaggi ben caratterizzati
- Atmosfere sospese e sognanti
Contro
- Graficamente sottotono
- Camminare è una vera tortura
- Ogni tanto scade nel troppo mieloso