BioShock Infinite – Bioshock: Infinite – Recensione

Parliamone

Finora ci siamo ottenuti alla descrizione dei fatti e di ciò che Infinite ha da offrire, ma occorre un approfondimento in virtù della natura di questo gioco, ovvero essere l’ultimo arrivato in una serie di successo.
Il cambio radicale di ambientazione, passando dai fondali marini all’alto dei cieli, è indubbiamente gradito: il fascino cupo di Rapture, i suoi folli abitanti e la sua art-deco rimarranno sempre nei nostri cuori, ma un terzo episodio ambientato in essa probabilmente avrebbe significato farla venire a noia. Columbia è una città molto diversa: il salto indietro di mezzo secolo porta in un era dove la società non aveva ancora vissuto il peso di due guerre mondiali, molto più serena e spensierata, e senza il peso di un oceano sulla testa, ed all’arrivo del giocatore è ancora intatta e piena di vita. Buona parte del gioco è passata alla luce del sole (o del chiaro di luna), relegando l’oscurità a pochi ambienti chiusi e a specifici tratti del gioco, permettendo di godere pienamente delle architetture dal gusto rinascimentale (curiosità: inizialmente il gioco avrebbe dovuto essere ambientato in quel periodo, ma l’uscita di Assassin’s Creed 2 "costrinse" gli sviluppatori a cambiare rotta).
 


Cosa diamine ci faccia Oscar Wilde in Infinite è tuttora un mistero
 

 

Ma non sono solo gli ambienti ad essere cambiati, bensì anche la caratterizzazione dei personaggi. In Bioshock il protagonista non era altro che un sacco di carne muto in cui immedesimarsi per vivere pienamente l’ambiente, con scelte morali e finali multipli a nostra disposizione, in Infinite si punta tutto su Booker ed Elizabeth, ed è assolutamente lecito parlare di entrambi come protagonisti, sul quale c’è sicuramente meno potere decisionale, tant’è vero che il finale è unico. Un limite? Assolutamente no. Non è lecito poter dire nulla di più preciso, ma il finale di Bioshock Infinite è qualcosa che lascia a bocca aperta come raramente accade. Tutto il gioco assumerà un aspetto completamente diverso, dando senso a tutto ciò su cui esistevano dubbi e concludendo con una rivelazione che nessuno avrebbe potuto prevedere. La mancanza di bivi, in questo caso, è una scelta volta al rafforzamento dell’aspetto narrativo del gioco, per dare agli ultimi venti minuti di gioco il loro massimo splendore.


No, non sta facendo un sonnellino
 

Non è tutto oro ciò che luccica

Abbiamo detto come le differenze concettuali della trama e dell’atmosfera rendano l’esperienza differente dal passato. Eppure, c’è un continuo sentore di dejavù. Non è il faro all’inizio, non sono le analogie di poteri, nemici o elementi di gioco. È l’intreccio degli eventi: i personaggi e le situazioni con cui si ha a che fare nel corso del gioco appaiono troppo spesso la versione "columbiana" di situazioni già vissute in Rapture, creando più una sensazione di nostalgia nei confronti di queste ultime invece di affascinare e lasciare nuovi ricordi. Un potenziale poco sfruttato, dove le situazioni più originali accompagnano l’avventura per troppo poco tempo – tempo che viene a mancare non tanto perché l’avventura è breve, ma perché è il gioco in quanto tale a renderla breve. Spieghiamoci meglio: se Rapture pare un labirinto, Columbia allora è un corridoio.
Ogni luogo di Rapture aveva una sua mappa estesa, nelle cui stanze il giocatore passava più e più volte, missioni sempre varie, nonché una quantità elevata di cose facoltative da scoprire. L’esplorazione era lenta e necessaria per poter scoprire tutto il potenziale che ogni mappa aveva da offrire, sia per procacciare scorte e organizzarsi in vista di scontri (che potevano verificarsi o meno), e passavano ore prima che si passasse all’area successiva. Infinite offre ambienti notevolmente più espansi, ma più spogli e totalmente lineari: il gioco è una continua corsa per proseguire, dove deviare il percorso si trasforma in una banale e noiosa caccia al tesoro, in forma di oggetti utili o audio-diari, che nel primo Bioshock erano connaturati all’avanzamento del gioco, e non uno sbirciare in giro fine a sé stesso. La linearità dell’avanzamento va di pari passo con la piattezza del gameplay: tutto il gioco non consiste in altro che svuotare ogni area in cui si finisce di ogni nemico, senza possibilità di evitare la maggioranza degli scontri e senza variazione sul tema. Niente più minigiochi, niente più missioni "alternative" come quelle con la macchina fotografica negli altri due capitoli, pochissima varietà di nemici. La marea di possibilità tattiche offerte dagli ambienti va completamente in fumo nel momento in cui nessun nemico richiede approcci particolari per essere abbattuto, spingendo il giocatore a cercare di eliminarli più in fretta possibile piuttosto che cercare una via intelligente per farlo, rendendo il gioco molto più semplice. E non è l’unica causa: Elizabeth è un exploit che permette di poter evitare colpi di ogni cosa ci stia arrivando addosso, poiché ogni qual volta lei passa un oggetto a Booker, questi sarà immune a qualsiasi cosa. Sebbene non sia necessario che un gioco sia frustrante per essere appagante, quando ci si rende conto di essere arrivati alla fine del gioco alla massima difficoltà senza aver mai utilizzato un solo distributore di munizioni e cure, si capisce che forse gli sviluppatori hanno preso il giocatore troppo per mano.
 


Tristezza e rassegnazione
 

Peraltro, il non utilizzare distributori è anche un obbiettivo da sbloccare per una modalità nascosta più difficile chiamata 1999, che però non elimina i problemi strutturali del gameplay.
Toccato il fondo, si inizia a scavare: esistono bug estremamente frustranti e la cui causa è ancora da definire, tant’è che non è ancora stata rilasciata alcuna patch, e non parliamo di semplici anomalie grafiche, ma di situazioni che sfociano nell’ingiocabile, come rallentamenti continui e ingiustificati anche sulle macchine più recenti, non arginabili nemmeno modificando manualmente la configurazione, e che anzi rischia di generare ancora più danni – come perdita dei salvataggi e dei checkpoint, portandovi a maledire non solo le divinità, ma anche l’ingrata scelta degli sviluppatori di non renderli liberi.

 

Al giudizio

Irrational Games non ha perso il suo tocco: il livello di cura nell’ambiente e nella narrazione raggiunge vette che pochi altri prodotti possono vantare nel mercato, affascinando il giocatore lungo tutto il tragitto e sfociando in un finale da caduta di mascella. Ma la concentrazione di sforzi intorno al finale è al contempo il suo maggior pregio come il suo maggior difetto: per tutto il gioco si ha la sensazione di star correndo per finirlo, ed è in effetti quello che avviene per via sua della piattezza. In barba a chi già accusava i primi due episodi di offrire poco in termini di gioco, gli sviluppatori hanno ben pensato di renderlo ancora meno vario ed estremamente lineare, non dando il giusto tempo agli eventi e all’esplorazione per poter entrare nell’animo del giocatore, che si ritrova di fronte a quello che, diciamocelo, è l’ennesimo impoverimento di una serie per adattarla al mercato di massa.
Non fraintendeteci: Bioshock Infinite in fin dei conti è un buon gioco, certamente migliore di molti altri e che merita di essere giocato, ma la mole di difetti concettuali (e non ultimi anche i gravi bug) non possono essere ignorati, e il fatto che si chiami Bioshock lo mettono necessariamente a confronto con un’eredità non facile da sostenere. Concludere il gioco lascerà sicuramente di che parlare con gli amici, eppure la sensazione è che, in fondo, sarà solo un’esperienza passeggera.

Ti è piaciuto quello che hai letto? Vuoi mettere le mani su giochi in anteprima, partecipare a eventi esclusivi e scrivere su quello che ti appassiona? Unisciti al nostro staff! Clicca qui per venire a far parte della nostra squadra!

Potrebbe interessarti anche

Lascia un commento