Bendy and the Ink Machine – Recensione
“Bendy and the Ink Machine è un gioco horror che rovinerà per sempre il vostro amore per i cartoni animati dell’infanzia”
La storia di Bendy and the Ink Machine ha origine da una piccola casa sviluppatrice chiamata TheMeatly Games, e messa in piedi da TheMeatly, fumettista, burattinaio (e, ora, sviluppatore di videogiochi) insieme all’amico programmatore Mike Mood. L’idea di irrogare il mondo dell’animazione anni Venti e Trenta con l’horror arriva come un’illuminazione e TheMeatly, con l’aiuto di Mood, programma in meno di una settimana il primo capitolo e lo pubblica nel febbraio 2017, ricevendo riscontri positivi ed esortando i due a continuare. L’idea iniziale era portare alla luce un disegno 2D in un mondo 3D, in tutti i sensi, vedendo che forma assume Bendy, diavoletto combina guai, nello studio d’animazione che è il mondo di gioco creato dal fumettista e in cui si muove il personaggio.
Inizia così, quasi per caso, l’epopea di Bendy: i due creatori hanno poi raccolto attorno a loro un piccolo staff di sviluppatori e in un anno e mezzo sono riusciti nell’impresa di concludere le vicende di Henry Stein, protagonista del gioco.
Rinchiudere Bendy and the Ink Machine in un solo genere sarebbe riduttivo, è più come una matrioska, una bambola che racchiude pezzi più piccoli: un survival horror a episodi con elementi puzzle ed action, che si evolve costantemente nel corso dello sviluppo. La versione giunta su PlayStation 4, da noi provata, è una collection che racchiude tutti e 5 i capitoli necessari a concludere la storia più un capitolo extra, denominato “?”, che costituisce gli “archivi” del gioco, un dietro le quinte dei personaggi e delle diverse fasi di sviluppo verso cui sono passati.
“Caro Henry…”
Il gioco ha inizio quando Henry Stein, talentuoso animatore, riceve un invito da parte del suo vecchio partner Joey Drew a visitare il vecchio studio d’animazione presso cui lavorava, la Joey Drew Studios, 30 anni dopo il ritiro dalle scene di Henry. Henry, quasi attirato dal suo vecchio luogo di lavoro, si ritrova così nell’enorme studio che deve aver visto giorni migliori, faccia a faccia con i personaggi da lui stesso creati (forse). Joey Drew ha qualcosa da mostrare a Henry e, sebbene non sia presente di persona, presto Henry viene a conoscenza dell’esistenza della Ink Machine, una grande macchina dell’inchiostro che Drew ha voluto installare nello studio contro il parere di molti dipendenti.
La prima cosa che si nota giocando al titolo è che Bendy and the Ink Machine è un videogioco bicromatico. TheMeatly colora tutto quello che è possibile vedere a occhio nudo di giallo e di nero: le pareti, i tavoli da lavoro, la stessa macchina dell’inchiostro e tutto quello che ci circonda è composto da questi due soli colori, che saranno la nostra vera costante, a parte l’inchiostro di cui gli animatori si servono per creare i loro personaggi: adesso che lo studio è deserto l’inchiostro, però, sgorga da qualunque anfratto, imbratta fontane, pavimenti e rende alcune stanze innavigabili, forse per colpa dell’eccesso della macchina voluta da Joey Drew e dell’incuria del luogo. Non è difficile, in breve tempo e con un po’ di immaginazione, collegare l’inchiostro anche a un sangue dal diverso colore, attraverso il “gioco” di colori vintage voluto da TheMeatly.
Ci muoviamo, quindi, in un contesto molto affascinante, quello dell’animazione in bianco e nero, dei primi cartoni animati di successo e del rumore imperante dei proiettori. Bendy, il Diavolo Danzante, è la mascotte e il personaggio più di successo della Joey Drew Studios e tutto ci comunica la sua importanza, dai poster pubblicitari alle innumerevoli figure di cartone a grandezza naturale che ci accompagnano e ci fissano per tutto il gioco con un ghigno che non cambia mai. Da pestifero diavoletto qual è Bendy, infatti, qualunque cosa faccia, sorride. Sorride in maniera quasi inquietante. Bendy è accompagnato nelle sue avventure da comprimari quali Boris il Lupo, un goffo e docile lupo antropomorfo con una salopette e Alice Angel, definita “quite a gal”, una ragazza in gamba dalle piccole corna e l’aureola sopra la testa che balla e canta. I modelli di questi personaggi fittizi sono quelli dei classici cartoni in bianco e nero in cui erano protagonisti personaggi dai guanti bianchi e dagli occhi che in inglese si chiamano “pie-eyed”, ovvero come una torta a cui è stata tolta una fetta (che con il tempo sono stati “umanizzati” e normalizzati). Personaggi, ad esempio, come il Topolino dei primi tempi dell’artista americano Floyd Gottfredson o Pippo, a cui Boris il Lupo si ispira; un mondo a cui Bendy & Co. devono molto.
“I sogni diventano realtà”
Il contesto appena descritto viene rivisitato in chiave horror: come accennato, il gioco si svolge trent’anni dopo i tempi d’oro degli Joey Drew Studios, che ritroviamo abbandonati, corrotti, silenziosi. Henry è l’unico che ha rimesso piede nell’edificio dopo anni, sembra, e dopo un primo capitolo abbastanza breve il nostro scopo sarà quello di scappare da un luogo infestato da una creatura d’inchiostro, che scopriremo essere lo stesso Bendy, che diventerà più insistente con il passare dei capitoli. Il primo capitolo ha quindi il compito di introdurre il giocatore alla storia e al modus operandi del gioco, così come alle sue atmosfere, e in questo ci riesce. Immagini in movimento, questo il nome dell’episodio introduttivo, è il capitolo più psicologico del lotto, mentre gli altri (nonostante alcune parti), secondo chi scrive, vede il giocatore abituarsi piuttosto in fretta al ritmo del gioco, con una componente horror sì particolare applicata al contesto, ma che viene presto depotenziata e sentita meno. Non mancano i cosiddetti jumpscare, che tendono ad assottigliarsi nel corso del gioco (meglio così). Il capitolo (come il gioco) è governato dal silenzio e da improvvisi effetti sonori che sono i veri “colpevoli” che fanno sussultare i giocatori. All’inizio, per questo e per timore dell’ignoto, si procede piuttosto lentamente, ma una volta appreso e completato il capitolo, questo lo si porterà a termine in mezz’ora, o dieci minuti scarsi in caso di ripetizione: Immagini in movimento è stato creato in meno di una settimana e la sua brevità, insomma, lo dimostra. Un primo esperimento, però, molto promettente, che ha permesso a TheMeatly di proseguire il lavoro – a detta loro, abbandonando tutti gli altri progetti in corso. Dall’inaspettato successo, si comprende come la casa sviluppatrice non avesse piani particolari per Bendy e che abbiano sviluppato e ideato il gioco con il passare dei capitoli ed è questo, forse, che ha inficiato il gioco nella sua interezza, alla fine.
Il primo capitolo ha anche l’onere di introdurci ai comandi e a cosa è possibile fare nel mondo di gioco: il personaggio che controlliamo, l’animatore Henry Stein, può saltare, correre, prendere oggetti (solo quelli evidenziati ulteriormente in giallo) e utilizzare per il combattimento (dal secondo capitolo in poi) un arnese di fortuna come un’ascia o un tubo che ci faranno sentire più al sicuro – almeno per un po’. Per il resto, il gioco è abbastanza guidato: bisognerà seguire gli obiettivi per avanzare con la storia, e ogni obiettivo avrà un suggerimento più o meno utile alla sua riuscita. Spesso capiterà di fare backtracking, ed è consigliato non correre nel farlo: la creatura denominata nel corso del gioco come il demone d’inchiostro ha la capacità di spostarsi velocemente attraversando le pareti e captare i movimenti improvvisi di Henry, per poi segnalare il suo arrivo con il rumore di un cuore che batte e apparire con il suo sorriso per inseguire il giocatore. Quest’ultimo, scappando, potrà rifugiarsi nelle cosiddette Miracle Station, nascondigli davvero miracolosi in quanto Bendy finirà con l’interrompere l’inseguimento anche se vi si entra davanti ai suoi “occhi”. Per Bendy, e tutte le altre creature che ci inseguiranno, come i tre membri della Butcher Gang (un gruppo di cattivi nei cartoni di Bendy), nascondersi costituirà un porto sicuro al 100%; lo stesso Bendy contribuisce a facilitare questa meccanica anticipando molto il suo arrivo effettivo. Sostanzialmente, quando vedrete le pareti che si scuriscono e sentite il cuore che inizia a battere, correte per la vostra vita, che se Bendy vi acciuffa è game over istantaneo. Una volta capito il trucco, comunque, Bendy perderà molto del suo fascino.
Grazie anche a un espediente che ricorda molto quello utilizzato nella saga di BioShock, anche qui sarà possibile conoscere di più sullo studio di animazione attraverso dei registratori lasciati dai dipendenti, sparsi per tutto il gioco, che ci faranno comprendere meglio la relazione tra i personaggi e la decisione di Joey Drew di installare una macchina dell’inchiostro, ad esempio. Alcune di queste registrazioni saranno fondamentali alla risoluzione di puzzle, come trovare un oggetto (esempio: delle chiavi) o suonare una melodia particolare per aprire una stanza necessaria per proseguire con l’avventura. Alcuni di questi puzzle, come i due sopraccitati, saranno randomizzati a ogni avventura intrapresa.
“Il creatore ci ha mentito”
E le avventure potrebbero essere tante: è arrivato il tempo di parlare del cosiddetto “elefante nella stanza”, quello che più ci ha deluso del gioco: il sistema di salvataggio. Bendy and the Ink Machine è un gioco dove non è possibile salvare i propri progressi. O meglio, il gioco salva i progressi soltanto durante il gioco, ergo, se si spegne la console e la si riaccende dopo qualche ora, il salvataggio sarà sparito, costringendoci a iniziare dal capitolo 1. Di fatto, quindi, per completare il gioco senza perdere i progressi bisognerà giocare al titolo dall’inizio alla fine, tutti e 5 i capitoli, per un totale medio di 5 ore circa, o senza interruzioni oppure mettendo il gioco in pausa, in modalità riposo la console e sperare che non ci siano cali di tensione nelle prossime ore.
Dopo vari test effettuati sulla propria pelle, questa meccanica di Bendy and the Ink Machine ci sembra la più inspiegabile e criticabile di tutte, facendo diventare il gioco una corsa senza senso fino ai titoli di coda, dopo i quali sembra che il file di salvataggio rimanga senza pericolo che venga cancellato e con la possibilità di scegliere i capitoli da rigiocare (anche se, forse, non vorrete più farlo). Il gioco, a dirla tutta, avverte il giocatore – in piccolo – che i propri progressi non verranno salvati, ma il perché di questa scelta poco condivisibile non c’è dato saperlo. Va da sé che l’esperienza durante la prova del titolo ne è risultata fortemente compromessa: chi scrive ha dovuto, infatti, rigiocare il primo capitolo e parte del secondo all’amara scoperta di aver perso quasi un’ora e più di gioco e ha dovuto concludere nel cuore della notte il titolo senza voler (e poter) interrompere il gioco in qualsivoglia modo, con un pericoloso temporale che impazzava fuori dalla finestra.
Il titolo avrebbe sicuramente avuto un altro gusto se avesse avuto un sistema di salvataggio normale e non retrogrado come questo, e anche molto confusionario, a dire il vero: sparse per il gioco ci sono delle macchine in cui è possibile timbrare il cartellino, accompagnate da un poster vicino che intima che utilizzandole il gioco verrà salvato: ebbene, timbrare il cartellino equivale a un checkpoint che permetterà di resuscitare in caso di morte da una statua di Bendy e riprendere il gioco da dove si era lasciato, ma non di riprendere il titolo il giorno dopo, ad esempio, chiudendo l’applicazione e spegnendo la propria console. Se chiudete il gioco, volenti o nolenti, dovrete ricominciare da capo. Queste macchinette, che potevano essere una trovata molto carina se implementate con coscienza di causa, sono un sistema di salvataggio che esiste nel qui e ora e, quindi, di fatto, effimera. Se decidete di non avvalervi di queste macchinette alla morte il personaggio non respawnerà, iniziando di nuovo dal capitolo 1. Conviene “salvare” spesso, quindi, ma ben sapendo che se vorrete portare a termine il gioco TheMeatly ha mal pensato di obbligare il giocatore a finirlo in una sola sessione.
Pensate, inoltre, che impressione deve aver fatto dover finire il gioco stanchi (ma indomiti), dopo una boss fight finale piuttosto anticlimatica, ed essere premiati con un bug che non mostra i titoli di coda ma lo schermo nero perenne e il vostro volto, nel buio riflesso nello schermo, sicuro che il gioco non ha salvato e avete appena perso tutto quello che avete fatto in 5 ore. Così non è stato – il gioco ha salvato, per fortuna, ma il tutto ha avuto un gusto amaro e per niente gratificante o incentivante.
Altra critica che merita il gioco è la traduzione italiana: essa risulta imprecisa e colma di errori, anche grammaticali, con traslazioni di cognomi conditi con qualche piccolo errore di formattazione. Bendy and the Ink Machine sembra esser frutto di un lavoro svolto in maniera amatoriale, come dimostrano alcuni (non tutti) degli esempi che valgono più di mille parole:
- “Entra nelgli archivi”;
- “Damelo a me”;
- L’espressione negativa “Alice she doesn’t like liars” diventa positiva in italiano: “Ad Alice piacciono i bugiardi”;
- Bertrum Piedmont diventa l’ilare Bertrum Piemonte (perlomeno non hanno tradotto il nome);
- La sua tana è “close by”, “vicina” in inglese, viene tradotta letteralmente “chiuso da”;
- I searchers, le masse d’inchiostro da prendere a colpi d’ascia nel gioco, diventano i misteriosi “sensori” fino al quinto capitolo, dove diventano “ricercatori”, e nel capitolo extra “cercatori”;
- Quello che è chiaramente uno sturalavandini durante una commissione del capitolo 3 viene visto, dai traduttori, come un “pistone”.
Inoltre, segnaliamo una traduzione errata che ci ha fatto penare e perdere tempo nel capitolo 3: a un certo punto dovremo raccogliere, per conto di un personaggio, diversi oggetti andando “Su e Giù” (come si intitola il capitolo) con un ascensore per i diversi piani dell’edificio. Una traduzione errata ci ha portato a cercare tali oggetti in un piano anziché un altro: nell’obiettivo italiano il piano segnato era il numero 9, in realtà, il piano in cui condurre le proprie ricerche era il numero 11. Solo nel piano specifico, a seconda delle diverse commissioni con Bendy alle calcagna, c’è quello che cerchiamo. Una traduzione che ci appare imbarazzante e francamente poco rispettosa data la sua sbrigatività per un port PlayStation 4 mesi dopo la release dei singoli capitoli.
Le fasi di combattimento si dimostrano appena abbozzate, con un’arma dalla hitbox molto imprecisa, soprattutto nelle fasi più concitate, in cui sembra di colpire a vuoto e perire di conseguenza e in generale una strategia da “botta e risposta”, di dare un colpo e incassarlo, per poi girare in tondo ai nemici o ai boss e lasciare che la rigenerazione automatica faccia il suo corso, per poi ripetere la cosa al punto di banalizzarla. Il design dei boss è abbastanza ispirato, ma a parte questo, il gioco non dà molti mezzi né per schivare né per attaccare, dovendo ricorrere alla tecnica del girotondo a causa della goffaggine generale di cui soffre il gioco in queste parti.
La storia delineata dal piccolo team di sviluppo è molto interessante, e parla in sostanza di come Joey Drew ha cercato di risollevare l’azienda da un periodo difficile, come Bendy sia diventato un abominio fatti d’inchiostro e come le due cose siano collegate. Un’idea originale con diversi colpi di scena che avrebbe meritato forse anche più spazio, se non che il sistema di salvataggio “peculiare” e i capitoli dalla durata limitata non l’hanno permesso. Altra meccanica che dimostra l’originalità alla base del titolo è un visore speciale che debutta nell’ultimo e che permette di vedere messaggi e aiuti scritti con un inchiostro invisibile sul muro, insieme alle altre mille scritte con l’inchiostro già presenti. Il visore gode di un utilizzo solo parziale nel quinto capitolo, ma una volta completato il gioco lo si potrà utilizzare dall’inizio rivelando dettagli interessanti sullo studio.
Giocando Bendy and the Ink Machine si respira la sensazione di star giocando un BioShock in scala: un micro mondo andato in malora, che pullula di inchiostro e corruzione, dai personaggi che è possibile conoscere solo attraverso i registratori, i poster cartooneschi e le aree in cui le ammalianti atmosfere del 1912 (Bioshock Infinite) o anni ‘50 (BioShock) riecheggiano, questa volta, in giallo e nero, con una musica azzeccata, calati nei primi (e ultimi) giorni dell’animazione classica, fatta di inchiostro e sangue che, forse, in Bendy and the Ink Machine finiscono per essere la stessa cosa.
È più difficile di quanto si pensi dare un verdetto su Bendy and the Ink Machine. Sicuramente Bendy avrebbe meritato di più, essendo un gioco dal grande potenziale, ma tradito da una meccanica come il dubbioso sistema di salvataggio che è al limite dell’imperdonabile, sperimentato sulla pelle dei giocatori. La traduzione italiana, raffazzonata, avrebbe dovuto essere più curata e necessiterebbe di una patch (e delle scuse). C’è anche la sensazione che manchi qualcosa alla storia, originale ma meritevole di approfondimenti: poche domande alla fine, hanno avuto risposta, lasciando alcune cose in sospeso e al proprio mistero. Bendy & Co. offrono una rigiocabilità limitata, perdendo presto il “sense of wonder” e il senso di pericolo, quest’ultimo avvertito solo all’inizio. Se queste deficienze (da deficere, mancare) verranno corrette in un possibile sequel, il gioco – e il giocatore – ne beneficerà molto. Fino ad allora, Bendy and the Ink Machine rimane un titolo meritevole ma con riserva. Un voto di fiducia, quindi, per una neonata casa di sviluppo indie e un invito a rivedere diverse cose prima che Bendy venga a ribussare alla loro porta.
Pro
- Bendy è davvero spaventoso (all’inizio)
- Trama molto interessante...
- Boss ispirati...
- Il mondo dell’animazione b/n è restituito in chiave affascinante
Contro
- Sistema di salvataggio praticamente assente
- … che poteva essere approfondita meglio
- … ma gestione del combattimento acerbo e ripetitivo
- Localizzazione italiana imprecisa