Atomic Heart – Recensione
Atomic Heart prende a piene mani ispirazione da tutte quelle opere che vedono al centro della trama un enorme What if della nostra storia. In questo caso l’esito della Seconda Guerra Mondiale ha favorito l’Unione Sovietica rendendola la potenza più grande sul pianeta. Grazie alla scoperta dello scienziato russo Dmitry Sechenov, in grado di lavorare con i polimeri e raggiungere la fusione fredda dell’idrogeno, l’URSS si impone anche come potenza tecnologica più avanzata.
A primo impatto un mix tra un BioShock ambientato in Russia e Wolfenstein in salsa comunista, Atomic Heart cerca di crearsi una propria identità nonostante i moltissimi accostamenti ad altre opere in tutto il periodo pre-lancio. Ci sarà riuscito?
Il Comunismo ha vinto
Il titolo ci mette nei panni di Sergey Nechayen (detto P-3), compagno maggiore del KGB, chiamato a rapporto dal suo superiore dottor Sechenov. La nostra missione sarà quella di indagare all’interno dell’installazione 3826. Arrivati lì, dopo una fantastica presentazione del mondo di gioco che risulta sì derivativo (Bioshock Infinite) ma che riesce comunque ad avere una sua identità e una sua particolare bellezza, incontriamo subito i primi problemi: i droidi che ormai convivono normalmente tra le persone decidono di ribellarsi e attivare il modulo di combattimento inserito al loro interno e attaccare qualsiasi umano gli si pari davanti.
A questo punto ci troveremo a dover scoprire il motivo di questa ribellione e cercare di sventare il pericolo insieme all’inseparabile guanto parlante, Char-Les. Questo guanto composto di polimeri (come gran parte delle cose nel mondo di Atomic Heart) sarà un vero e proprio co-protagonista durante la nostra avventura, i due infatti avranno moltissimi scambi e dialoghi, spesso comici, ma anche utili allo sviluppo e all’approfondimento della trama. Trama che in alcuni punti cerca di essere inutilmente complessa creando solo molta confusione. Comunque nonostante gli ottimi spunti la trama prosegue seguendo i classici stilemi del genere senza mai discostarsi dalla aspettative dei giocatori e riuscendo difficilmente a sorprendere.
Combattimento a due mani e open world
Nonostante sappiamo bene quanto sia inutile fare paragoni con quel capolavoro di Bioshock è inevitabile non citarlo parlando del gameplay di Atomic Heart. Lo stile del combattimento prende infatti a piene mani dal titolo di Ken Levine, con P-3 che con la mano destra utilizzerà le armi da fuoco o melee, mentre sulla sinistra ci sarà il nostro compagno guanto in grado di utilizzare i polimeri per lanciare scosse, congelare i nemici, usare telecinesi o scudi. Le premesse anche qui sembrano ottime ma è lo sviluppo che poi non funziona molto.
I moltissimi combattimenti che ci troveremo ad affrontare difficilmente risulteranno soddisfacenti, che sia per problemi di level design, rigidità e lentezza del protagonista o estrema forza e agilità dei nemici. Inoltre anche le armi corpo a corpo, che utilizzeremo molto a causa della bassa disponibilità di munizioni, non restituiscono un buon feedback dei colpi.
Un altro elemento che caratterizza Atomic Heart è la possibilità di crearsi una propria build grazie a una vastissima varietà di potenziamenti ed equipaggiamento. Anche se i menù inizialmente possono risultare complessi e confusionari, una volta abituati ci si potrà sbizzarrire provando le varie combinazioni di armi e poteri. Peccato che il combat system non riesca a esaltare questa componente di personalizzazione per l’elevata difficoltà che in alcune fasi potrebbe portare anche alla frustrazione. Soprattutto nell’open world l’onnipresenza di robot e telecamere non permette la libera esplorazione del mondo portandoci sempre e comunque a dover combattere o fuggire.
Certo, il titolo ci dà la possibilità avanzare in stealth per non farci scoprire ma l’assenza di coperture e la lentezza del personaggi renderanno impossibile non essere individuati. In più anche l’assenza di veri contenuti nel mondo aperto creato da Mundfish ci porterà ad avanzare a testa bassa verso la prossima missione prendendo il primo veicolo che ci capiterà a tiro.
Russia al massimo splendore
Tecnicamente i ragazzi di Mundfish hanno svolto un ottimo lavoro, l’immaginario creato per l’Unione Sovietica post WW2 con conseguente ascesa tecnologica è strabiliante e lo si nota soprattutto nelle prime fasi di presentazione del mondo. Anche in game comunque il comparto grafico riesce a rendere l’ambientazione alla grande, soprattutto grazie a un sistema di illuminazione eccellente sia nelle fasi al chiuso che in quelle nell’open world. Peccato per quei piccoli ma abbastanza frequenti cali di frame rate che, soprattutto durante i combattimenti o i filmati più movimentati si fanno sentire. Il titolo non dà la possibilità di selezionare la modalità grafica che sarà invece fissata sui 60 fps alla massima risoluzione negli ambienti chiusi e dinamica quando l’ambientazione si apre.
In conclusione, dunque, i ragazzi di Mundfish hanno provato a creare un titolo probabilmente ancora fuori dalle loro possibilità. L’aggiunta forzata dell’open world e diverse ingenuità bastano a rendere Atomic Heart un gioco con un buon potenziale ma che è rimandato decisamente al prossimo appello.
Il potenziale di Atomic Heart è innegabile ma per ora, vista anche l'inesperienza del team, è rimandato a un eventuale sequel per migliorare tutti quegli aspetti che lo rendono abbastanza mediocre.
Pro
- Ambientazione suggestiva
- Comparto grafico gradevole
Contro
- Combattimenti poco soddisfacenti
- Trama confusa e con molti spiegoni
- Diversi cali di frame rate
- Open world non necessario