Anthem – Recensione
Riuscire a rispettare le grandi attese della vigilia, specialmente quando si tratta di una particolare tipologia di prodotti, è un’impresa ardua, a cui solo in pochi riescono a tenere testa. Allo stesso modo, è risultato arduo, per chi vi scrive, riuscire a valutare nel modo più corretto e imparziale possibile un prodotto delicato e tremendamente controverso come Anthem, nuova fatica dei ragazzi di BioWare che – a conti fatti – hanno centrato il titanico obiettivo soltanto in parte.
Del resto, le aspettative intorno allo shooter a mondo condiviso realizzato nientepopodimeno dai creatori di una delle icone del mondo videoludico, il brand Mass Effect, non potevano che essere alle stelle e immaginare un simile epilogo purtroppo, era tristemente abbastanza prevedibile, quasi una certezza.
Va detto, però, che Anthem non è assolutamente un prodotto da bocciare anzi, e si presenta forse anche più “pronto” dei suoi diretti concorrenti – su diversi aspetti – rispetto al periodo d’uscita dei vari Destiny o The Division ma, a differenza di questi ultimi, lascia maggiormente spazio a una sensazione a metà tra il dispiacere per l’occasione sprecata e la rabbia per non aver saputo far tesoro dei successi e soprattutto degli insuccessi altrui.
Volendo fare una romantica allegoria, potremmo dire che Anthem si è palesato dinnanzi ai nostri bulbi oculari proprio come i protagonisti indiscussi della produzione – gli strali – spiccando un volo eclatante, rimanendo in aria per un po’ di tempo, abbastanza per lasciarci continuare a sognare, per poi schiantarsi inesorabilmente al suolo, sotto il peso di lacune tanto gravi quanto inattese.
La rinascita della civiltà
Le indiscusse abilità da cantastorie di BioWare si palesano sin da subito: seppur non originalissima la trama che accompagna le svolazzanti gesta degli specialisti, delle sentinelle e degli arcanisti vari, è ben congegnata e soprattutto per nulla superflua. Senza entrare nuovamente nel dettaglio (vi rimandiamo alla prima parte della recensione), quello che si evince col passare delle ore è un racconto ricco di dettagli e di nozioni da assimilare, per apprendere al meglio tutto ciò che il mondo di gioco e il suo enciclopedico bagaglio di informazioni hanno da offrire. Girovagando per il Forte Tarsis o semplicemente leggendo i vari appunti del Cortex, è possibile riscoprire uno degli universi narrativi più complessi e stratificati del mondo videoludico, nettamente superiore comunque rispetto alla diretta concorrenza. In verità la “trama di base” – che verrà espansa già nel prossimo update – non vive di particolari acuti di sorta, ma risulta sempre e comunque coerente e dinamica quanto basta, capace di accompagnare in ogni caso, e nel migliore dei modi, la controparte ludica della produzione.
A giocare un ruolo fondamentale, sotto questo aspetto, è anche la natura del protagonista, non “muto” e passivo come purtroppo accade coi prodotti della concorrenza ma anzi, dotato di una lingua fin troppo lunga e spesso e volentieri tagliente. Dialogando con i vari NPC presenti al Forte infatti, avrete anche la possibilità di rispondere (non sempre), in modo diverso ai vari dialoghi, cosa che vi restituirà ancor di più quella sensazione di immersività e di contatto diretto con l’ambiente circostante. Un ambiente incredibilmente ostile, che è stato teatro di numerosi scontri e catastrofi, tra cui la rinascita di un male creduto sepolto, fa da fulcro alla narrazione, complessa e variegata, ma che si dimostra incompleta, proprio in previsione delle prossime aggiunte. Se il buongiorno si vede dal mattino, e se i prossimi contenuti riusciranno a sfruttare al meglio la lore generata attorno al titolo, sicuramente ne vedremo delle belle.
I believe I can fly
Quello che rappresenta, oltre al solido comparto narrativo, il cuore pulsante della produzione targata BioWare è certamente il gameplay. Analizzando il comparto ludico della produzione non si può non iniziare partendo dal vero “pezzo da novanta” dell’opera: il volo. Svolazzare per la regione, mentre si sterminano orde di metamorfici o di sanguinari soldati del Dominio, restituisce una sensazione impagabile, sia pad alla mano sia sul piano puramente visivo, e rappresenta un punto di forza imprescindibile per tutta l’economia del titolo. L’eccentrico e dinamico sistema di movimento in stile Iron Man, però, si scontra in maniera quasi equamente importante con un sistema di shooting molto approssimativo, a causa soprattutto di un feedback delle armi quasi inesistente. In verità, anche sul piano della varietà, sia visiva sia nell’effettivo impiego, le bocche da fuoco appaiono fin troppo simili l’una con l’altra, mostrando così il fianco a una mancanza importante e che, sulle lunghe, può risultare fatale in un titolo del genere.
Sommando le due cose ad ogni modo, il risultato è più che riuscito: ogni scontro risulta un’epifania cromatica e di moto, in cui le rocambolesche schivate, le fragorose esplosioni e le numerose creature da sconfiggere rappresentano il fiore all’occhiello di un lavoro, sotto questo punto di vista, davvero encomiabile. A rendere il tutto ancor più dinamico e – soprattutto – divertente è la resa, una volta scesi in campo, dei quattro strali, tutti diversissimi tra di loro e che, per tal motivo, rendono sempre fresco e appagante ogni singolo scontro a fuoco. Prendere parte a una spedizione con il granitico Colosso, dotato ad esempio di una resistenza ai danni superiore a tutti gli altri e di uno scudo capace di riflettere moltissimi colpi, renderà completamente diversificata l’esperienza di gioco, nonché completamente differente anche l’approccio alle varie missioni rispetto all’agile e scattante – ma allo stesso tempo “debole” ai colpi nemici – Intercettore. Abbiamo citato quelli che sono praticamente i due opposti ma al centro si piazzano, con le dovute premesse e differenziazioni, i due strali intermedi: Tempesta e Guardiano. Se il Tempesta risulta comunque una sorta di “mago”, che fa quindi maggior affidamento su attacchi dalla distanza elementali paragonabili agli incantesimi di sorta, lo stesso non si può dire del Guardiano, che alla fin fine risulta lo strale più equilibrato da utilizzare.
Uno strale è per sempre? Non per forza!
Viene da sé che, trattandosi di un titolo pensato per il multigiocatore, la forte diversificazione delle quattro “classi” presenti risulti fondamentale per approcciare al meglio ogni singola battaglia, specialmente nelle fasi più avanzate o, per meglio dire, ai livelli di difficoltà maggiori. Riveste grande importanza anche la scelta delle dotazioni che ogni singolo strale ha a disposizione: ognuno dei quattro esoscheletri è dotato di strumenti esclusivi (alcuni sono in comune) che garantiscono bonus diversi ai più disparati parametri, quali salute, corazza, danno, danno elementale e persino il danno di ogni singola tipologia di armi, rendendo così la componente ruolistica del titolo ancora più marcata e stratificata. Questa componente viene impreziosita dalla riuscita dinamica delle combo: ogni personaggio, equipaggiando un particolare catalizzatore elementale negli appositi slot, può dar vita a combattimenti devastanti combinando sapientemente gli attacchi in sequenza, dando luogo a una scia di colpi dal danno esoso e risolutivo, specialmente contro i nemici più ostici.
A risultare carente sotto l’aspetto proprio della rilevanza ruolistica del titolo, è lo scarno e solamente abbozzato sistema di crafting, in cui le poche cose realizzabili sono tranquillamente reperibili semplicemente giocando, risultando così una feature tutt’altro che rilevante ai fini della corretta progressione. Una progressione divisa metà, un po’ come accade negli altri esponenti del genere, tra l’avanzamento di un livello generale (o del “pilota”) e quello della potenza dell’equipaggiamento, vero punto cardine della produzione. Avanzare di livello vi consentirà di affrontare le sfide ai livelli più alti (Gran Maestro 1 e successivi), con conseguente maggiore qualità nel drop-rate. Sarà proprio però la potenza dell’equipaggiamento utilizzato a risultare fondamentale per poter portare al termine con successo le complicatissime missioni, specialmente quelle affrontate ai livelli di difficoltà più elevati.
L’assordante eco del vuoto
Le prime note dolenti, di quelle che fanno veramente male, sono riscontrabili – com’era nelle previsioni dei più scettici e pessimisti – nella varietà delle missioni e delle attività di gioco in generale, cosa che si ingigantisce una volta giunti al tanto temuto endgame. Una volta completata la “storia principale” e raggiunto il livello massimo, si spalancheranno le porte di quello che di fatto è l’endgame di Anthem: un finale povero di attività e a tratti confusionario e spiazzante. Complice anche la poca chiarezza del menù di gioco, in particolare quello che tiene traccia delle attività da svolgere, comprendere come progredire non sarà certamente facile e immediato, ma i problemi veri e propri sono ben altri. La varietà delle attività è il primo, vero, anello debole della produzione, che offre al giocatore una manciata di contenuti sin troppo simili tra di loro, che rischiano di gettare nella noia in breve tempo. Esclusi i contratti, le attività assegnate dalle varie fazioni presenti a Fort Tarsis, in verità anch’esse non molto dissimili l’una dall’altra, e i vari compiti da svolgere sono ben pochi e tutti legati indissolubilmente a un nucleo ludico pressoché identico.
Escludendo il Gioco Libero che, grazie a una buona presenza di Eventi Globali, nonché una discreta qualità nell’esplorazione alla ricerca di materiali e beni di consumo funziona egregiamente, il resto del titolo non riesce a offrire veri motivi per invogliare a continuare a giocare, fatta eccezione per il semplice divertimento offerto dal gameplay. Le Roccaforti, una sorta di dungeon con tanto di boss finale (ripetibili), sono poche e risultano ben poco diversificate tra loro, specialmente per quanto concerne quello che il giocatore effettivamente dovrà fare una volta iniziata la missione. Tutta la struttura di gioco quindi, è afflitta da una monotonia di fondo impressionante, a tratti spiazzante, che ben si sposa con la natura spoglia delle ambientazioni, in cui le attività si svolgono praticamente sempre negli stessi punti. Che sia una missione di recupero o di sterminio, l’alternanza delle location si limiterà, quasi sempre, a una grotta sotterranea o all’accampamento di sorta, offrendo così una sensazione di déjà-vu costante e deleteria.
Forti da soli, invincibili insieme
La vera forza di Anthem risiede nella componente multigiocatore, e non potrebbe essere altrimenti. Data la spettacolarità di fondo e la profondità del gameplay, giocare insieme a un team organizzato può rendere lo sparatutto a mondo condiviso di BioWare uno dei prodotti più succulenti del mercato. In tutta onestà il titolo è assolutamente fruibile anche in solo, a differenza, ad esempio, dei suoi rivali diretti in cui, in alcuni casi, la necessità di svolgere le attività in compagnia è un po’ troppo presente. Grande merito di tutto ciò va al matchmaking, ottimamente strutturato e che funziona a dovere. Non ci è mai capitato, durante le oltre cinquanta ore di gioco passate in compagnia di Anthem, di ritrovarci a svolgere attività troppo difficili in solitaria o di essere accoppiati a giocatori nettamente più forti o più deboli. Un lavoro egregio, sotto questo aspetto, che si scontra, ancora una volta, con una stabilità dei server alquanto carente, specialmente se si analizzano alcune attività.
Ci è capitato, numerose volte, di assistere a disconnessioni improvvise, missioni completamente “buggate” e impossibili da completare e a strani freeze dello schermo durante le sequenze di caricamento. A onor del vero va detto che gli sviluppatori hanno già rilasciato una patch correttiva (che ha aiutato a limare alcuni difetti), riuscendo, con alterne fortune, nel suo intento. Nonostante tutto, comunque, rimaniamo fiduciosi per il prossimo futuro, in cui, trattandosi di un gioco dal supporto continuo, BioWare, siamo sicuri, tenterà di mettere una pezza sui vari problemi elencanti.
Downgrade si, downgrade no
I problemi, per fortuna, non riguardano l’aspetto tecnico/audiovisivo della produzione, in cui Anthem mostra veramente i muscoli. Tralasciando la spinosa questione del tanto vociferato downgrade grafico, il titolo si mostra davvero eccellente sotto il profilo grafico e tecnico, uno dei veri punti di forza della nuova fatica di BioWare. Stando almeno alla versione da noi testata, quella per Xbox One X, Anthem riesce a offrire degli scorci clamorosi, sorretto da una risoluzione nativa in 4K e da un frame-rate tutto sommato stabile, fissato però sui 30 fps. Per essere pignoli però, in particolare durante l’esecuzione di alcune abilità, quelle più “pirotecniche” per intenderci, ci è capitato di assistere ad alcuni cali comunque non particolarmente vistosi. Proprio la bellezza delle abilità degli strali, unita alla personalizzazione estetica dei suddetti esoscheletri, rende Anthem un prodotto bello da vedere, impreziosito anche da una splendida realizzazione delle ambientazioni in cui la fauna e la flora locale risaltano all’occhio immediatamente. Ci è piaciuta poco in verità, la scarsa varietà dei mostri o la minima interazione ambientale, ma la resa complessiva di elementi come fondali marini, draw distance e quant’altro è tutto sommato più che positiva.
Niente da dire, invece, sul doppiaggio italiano, ottimamente eseguito, che rende piacevole ogni singolo dialogo, e sulla qualità complessiva dei suoni, roboanti e marcati, a sottolineare ancora una volta la palese spettacolarità complessiva del titolo dei ragazzi di BioWare. Un plauso va fatto anche alla colonna sonora: trucidare orde di creature ostili sulle note delle epiche musiche del gioco è davvero un toccasana, cosa che, a dirla tutta, eleva Anthem, sotto questo aspetto, verso nuove vette qualitative del mercato ludico in generale.
Anthem è la perfetta interpretazione che si cela dietro all’esclamazione: “Che peccato!”. Un prodotto incredibile sotto il profilo narrativo (trattandosi di uno shooter a mondo condiviso) impreziosito da un gameplay divertente e pirotecnico ma che riesce incredibilmente, a vanificare buona parte delle sopracitate qualità. In che modo? Portando in scena una struttura delle missioni monotona e ripetitiva fino allo sfinimento, nonché una carenza di attività una volta giunti nell’endgame, quasi incomprensibile. Questo aspetto dimostra come la software house abbia dimostrato chiaramente di non aver saputo imparare dagli errori altrui, portando sul mercato un prodotto acerbo e incompleto, sorretto da numerose problematiche ma tutto sommato dal potenziale importante. La straziante sensazione di occasione sprecata è in parte smorzata dalla garanzia di un supporto continuativo, che già nei prossimi mesi provvederà a rimpinzare le fauci dei più famelici videogiocatori, con la speranza che il cantiere aperto chiamato Anthem diventi – col passare del tempo – un vero e proprio capolavoro architettonico di cui andare veramente fieri.
Pro
- Il sistema di movimento è tanto spettacolare quanto funzionale
- I quattro strali sono ottimamente diversificati tra di loro
- Componente ruolistica che funziona, specialmente in multigiocatore
- Pad alla mano uno dei titoli più divertenti in circolazione
- Componente narrativa curata e stratificata
Contro
- Endgame povero di attività
- Ripetitività di fondo delle missioni
- Alcune incertezze sul frame-rate
- Bug più o meno evidenti da sistemare quanto prima