La vita è, allo stesso tempo, la conseguenza diretta delle nostre scelte e il susseguirsi di eventualità caotiche imprevedibili e non controllabili, i cui protagonisti siamo noi – esseri umani imperfetti che, in fondo, dimostriamo di essere sempre occasionalmente mostri. Always Sometimes Monsters è infatti il nome del titolo difficilmente catalogabile prodotto dallo studio Vagabond Dog e distribuito da Devolver Digital.
Sempre occasionalmente videogiochi
L’incipit dice molto su Always Sometimes Monsters: è un gioco focalizzato sulla vita comune, sugli eventi casuali e non che ci rendono quello che siamo, e di come siamo disposti ad affrontarli. Certo, non tutti siamo scrittori fallimentari con una dolorosa storia d’amore alle spalle come il protagonista, ma molte situazioni che si presentano, seppure estremizzate, potrebbero essere familiari e comuni a molte persone.
Il protagonista, dicevamo, è uno scrittore, le cui apparenze vengono scelte inconsapevolmente dallo stesso giocatore nei primi minuti di gioco, così come il suo partner, senza distinzione di razza e sesso per nessuno dei due. È l’unica vera differenza fra i personaggi, e ciò che accadrà dopo, infatti, sarà comune per tutti: la storia è una lunga “quest” che inizia dopo aver ricevuto un invito al matrimonio dall’ex partner, sul quale non possiamo far a meno che decidere di andare a indagare, affrontando i debiti, ostacoli sociali, e la distanza – vera nemica del protagonista. Di mezzo, varie sotto-quest per la sopravvivenza giornaliera, dove il senso morale del giocatore è chiamato a fare delle scelte, nelle quali puntualmente ciò che avvantaggia di più noi stessi mette in difficoltà gli altri, e viceversa. Un esempio? Ad un certo punto capiterà la richiesta di aiutare un caro amico in difficoltà che sta rischiando la sua vita, ma il prezzo sarà dover abbandonare l’opportunità di andarsene in tempi brevi dalla città.
L’intero gioco è basato su dilemmi di questo tipo, avvalendosi anche di parecchie citazioni ad altri giochi, eventi reali e così via. Non mancano trovate meta-game, come ad esempio la sede della software house autrice del gioco all’interno dello stesso, e nessun indicatore stabilisce la moralità del personaggio: sono solo le reazioni e i fatti a definire cosa siamo.
Sempre occasionalmente difettosi
Abbiamo omesso che l’intera struttura è basata sul modello dei classici giochi di ruolo orientali 2D degli anni ’90, prodotto con il tristemente famoso RPG Maker. Tra gli innumerevoli difetti di questa scelta pesano soprattutto un gameplay ridotto, molto legato a noiose interfacce a menù e povero di interazione, nonché una limitata resa grafica, sul quale i grafici avrebbero potuto sopperire con un bel lavoro di pixel art che invece è venuto a mancare, con ambientazioni molto semplici e soprattutto personaggi disegnati in maniera dozzinale. Dobbiamo dare credito al fatto che la scelta di questo ambiente di sviluppo ha permesso agli sviluppatori di poter concentrarsi al cento per cento sull’aspetto narrativo, ma il problema è proprio qua: non raggiunge gli obiettivi preposti.
Il libero arbitrio profetizzato dai trailer del gioco non rispecchia le molte forzature lineari della trama, la quale si riflette in un gameplay piatto che riesce a risultare ripetitivo in maniera insensata: per quale motivo il giocatore che decide di optare per scelte moralmente condivisibili viene costretto a dover svolgere ripetute sessioni di lavoro per ottenere gli assurdi 800 dollari per pagare un biglietto del pullman? E perché dopo aver passato la prima metà del gioco a trovare un modo per andarsene dalla città è costretto a ripetere la medesima problematica in un’altra?
Persino le musiche diventano tediose: in una struttura di gioco dove l’unico elemento sonoro sono le melodie di accompagnamento, è fondamentale produrre qualcosa che le orecchie del giocatore gradiscano o, quantomeno, non diventino fonte di disturbo, come purtroppo accade con i sottofondi delle città.
[signoff icon=”quote-circled”]Ci troviamo di fronte un gioco concettualmente interessante ma deludente nella realizzazione. Qualcuno potrebbe accusarci di avere troppi pregiudizi nei confronti di RPG Maker, che nei suoi limiti è comunque il mezzo con cui è stato creato un’indiscussa perla come To The Moon, ma il problema è proprio che, a differenza di quest’ultimo, Always Sometimes Monsters ha cercato a tutti i costi di essere un esperienza di rilievo, peccando di presunzione. Voler rappresentare qualcosa da ricordare richiede sforzi ben maggiori di essere una sorpresa.[/signoff]
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