Aliens: Colonial Marines – Recensione Aliens: Colonial Marines
Uno sviluppo difficile
Il franchise di Alien, forse uno dei più famosi della fantascienza, con la sua perfetta miscela di azione ed elementi horror, si è sempre rivelato un’ottima fonte di ispirazione per titoli videoludici. A partire dal primo, pionieristico prodotto per Atari 2600 del 1982, i titoli dedicati all’affascinante e temibile creatura, partorita dal genio di Hans Ruedi "Rudolf" Giger, hanno attraversato quasi ogni piattaforma videoludica. Fino ad arrivare a questo ultimo titolo della Gearbox. Ispirandosi all’ambientazione della saga cinematografica, in particolare al secondo episodio Aliens: scontro finale, questo Colonial Marines ha attraversato uno degli sviluppi più lunghi e difficili della storia videoludica. Sviluppato inizialmente nientemeno che per PS2 nel 2001 dalla Check Six Games, il progetto venne sospeso poco prima della sua uscita. In seguito, nel 2006, la Sega acquistò i diritti dell’ambientazione di Aliens direttamente dalla 20th Century fox, annunciando insieme alla Gearbox, sviluppatrice delle eccellenti serie di Borderlands e Brothers in arms, lo sviluppo di un titolo completamente nuovo. Nel 2008 il progetto viene creduto nuovamente sospeso nonostante le smentite di Randy Pitchford, presidente della Gearbox. I lunghi tempi di sviluppo convinsero la Sega a far uscire Aliens: infestation, inizialmente concepito come un porting di Colonial Marines, come titolo a parte per Nintendo DS. Ora, dopo ulteriori sei anni di attesa e numerosi trailers e annunci, possiamo finalmente provare il nuovo titolo dedicato all’universo di Aliens.
Dei marines nello spazio profondo
La storia di Aliens: Colonial Marines si svolge 17 settimane dopo gli eventi narrati nel secondo episodio della saga cinematografica e ne riprende ambientazioni e atmosfera con molta precisione. Persi i contatti con i marines inviati sull’LV426 in Aliens: scontro finale di James Cameron, un nuovo team della USS Sephora viene inviato a investigare su una chiamata di soccorso proveniente dalla USS Sulaco, ancora in orbita attorno al pianeta coloniale. Giunti sulla Sulaco, alcuni dei nostri soldati vengono sterminati da un’infestazione di xenomorfi, alla quale sopravvivono solo alcuni tenaci marines, tra qui il nostro alter ego videoludico, il caporale Christopher Winter. Winter e i compagni, tra un salvataggio di marines e una missione suicida, vengono a conoscenza dei disegni della Weyland-Yutani Corporation (da sempre interessata a usare gli aliens come arma) arrivando al punto di non sapere più di chi potersi fidare. E attraverseranno gli 11 livelli dell’avventura passando fra numerose missioni quali il classico soccorso di compagni dispersi, i recupero di documenti importanti, il gestire barriere difensive contro gli xenomorfi e la semplice sopravvivenza in un mondo fin troppo ostile, affrontando nel contempo non solo intere ondate di creature letali (alcune delle quali create appositamente per questo titolo), ma anche mercenari della Weyland-Yutani inviati per impedire ai nostri marines di venire a conoscenza dei veri intenti della compagnia. La caratterizzazione dei vari protagonisti è abbastanza ben riuscita e le loro paure e storie personali, spesso drammatiche, si intrecciano in modo efficace con la trama, rendendoli dei personaggi ben più interessanti dei soliti soldati tutti d’un pezzo tipici di questo genere di ambientazione. Quella che potrebbe sembrare inizialmente la solita storia dei coraggiosi soldati invitati a distruggere qualsiasi cosa, quindi, acquista ben presto sfaccettature complesse grazie all’utilizzo del franchise ufficiale della saga cinematografica e a una sceneggiatura scritta da Bradley Thompson e David Weddle, autori di episodi della serie di Battlestar Galactica, che rendono la trama di Colonial Marines l’aspetto probabilmente meglio riuscito del titolo. Gli stessi ambienti in cui si svolgerà la nostra avventura sono ripresi direttamente dal film di Cameron e non faticheremo a riconoscere gli inquietanti corridoi della Sulaco, i claustrofobici cunicoli e i nidi degli xenomorfi.
Vivere e morire da marine
La giocabilità del titolo Gearbox non si discosta molto dai classici canoni dettati dagli FPS (First Person Shooter). Benché le prime versioni del titolo mostrassero una totale assenza di HUD (Head-up Display), in questa versione finale gli sviluppatori hanno deciso di inserire i classici indicatori su schermo, tipici di questo genere di prodotto. Avremo quindi due barre in basso a sinistra, una dedicata all’armatura e la seconda all’energia (Doom insegna), più altri indicatori di munizioni e granate. Il nostro caporale può inoltre fare affidamento su un accessorio mutuato direttamente dal film (e già presente nella campagna marine di Alien versus predator): il rilevatore di movimento. Ma la presenza di un altro mini rilevatore, che appare in basso sullo schermo soltanto in caso di movimento nemico, e la natura stessa degli attacchi degli xenomorfi, rendono questo accessorio quasi inutile. L’uso del rilevatore avrebbe potuto stimolare nuove tattiche a livello di gameplay, ma in definitiva ci troveremo a usarlo solo per trovare la strada per il prossimo obiettivo e nelle campagne multiplayer, dove acquista un’effettiva utilità grazie agli imprevedibili schemi di attacco degli avversari umani. La prima versione del titolo prevedeva inoltre la possibilità di gestire una squadra di marines, pianificandone tattiche e formazioni. Ma questa possibilità è andata perduta in favore (così dicono alla Gearbox) di una giocabilità più immediata. Ora le uniche scelte tattiche si riducono alla possibilità di saldare le porte per impedire l’avanzata degli xenomorfi (scelta inutile, visto che ormai li avremo già sterminati con le armi) e alla presenza di torrette-mitragliatrici da piazzare in punti strategici. Potremo anche contare sulla presenza di armi potenziabili, anche queste riprese dal film, e di marines al nostro fianco. La presenza di questi ultimi rende il titolo decisamente facile. I nostri compagni, infatti, sono praticamente immortali e spesso è sufficiente lasciarli andare avanti, attendendo con calma che abbiano fatto piazza pulita di nemici e xenomorfi.
Gli schemi d’attacco degli xenomorfi, inoltre, sembrano dettati più da una furia cieca e stupida, piuttosto che dalla micidiale intelligenza che dovrebbe essere tipica di queste creature. Gli aliens ci attaccheranno a vista senza un minimo di tattica, a testa bassa (anche se la loro capacità di muoversi su qualsiasi superficie rende i loro attacchi un po’ più imprevedibili), snaturando quell’angosciante componente horror che dovrebbe essere il marchio stesso del franchise. In definitiva ci ritroveremo ad aspettare semplicemente la prossima ondata di xenomorfi da massacrare. La presenza di numerosi (troppi?) nemici umani poco dopo l’inizio della nostra avventura ci porta a temere di essere davanti a un Call of duty nello spazio, ma dopo il nostro atterraggio sull’LV426 le cose migliorano decisamente. Quel che rende più interessante il titolo è la presenza di leggeri elementi GDR, piuttosto insoliti per un FPS. La scoperta di determinati file, targhette militari, armi speciali (appartenute ai personaggi del film di Cameron) e lo sblocco di determinati obiettivi (quali uccidere nemici con attacchi corpo a corpo o farne esplodere due con una sola granata) ci permetterà di accumulare punti da utilizzare per potenziare il nostro arsenale, tramite mirini laser, caricatori più capienti e altro, e sbloccare armi e costumi da utilizzare nella campagna multiplayer. E’ dal punto di vista della longevità che troviamo il difetto maggiore di Aliens: Colonial Marines. Grazie alla linearità stessa dell’avventura, alla presenza di numerose munizioni e medi-kit, nonchè alla letalità dei nostri comprimari, difficilmente la durata del titolo potrà superare le 5-6 ore. Sul versante online, dove avremo la possibilità di impersonare anche i letali xenomorfi, le cose vanno meglio. Oltre alle classiche modalità multiplayer presenti negli FPS in genere (sterminio, fuga, sopravvissuto, partita mortale), troviamo un’interessante opzione per affrontare l’intera avventura in cooperativa online, fino a un massimo di 4 giocatori.
Nei corridoi della Sulaco
Tecnicamente il titolo Gearbox fa uso di una versione migliorata dell’Unreal Engine 3, denominato Red ring, che aumenta le prestazioni degli effetti di luci e ombre, indispensabili in un’ambientazione come quella di Aliens. Purtroppo, diciamolo subito, il titolo risente dei lunghi anni di sviluppo. In primo luogo il comparto tecnico non è minimamente quello mostrato nella demo tecnica all’E3 del 2011, situazione che ha fatto infuriare gli appassionati del franchise, quando non assume i connotati di una vera e propria truffa (un giro in rete vi basterà per notare le differenze tecniche tra quella demo e il prodotto finale). Anche se gli effetti di luce sono ben curati, le texture e le animazioni non reggono il confronto con i titoli più recenti, ma quel che di buono ha da offrire il comparto tecnico di Colonial Marines sta nel design dei livelli e degli scenari. Syd Mead, già autore degli scenari di Blade Runner, ha disegnato personalmente alcune parti della Sulaco mai apparse nei film. Grazie al talento del visionario artista, e alla collaborazione tra Gearbox e 20th century fox, le ambientazioni del titolo sono identiche a quelle della saga cinematografica. Ogni arma, ogni elemento dello scenario, le divise dei marines, persino gli oggetti sono stati ricreati con fedeltà. Nel complesso il comparto tecnico, pur non raggiungendo le meraviglie mostrate all’E3, risulta abbastanza piacevole. Dal punto di vista del sonoro il titolo se la cava ancora meglio. I suoni emessi dalle nostre armi, le musiche (a opera di Clint Mansell e ispirate a quelle originali), le scurrili frasi dei marines, persino i doppiaggi originali dei vari personaggi risultano identici al film (Michael "Hicks" Biehn e Lance "Bishop" Henriksen hanno doppiato personalmente le loro controparti videoludiche). Manca solo la possibilità di impostare i sottotitoli italiani con le voci originali. Per gustarci queste ultime dovremo necessariamente impostare in inglese il sistema operativo della PS3, ma il doppiaggio italiano risulta abbastanza curato (anche se con un paio di strafalcioni).
In conclusione
Ne è valsa la pena di aspettare dodici anni di sviluppo (che in termini videoludici sono davvero tanti)? La risposta è positiva solo in parte. Aliens: Colonial Marines è in definitiva un buon FPS che piacerà soprattutto agli appassionati del franchise, ma è ormai un titolo fuori tempo massimo. Le meccaniche e il comparto tecnico risentono negativamente di uno sviluppo protrattosi troppo a lungo e l’impressione finale è che abbiano semplificato questi due aspetti del titolo al solo scopo di farlo finalmente uscire sul mercato. Anche la componente horror a volte risulta decisamente sbilanciata a favore di un approccio talvolta troppo improntato all’azione. Ma non mancano momenti piacevoli da vero survival horror, alcuni dei quali talmente riusciti da alzare la media qualitativa del prodotto. Il prodotto Gearbox, nonostante i difetti, è un titolo che non manca comunque di affascinare, forte di una riproduzione fedele alle ambientazioni tipiche del film, di alcune scelte felici e di una giocabilità abbastanza buona. Il vero difetto di questo titolo è quello di essersi circondato di aspettative troppo alte, tra trailers, continui annunci e smentite, aspettative che non è riuscito a soddisfare in pieno. Non è una completa delusione, quindi, ma nemmeno il titolo definitivo su Aliens che molti appassionati stavano aspettando.