Alien: Isolation
Il primo film della saga cinematografica di Alien è probabilmente il caso più eclatante di fusione di due generi, ovvero quello fantascientifico e quello horror. Nessun altro è riuscito a riprodurre un’esperienza così radicata in entrambi i generi, creando un futuro immaginario così convincente e plausibile, e unirlo all’assurdità della più infantile delle paure, quella del mostro. Un mostro che, in questo caso, non è solo uno spauracchio, ma qualcosa che appare allo stesso tempo sia umano sia animale, un’entità incontrollabile e imprevedibile spinta da istinti primordiali. Qualcosa che appare soprannaturale, ma che in realtà è la più violenta rappresentazione della natura mai immaginata.
Con tutto questo materiale per far leva sulle emozioni (ed in particolare sulla paura) delle persone, appare strano che ogni sviluppatore di videogiochi che abbia prodotto creazioni sul brand si sia concentrata sempre e solo sull’aspetto action, facendo riferimento più ai seguiti che all’originale. Questo finché Sega non ha dato l’incarico per Alien: Isolation a Creative Assembly, una software house che mai aveva lavorato sul brand, famosa per i giochi di strategia della serie Total War, completamente opposti alla filosofia dei film e dei giochi sul brand. Eppure, nonostante la premessa, Alien: Isolation vince a completo merito il titolo di miglior gioco basato sull’opera di Ridley Scott. Seguono le nostre motivazioni.
“Rapporto finale del veicolo spaziale Nostromo, da parte del terzo ufficiale. Gli altri componenti dell’equipaggio Kane, Lambert, Parker, Brett, Ash e il comandante Dallas sono morti. Carico e nave sono distrutti. Dovrei giungere alla frontiera tra sei settimane. Se sono fortunata, la sorveglianza mi porterà in salvo. Parla Ripley, unica superstite del Nostromo. Passo e chiudo.”
Queste sono le ultime parole di Ellen Ripley, protagonista della saga, alla fine del primo lungometraggio. Queste sono anche le parole che danno inizio a Isolation. Quanto sia passato prima del ritrovamento è cosa nota, grazie al secondo film, ma cosa è successo nel mentre? La risposta è in questo gioco: quindici anni dopo la distruzione della Nostromo, Amanda Ripley, figlia di Ellen, viene informata da rappresentanti della compagnia Weyland-Yutani del ritrovamento della scatola nera della nave, avvenuto ad opera della stazione spaziale Sevastopol, proprietà di una corporazione concorrente.
La compagnia vuole sapere cosa è successo, e Amanda, incapace di darsi pace sulla scomparsa, non rinuncia a prendere parte alla missione di recupero.
Questo incipit, narrato attraverso scene pre-costruite con il motore di gioco, viene interrotto per portare immediatamente Ellen e i suoi compagni di viaggio in prossimità della Sevastopol, dopo un lungo viaggio iperspaziale.
La situazione è immediatamente anomala: la stazione appare danneggiata, e le comunicazioni sono disturbate. L’unico modo per potervi accedere è entrare da un portello di servizio, uscendo di persona nello spazio. Non passa nemmeno il tempo di arrivare all’entrata prima che un’esplosione scagli detriti contro Ripley e compagni; miracolosamente Ripley riesce a raggiungere l’ingresso ed infilarsi dentro. Ma ora è da sola, davanti all’ignoto.
La saga di Alien ha pesantemente influenzato la produzione fantascientifica negli anni a venire, e non sono pochi i giochi ad averlo usato come ispirazione. Due esempi palesi sono i primi due Dead Space e Doom 3, in particolar modo con riferimento a narrazione e design. È giunto finalmente il momento che questa eredità venga ricambiata, cedendo ad Isolation ciò che di buono tali giochi hanno dato: la prima impressione esplorando la Sevastopol, infatti, è molto simile a quella provata coi suddetti giochi, in particolar modo quello di EA. Con gli occhi di Amanda si esplorano gli stretti corridoi e stanze di una gigantesca nave, inspiegabilmente priva della fiorente vita che dovrebbe popolarla. Solo i dettagli possono svelare cosa è successo, come scritte sui muri, oggetti trovati in giro, terminali e log con messaggi confusi, e…. cadaveri. L’intera stazione pare caduta preda all’anarchia, e il primo contatto con dei superstiti non fa altro che confermare questa tesi: il decadimento è causato dal fallimento economico della sua attività, ma c’è qualcos’altro che ha dato il colpo di grazia all’organizzazione e alla sanità mentale dell’equipaggio. Qualcosa di sconosciuto e spaventoso, qualcosa che sta uccidendo uno ad uno tutti quanti, e che ha trasformato la Sevastopol nella sua zona di caccia. Un alieno.
Prima di addentrarci nella descrizione del gameplay, in cui l’influenza dei giochi menzionati si vede maggiormente, vogliamo sottolineare ciò che rende questo gioco degno del suo nome più di ogni altra cosa, ovvero la cura delle ambientazioni. Creative Assembly ha certamente speso molto tempo nel ricreare il più fedelmente possibile degli ambienti che ricordino la Nostromo nel film originale, in special modo dal punto di vista strutturale e architettonico, alternando stanze quasi asettiche, illuminate e dominate da colorazioni beige/bianche, a corridoi angusti e bui, pieni di condotti metallici a vista e valvole che sfogano vapore.
Ovviamente, oltre l’arredamento, nel quale si riscontrano tanti oggetti tipici dalla saga: pannelli analogici, schermi a tubo catodico, porte idrauliche, computer a schede, e via discorrendo.
Non si dica che la grafica non conti: per arrivare a un tale livello di dettaglio e ricreare un’atmosfera claustrofobica non si può prescindere dalla tecnologia di un motore grafico moderno, dotato di effetti di profondità di campo, occlusione ambientale e gestione dell’illuminazione (e ombre) realizzati magnificamente. Inoltre, il livello qualitativo delle texture e del bump mapping è molto elevato, soprattutto su oggetti e ambienti, e, anche scalando parecchio sulle opzioni grafiche (punto di forza della versione PC), queste rimangono comunque in grado, da sé, di dare un ottimo impatto visivo che non compromette l’esperienza di gioco sulle macchine meno moderne.
A voler cercare il pelo nell’uovo, l’unica pecca è nei modelli umani e nelle loro animazioni, non all’altezza del resto, specialmente se paragonate all’alieno, sul quale è noto come gli sviluppatori abbiano investito un sacco di tempo per donargli movenze e apparenze migliori del lavoro di qualsiasi altro gioco che vedesse gli xenomorfi come antagonisti.
Il gioco, come abbiamo detto, sente l’influenza strutturale di serie come Dead Space. Il giocatore prosegue linearmente nella missione di Amanda e si muove attraverso la Sevastopol tramite ascensori e navette di collegamento fra settori. La linearità narrativa, però, non coincide con il gameplay: l’obbiettivo di ogni sezione ha spesso multiple vie per essere raggiunto, e non solo tramite corridoi e stanze, ma anche con passaggi di ventilazione (posti sul pavimento o sui muri). Non tutto è accessibile subito: il backtracking è parte integrale del design, e l’intero gioco è un susseguirsi di occasioni in cui bisogna esplorare ambienti per trovare il modo di aprire una porta, con chiavi o altri sistemi di accesso. Sono infatti diversi gli elementi di interazione, come computer, terminali di controllo e pannelli elettrici. In questi ultimi, è possibile dare alimentazione e/o toglierla dai vari sistemi presenti nell’area, ad esempio rimuovendola dai sistemi di allarme per poterla ridirezionare su porte che diversamente rimarrebbero chiuse. Quando la soluzione non è nell’ambiente, invece, c’è probabilmente bisogno di uno strumento particolare. Ci sono infatti porte sigillate fisicamente o elettronicamente, e finché non vengono recuperati i giusti attrezzi, come la fiamma ossidrica o il dispositivo di hackeraggio, non vi è modo di accedervi. Allo stesso modo, questi strumenti possono essere usati per tornare indietro e sbloccare aree precedentemente non visitate, anche se si tratta di qualcosa di facoltativo dove spesso si trova poco più che oggetti o, al massimo, log che approfondiscono la storia.
Ovviamente, non ci sono solo strumenti per avanzare nei livelli, ma anche diversi oggetti consumabili per aiutare il giocatore a sopravvivere, come bombe molotov, flash, medikit, nonché armi quali revolver e lanciafiamme. Non poteva poi mancare l’iconico rilevatore di movimento, indubbiamente l’attrezzo più utile dell’intero gioco. Tutti questi, eccetto il rilevatore, non serviranno solo contro l’alieno – anzi, non serviranno quasi per nulla, come vedremo – ma anche, e soprattutto, contro gli umani. Abbiamo detto come la Sevastopol sia dominata dal caos, e questo ha creato un forte sentimento di sfiducia reciproca tra i suoi abitanti, che saranno molto più spesso inclini ad essere ostili che amichevoli. Inoltre, chi conosce bene la saga sa che non c’è nave che non sia controllata da un’intelligenza artificiale, e la Sevastopol non è da meno: Apollo è il nome di quella al suo interno, responsabile anche del funzionamento dei sintetici (droidi dall’aspetto umanoide), o meglio, del loro malfunzionamento, che li rende un altro nemico da evitare.
Parliamo finalmente dell’alieno, la creatura davvero protagonista di tutto. Per immergere i fan in un’atmosfera del tutto simile a quella del film originale non basta solo ricreare ambientazioni simili, ma bisogna soprattutto far vivere al giocatore la paura – paura derivante dall’impotenza di trovarsi da soli contro una creatura superiore e impossibile da fermare. Non è infatti possibile uccidere l’alieno in alcun modo, tutto ciò che si può fare è evitarlo e fuggire.
Si potrebbe pensare a giochi come Amnesia, ma la differenza è in realtà enorme: l’alieno non è un manichino che si aggira ripetendo un percorso, ma una creatura che agisce basandosi in gran parte sul comportamento del personaggio ed eventuali altri personaggi presenti. Ogni mossa che Amanda o altri personaggi fanno, ogni rumore, ogni spostamento troppo veloce, attirano l’attenzione dell’alieno, che reagirà di conseguenza. Il principale strumento di sopravvivenza è il celebre sensore di movimento, che aiuta a capire quanto le minacce sono vicine, così per poterci nascondere all’occorrenza. Essere visti a infilarci in qualche anfratto è ovviamente una condanna a morte, ma anche nascondersi con discrezione in un armadio non è una garanzia di sopravvivenza: se l’alieno sospetta qualcosa e si avvicina a controllare, il giocatore deve essere pronto ad appiattirsi sul fondo del nascondiglio e trattenere il respiro, pena vedere la protagonista trascinata fuori e uccisa. Non solo: la minaccia non termina cambiando area, poiché l’alieno continuerà a seguirci e a tenderci anche trappole, piazzandosi sugli occasionali condotti a soffitto aspettando che si abbia l’avventatezza di passarci sotto senza prima controllare.
Abbiamo accennato come anche gli altri personaggi influenzino il comportamento dell’alieno, ma facciamo una premessa. A differenza di molti giochi, i nemici umani non necessariamente attaccano a vista. Capita infatti sovente che si limitino ad intimare a Ripley di voltare i tacchi e andarsene. Persistere provoca di solito reazioni armate, ed è a questo punto che si apre un nuovo paradigma di interazione con l’alieno: il rumore degli scontri rischia infatti di attirarlo anche in aree dove non si era incontrato prima di quel momento, trasformandolo in un potenziale alleato per breve tempo, su cui di sicuro è bene non fare troppo affidamento e tenersi a debita distanza, eventualmente usando il fuoco (di bombe o lanciafiamme), unica cosa in grado di metterlo in fuga, anche se solo per poco tempo, trascorso il quale tornerà indietro più aggressivo che mai. E i sintetici? Non solo il loro aspetto innaturalmente umano li rende davvero inquietanti, ma sono un nemico temibile e reattivo: le armi fanno pochissimi danni, e la loro intelligenza fa in modo che attaccare in corpo a corpo funzioni solo al primo colpo, mentre il secondo verrà fermato e violentemente contrattaccato.
Finora vi abbiamo parlato dei fatti, e riteniamo di esserci espressi in modo molto chiaro per rappresentare il gioco, ma vogliamo comunque spendere qualche parola in più sulla nostra esperienza. Ciò che avevamo già provato in anteprima era più che sufficiente per capire come sarebbe stato il gioco finale, e le nostre previsioni non sono state sbagliate: Alien: Isolation incolla il giocatore allo schermo, coinvolgendo con ogni parte di sé, grazie ad un gameplay molto articolato e che, per una volta, costringe il giocatore a rivedere completamente le sue abitudini: affrontare il pericolo a viso aperto vuol dire morire, così come corrervi via. Non c’è un altro gioco che costringa le persone a essere così attento a ogni mossa (a parte forse Dark Souls), a bramare così tanto il trovare il punto di salvataggio, e soprattutto a spaventare e iniettare così tanta tensione, e non spaventi calcolati, ma con il gioco in sé: il cliché delle apparizioni improvvise per farvi farà saltare dalla sedia non è causato dal gioco, ma dagli errori del giocatore, perché quando qualcosa apparirà all’improvviso davanti allo schermo vuol dire solo una cosa: Amanda sta per morire.
[signoff icon=”quote-circled”]Per gli amanti della serie, Alien: Isolation è sicuramente il miglior gioco basato su Alien mai creato, nonché l’unico a basarsi sul primo film. Per gli altri, è un piccolo capolavoro di level design e gameplay, nonché uno dei pochi giochi degli ultimi dieci anni ad avere davvero il potere di spaventare. Sega ha riscattato il suo nome dopo aver finanziato quel disastro di Colonial Marines, e Creative Assembly ha dimostrato di pensare in grande anche fuori dal campo della strategia. Indubbiamente uno dei candidati a gioco dell’anno, che solo le persone troppo impressionabili dovrebbero evitare.[/signoff]