Oppenheimer – Recensione
Oppenheimer è l'ultima grande produzione firmata da Christopher Nolan e dire che è esplosiva è riduttivo.
Oppenheimer è un film monumentale.
Queste sono le sensazioni che riecheggiano dopo essere uscito dalla sala dopo 180 lunghi, complessi ma densi minuti, colmi di una storia fattuale e concreta della quale ancora oggi l’intera umanità deve affrontare le conseguenze. Christopher Nolan ha alzato ancora di più l’asticella qualitativa delle sue produzioni con una pellicola ancor più matura e delicata che racconta egregiamente la mente di Robert J. Oppenheimer, l’inventore della bomba atomica.
Oppenheimer – La recensione di un monumentale racconto
Oppenheimer non è un film che corre, anzi, il tempo è scandito perfettamente in un caos ordinato di segmenti che continuano a mescolarsi in un prima, durante e dopo la creazione della bomba atomica. Nolan non è nuovo a questi espedienti eppure in Oppenheimer il montaggio del primo atto, così veloce e incalzante, riesce a mantenere sempre alta l’attenzione senza mai annoiare.
L’ultima produzione di Nolan infatti non si limita al raccontare gli eventi che hanno portato alla creazione della bomba atomica, ma si spinge a raccontare molto altro.
Un incredibile Cillian Murphy da il volto ad uno scienziato in balia di un gargantuesco flusso di coscienza ed emozioni. La scelta di Nolan è stata infatti quella di raccontare Oppenheimer in più fasi, con la sua moltitudine di stratificazioni emotive che lo porteranno dapprima ad una genuina e dirompente curiosità nel comprendere come sia possibile realizzare una bomba atomica per poi essere sommerso dalle ragnatele politiche e militari, intrappolandolo in un percorso a senso unico che lo porterà sì a compiere la sua impresa ma a doverne poi pagare le conseguenze con un conflitto interiore che esplode, forse, troppo tardi.
Non gli rimane insomma che la realizzazione di essere passato dall’essere Prometeo, portatore di fuoco, alla personificazione della morte. Nolan riesce a cucire magistralmente il dilemma interiore di Oppenheimer, legato a doppio filo al contesto storico e politico dell’epoca: la Seconda Guerra Mondiale.
Scienza, guerra e politica
Il celebre “Manhattan Project”, la costruzione di una vera e propria piccola cittadella autonoma nel deserto di Los Alamos, i segreti e gli intrecci politici sono altri tasselli fondamentali degli eventi che hanno portato alla costruzione della bomba atomica. Nolan riesce a disporre strategicamente ogni singolo attore nella sua personale scacchiera, sulla quale ogni battuta, espressione e interazione corrisponde ad uno strategico posizionamento, talvolta così minuzioso da riuscire a colpirci con stupore, se non sorprenderci.
Il cast, ricco di nomi stellari, presenta un irriconoscibile Robert Downey Jr., nel ruolo di Lewis Strauss, che convince pienamente con la sua interpretazione, la migliore mai vista fino ad ora. Mai fuori dalle righe, sempre coerente con il suo essere rigoroso, paziente e particolarmente attento alle sue interazioni con Oppenheimer.
Importanti e fondamentali anche i ruoli delle figure femminili, legate all’aspetto più umano e intimo della vita dello scienziato: Florence Pugh (che veste i panni dell’amante Jean Tatlock) ed Emily Blunt (nel ruolo della moglie Kitty) sono entrambe ben caratterizzate ma forse non così incisive nelle dinamiche, salvo due iconici e cruciali momenti della trama che segnano una traccia indelebile nel cammino di Oppenheimer.
Inoltre non si poteva parlare di Oppenheimer senza avere a schermo la figura di Albert Einstein che in questa pellicola gioca un ruolo fondamentale, pur apparendo a schermo per pochissime volte, a rappresentare la solennità di una figura storia così importante la cui mente, già avanti per i suoi tempi, era conscia di ciò che sarebbe successo.
Un Nolan più maturo che mai
Quando si giunge al climax della pellicola, quel particolare momento storico noto ai molti come “Trinity”, si potrebbe pensare di aver visto tutto e invece ecco che Nolan compie quell’ulteriore passo in avanti, un passo fondamentale verso una cupa e tenebrosa maturità scandita lentamente dalla consapevolezza che quanto fatto ha cambiato l’umanità per sempre.
È al centro insomma il progresso scientifico piegato a scopi bellici, al fine ultimo di “salvare il mondo” dalla minaccia nazista, una minaccia che però, storicamente parlando almeno, era già stata sconfitta: Hitler era già morto ma il progetto di Los Alamos doveva andare avanti, doveva essere portato a termine, anche al costo di distruggere il mondo.
Le preziose interazioni tra la scienza di Oppenheimer e il fronte militare supervisionato da Leslie Groves Jr. (interpretato da un impeccabile Matt Damon) sottolineano i remoti dubbi che, se qualcosa fosse andato storto durante il test, era possibile, seppur estremamente improbabile, che lo scoppio avrebbe potuto creare una reazione a catena incontrollabile. La guerra però premeva incessantemente e in nome di un bene superiore si è fatta la scelta di rischiare.
Un rischio che poi, come i libri di storia ci insegnano, ha portato allo sgancio di due ordigni sulle città di Hiroshima e Nagasaki, eventi nefasti che rientrano tra le pagine più oscure della storia: è qui che Nolan scava a fondo nell’aspetto psicologico di Oppenheimer, un ingenuo scienziato che realizza di avere le mani sporche di sangue.
“Puoi sentire la musica?”
Il dilemma interiore viene raccontato con fotogrammi indelebili ed una colonna sonora superba composta da Ludwig Göransson che scandisce perfettamente tensione, paura e conflittualità di ogni atto del film. Un plauso in particolar modo agli effetti sonori della pellicola, roboanti, capaci di imbrigliare in sala ogni singola emozione trasmessa a schermo, enfatizzando ogni singolo momento dell’ultima opera di Christopher Nolan.
Nolan, senza sorpresa, rinuncia alla CGI per un film pieno di effetti pratici, girato in formato 70mm e con scelte di colori che rappresentano oggettività e soggettività del racconto, frammentato, scombinato ma sapientemente ordinato in quello che ci è piaciuto definire “caos controllato”, perché di fatto lo è.
Oppenheimer è un film che nel suo terzo atto affronta il processo a seguito della sue decisioni in merito alla potenziale costruzione di un ordigno ad idrogeno, ben più spaventoso di quanto già fatto nei diversi anni di studio e ricerca a Los Alamos, un processo complesso che Nolan racconta quasi pedissequamente.
Ogni parere, ogni domanda, ogni informazione è strettamente legata a quanto visto fino a quel momento, esponendo così la perfetta ragnatela di perfetti collegamenti che non creano confusione se messi a confronto con la potenziale complessità del dover raccontare un processo dove la reputazione stessa di Oppenheimer era in gioco.
Distruttore di mondi
Oppenheimer è, lo ripeto, un film monumentale, scandita da tre lunghi ed intensi atti che raccontano ogni singolo aspetto della vita di Oppenheimer con una maturità capace di sconvolgere e lasciare attoniti al termine dei 180 minuti, che tra l’altro si concludono spaventosamente bene. Un cast eccezionale traghetta l’intera pellicola con performance impeccabili che amplificano ancor di più il messaggio di questo film, la constatazione di quanto sia pericolosa l’umanità, di quanto si possa sfiorare l’estinzione di massa a causa di meccanismi imponderabili.
È un film che farà riflettere molto, in special modo per la coincidenza con cui esce in sala visti gli eventi storici più recenti, un monito verso l’umanità che Nolan esprime con tutto sé stesso in una produzione mastodontica, destinata ad essere una delle punte di diamante della sua filmografia e sicuramente di questo 2023.
Monumentale. Una pellicola che va oltre il semplice racconto storico ma imbriglia tutta la potenza esplosiva degli eventi, persone ed emozioni dietro all'origine della bomba atomica.
Pro
- Montaggio scorrevole e mai noioso
- Colonna sonora egregia
- Effetti sonori coinvolgenti
Contro
- Forse si poteva ridurre leggermente il minutaggio nel terzo atto