Mufasa Il Re Leone Recensione
Mufasa Il Re Leone ci riporta nelle terre del branco con una storia inedita che racconta le origini del re più grande di sempre e il suo rivale.
Il premio Oscar Barry Jenkis ha il difficile compito di portare in scena una storia mai raccontata prima, facente parte dell’universo de “Il Re Leone”, con Mufasa Il Re Leone, dove verrà esplorata la storia del padre di Simba, del suo coraggio e della sua leadership, rimasta un grande mistero per i fan del classico Disney per più di trent’anni.
Il Re Leone del 1994 è uno dei capolavori Disney del periodo della rinascita della major, che va dal 1989 al 1999, ed è anche il più importante per la generazione di bambini dell’epoca. Chiunque vide quel film oggi ne conserva un ricordo straordinario che è difficile da rimpiazzare, sebbene sono usciti molti film successivi di miglior fattura tecnica e narrativa.
Come era solito fare da Disney, prima della nascita di Disney +, per i suoi classici dell’epoca venivano prodotti dei sequel destinati all’home video, con ovviamente una produzione minore. L’originale Re Leone di sequel ne può contare ben due, con altrettante serie televisive, a dimostrazione di quanto guadagno portò il brand nelle tasche di Disney.
Nel 2019 Jon Favreau portò in scena il “live action” del classico animato. Un “live action” che di “live” ha ben poco, visto che parliamo di un film di animazione ultra realistica che ripercorreva le stesse vicende della pellicola del 1994, ma che ha ottenuto un incasso di un miliardo e mezzo di dollari.
Questo straordinario successo ha spinto Disney a mettere in cantiere un nuovo lungometraggio che arriva il 19 dicembre nelle sale italiane. Con questa recensione (se vi siete perso le nostre recensioni su altri prodotti Disney cliccate qui), scopriamo insieme se Jenkins è riuscito a creare un film capace di far innamorare i nuovi spettatori e a far riaccendere l’amore per la terra del branco dei fan di vecchia data.
Mufasa Il Re Leone Recensione | Come nasce un Re
La trama di Mufasa – il Re Leone porta in scena le origini del padre di Simba e delle terre del branco di cui si sapeva molto poco, e le premesse erano davvero buone, di come è diventato re e soprattutto come è nata la rivalità con il fratello Scar.
Jenkins mette in scena un “prequel nel sequel” perché il racconto inizia con una storia raccontata da Rafiki alla neo principessa Kiara, primogenita di Simba e Nala, lasciata alle cure di Pumbaa e Timon dopo che Simba è dovuto partire per una faccenda importate.
Come ne Il Re Leone 3, il racconto passa dal presente al passato ed è qui che scopriamo che il grande Mufasa non era un leone di sangue reale ma un vagabondo in cerca del suo posto.
Il padre di Simba, perso dopo un grave incidente mentre era in viaggio con i suoi genitori, viene accolto da un branco dopo che il cucciolo, chiamato Taka, lo salva da morte certa considerandolo da subito un fratello.
Ma l’accoglienza non sarà delle migliori per Mufasa, perché dovrà affrontare un dura verità dato che il re di quel branco tratta i randagi come emarginati, che non hanno diritto di nulla, tanto da lasciarlo in carico alle leonesse come segno discriminatorio.
Mufasa crescerà inizialmente all’ombra del fratello adottivo, cercando di difenderlo e proteggerlo come futuro erede al trono, mostrando un senso di leadership che non potrà mai far valere sul serio. Anche quando saranno costretti ad affrontare i rinnegati, un branco di leoni bianchi spietati e vendicativi, Mufasa metterà davanti sempre la sua fedeltà alla “famiglia” che lo ha salvato.
Le origini di una grande rivalità
Il rapporto tra Mufasa e Taka è il cuore di tutto il film, abbiamo il primo che è in viaggio in cerca della terra promessa, chiamata Milele, una terra florida e ricca di vita, e il secondo essendo il vero erede al trono dovrà imparare a diventare un grande leader seguendo le orme di chi leader lo è istintivamente.
L’avventura messa in scena è piacevole, con rimandi al film originale e similitudini tra l’evoluzione di Mufasa e quella del figlio Simba. Anche la presenza di Sarabi, Rafiki e Zazu rendono il racconto un road movie molto divertente, con un’intesa tra i personaggi molto naturale, forte di una caratterizzazione ben scritta dei personaggi nell’opera originale.
Purtroppo però l’evoluzione del rapporto dei due fratelli in rivali avviene troppo frettolosamente con anche una motivazione del cambiamento di Taka da manuale dei cliché drammatici. Si poteva fare sicuramente di meglio, sfruttando tutto il tempo del viaggio per sviluppare le due personalità opposte di Mufasa e Taka. Un vero peccato data la buona scrittura di quasi tutto il film che farà felici sia il vecchio che il nuovo pubblico.
Un potenziale artistico sprecato
Dal punto di vista tecnico il film mostra i suoi punti deboli, come il suo predecessore questo non è un “live action”, dal momento che gli animali parlano e cantano, ma tutto è ricreato in maniera digitale. Ovviamente nulla da dire sulla realizzazione degli animali e delle location, tutto magistralmente riprodotto come la realtà.
Ma è proprio tutta questa fedeltà a far risultare il tutto senza anima. Come il film del 2019, i leoni fotorealistici che provano ad esprimere delle emozioni ridendo, piangendo e cantando, risulta tutto troppo finto oltre che risultare anonime e forzate, come ad esempio far sorridere gli animali come dei normali esseri umani, tutto questo trasferisce un senso straniante allo spettatore, a differenza delle controparti animate.
L’utilizzo di alcune scelte di camera, come il fish eye nei primi piani, delle finte riprese a campo largo con movimenti di carrelli nelle fasi di movimento rapido delle scene non creano epicità e non si sposano perfettamente con le scene. Sembrano d’altronde scelte di stile che non echeggiano per nulla il racconto del film, anzi fanno distrarre chi lo guarda allontanandolo dal senso di “viaggio” che la pellicola promuove.
La soluzione migliore sarebbe stata sfruttare l’occasione di mettere in scena la storia di Mufasa per utilizzare un nuovo stile animato, magari ricreando in digitale il vecchio stile che ha caratterizzato l’espressività dei protagonisti nel classico Disney, provando ad innovare come fecero nel 1994. Si poteva e di doveva osare nel fare qualcosa di più.
Altro tasto dolente è il doppiaggio e le sequenze musicali, decisamente lontani dalle canzoni del film originali o dei vari riarrangiamenti del film precedente. Le scelte musicali, con canzoni con stile più contemporaneo, non riescono a essere memorabili quanto basta da essere canticchiate dopo l’uscita dalla sala.
Quanto il doppiaggio, la scelta delle voci italiane dei due protagonisti risulta convincente, anche per quanto riguarda i comprimari presenti nel flashback di Mufasa, ma la scelta dei talent è proprio la cosa più sbagliata che la produzione potesse fare.
Mentre il comparto musicale, che rende omaggio alla classica colonna sonora di Hans Zimmer con i giusti riarrangiamenti, è l’unico elemento che innesca piacevoli ricordi durante la visione e ammetto che in un paio di scene i brividi si sentono eccome.
Conclusioni
Mufasa – Il Re Leone è un film che strizza l’occhio ai fan di vecchia data e cerca di raccontare qualcosa di inedito cadendo, però, nei classici cliché drammatici. Il regista riesce a creare un sequel traendo spunto dai vecchi film passati amalgamando il tutto con dei personaggi che avevano qualcosa da raccontare.
Peccato per una realizzazione tecnica che non rende giustizia ad una narrazione piacevole, facendo straniare lo spettatore anziché stupirlo con le meraviglie dell’ambientazione. Fossimo davanti ad un film d’animazione classico con qualche novità visiva, come altre produzioni hanno provato a fare, ora staremo parlando di un ritorno in pompa magna dell’unico vero Re.