Falcon Lake – Recensione
Falcon Lake è la cosa più simile ad un ricordo su pellicola che io abbia mai avuto modo di esperire.
Ho sempre una certa paura ad affrontare film come Falcon Lake.
Uno dei motivi principali è sicuramente che, con il tempo, sono diventata una delle vittime della assoluta necessità di interazione con il prodotto mediatico che sto consumando: è per questo che preferirò (forse sempre) lo sfogliare di una pagina, con i suoi feedback visivi, tattili e soprattutto acustici, ad uno swipe a sinistra su un tablet o kindle; è per questo che amo il medium videogioco; è per questo che sono intimorito di film nei quali si raccontano storie ordinarie.
Sia chiaro, non è una paura legata al “ho bisogno di esplosioni altrimenti mi addormento”, quanto piuttosto il profondo effetto “cassa di risonanza” che il mio essere subisce nel momento in cui ciò che la pellicola mi mostra è… ordinario.
Ed è proprio l’ordinarietà il fulcro di coerenza di Falcon Lake, primo film da regista di Charlotte Le Bon (se non si considera il corto Judith Hotel del 2018), attrice, modella e presentatrice televisiva con alle spalle poco meno di 30 film.
Falcon Lake, ordinarietà su pellicola
In Falcon Lake sembra quasi che l’ordinarietà “ti accada davanti”: non stai seguendo la storyline principale, ma personaggi che sembrano quasi periferici, almeno inizialmente. Periferici perché l’età pre-adolescenziale solitamente è trattata come uno sfondo, una storia-B, qualcosa che presumibilmente accade mentre noi stiamo seguendo i “veri” protagonisti della storia.
È quindi inizialmente molto straniante trovarsi a seguire il 14enne Bastien e la 16enne Chloe, piuttosto che i loro genitori: essi compaiono, sia chiaro, ma il film li relega a comprimari per gran parte della propria durata. La vera protagonista è la natura, se proprio volessimo essere microscopicamente analitici, mentre Chloe e Bastien sono passeggeri di un anfratto temporale racchiuso in un’estate.
Dalla Natura Falcon Lake prende molto, soprattutto nei suoi ritmi dilatati, quelli di una vacanza; dal senso di vacanza prende invece la sua coerenza narrativa a singhiozzo, con stacchi decisi che ti portano di scena in scena, quasi una serie di diapositive che decidono di animarsi brevemente di fronte a te. Quando l’inquadratura si ferma, soprattutto dopo il primo terzo di film, lo fa sui personaggi e sui loro silenzi, sui momenti nei quali NON si incrociano i loro sguardi.
La telecamera indugia dove indugia lo sguardo di Bastien, investigatore della sensualità di una Chloe che forse potrebbe rappresentare per lui il passaggio alla maturità emotiva e sessuale, inconsapevole risultato di un traghettamento dall’adolescenza ad una prima età adulta.
A noi resta quindi in mano il ruolo di partecipi dell’innocente voyeurismo di un 14enne con la cotta, con un Falcon Lake sfondo e parentesi geografica a far da sipario al tutto, con un ruolo da protagonista che inaspettatamente si riprende, con violenza, nel finale.
Fragilità emotive e barriere che si abbattono
Tornando alla storia al centro di Falcon Lake, il momento di maggior intimità, emotiva e non strettamente fisica, fra Chloe e Bastien è bisbigliato, un sospiro che esiste per raccontarsi e raccontare ogni generazione passata da quella linea di confine. È un momento di rottura, la frantumazione di un lucchetto che prima o poi si sarebbe rotto lo stesso: con qualcun altro, in qualche momento, ma è capitato ora, a Bastien. Con lei.
Ecco che quindi si parla di grandi paure e, in pieno modus adolescentiae, le si affronta sfidandole a testa alta, più per sfacciataggine che vero coraggio. Perché l’acqua potrà anche stringerti e trascinarti verso il basso, ma cos’è la paura di affogare di fronte alla paura di rimanere soli?
Falcon Lake è una storia talmente rappresentativa dell’inevitabile avanzata verso la maturità che, in senso assoluto, la storia che racconta non ha bisogno di una collocazione temporale, e infatti non sembra nemmeno volerla cercare. Nemmeno la barriera linguistica è qualcosa di cui Falcon Lake si cura, ennesima sottolineatura della natura di una storia che non è solo quella di Chloe e Bastien, ma è quella di milioni di altri ragazzi e ragazze che hanno solcato questo percorso e dei milioni che ancora lo solcheranno, magari tracciandone secanti e intercette, magari percorrendone ogni ciottolo senza deviazioni.
Mai prima d’ora, come in questa pellicola, mi è capitato di provare la palpabile sensazione di star guardando dei ricordi, trasposti su pellicola tramite qualche futuristico marchingegno degno di uno dei migliori episodi di Black Mirror. Ricordi che potrebbero essere miei, ma forse no. O forse sì?
La sospensione dell’incredulità non ha il benché minimo bisogno di agire, qui, perché la veridicità dello script e la naturalezza quasi impossibile con la quale esso è trasposto a schermo non mirano al voler immergere chi guarda, ma a stimolarne il senso di deja vu. Joseph Engel (Bastien) e Sara Montpetit (Chloe) sono di una bravura immensa, nonostante la giovanissima età, e sono curioso di vedere dove potranno arrivare, soprattutto Engel, con un po’ più di esperienza alle spalle.
Non ho faticato a rivedere alcune delle mie cotte pre-adolescenziali, in ciò che vive Bastien: l’invidia verso un ragazzo più vecchio di te, la paura di dire a Lei quello che il guardarla negli occhi ti smuove dentro, la voglia a livello zero di tornare da quella vacanza per passare anche solo un altro istante a ridere con insieme. È tutto così familiare da non avere quasi il diritto di risultare cosi piacevole da guardare.
Un finale che si prende il diritto di sorprendere
La svolta tragica degli ultimi minuti è piuttosto inaspettata, ma con il senno di poi alquanto profetizzata: non con la banalità di una pistola appoggiata su un tavolo, ma con il potere auto-realizzante di una delle tante storie che da bambini ci raccontano sui luoghi che abbiamo intorno.
La morte diventa quindi antitesi di una catarsi che ci si aspettava ma che non arriva a manifestarsi, ed è proprio in questo che Falcone Lake si riafferma come uno slice of life sin troppo veritiero, o meglio veritiero ma senza compromessi.
Falcon Lake è, in sintesi, un film che riesce a raccontare una storia generica e generazionale pur tracciando tecnicamente, e con un ottima tecnica, i confini di una storia specifica. Tutto sembra un ricordo, il déjà vu di una vita con la quale non possiamo non confrontarci e nella quale non possiamo non ritrovarci, se non nel finale che decide di ribaltare la scacchiera dell’ordinarietà in funzione di una tragedia che, inaspettata, riporta le cose ad un piano ancora più reale e quotidiano.
Un costante piacevole déjà vu di un'infanzia dolorosamente comune
Pro
- Una storia quotidiana
- Performance attoriali davvero ottime
- Chiunque sia stato/a bambino/a si ritroverà in molto di quello che capita
Contro
- La tragedia finale può sembrare un po' gratuita