Avatar – La Via dell’Acqua – Recensione

Nel 2009 James Cameron stupì tutti con il primo meraviglioso viaggio su Pandora. Oggi, a distanza di tredici anni, torna con il meraviglioso sequel La Via dell'Acqua.

James Cameron è appassionato di auto di grossa cilindrata ed ha il brevetto da pilota di velivoli ultraleggeri oltreché di palloni aerostatici. Ma la sua grande passione è l’immersone subacquea. Ha il brevetto d’immersione della YMCA ed è stato anche il primo uomo a raggiungere in solitaria la Fossa delle Marianne, il punto più profondo al mondo (ben 10.898 metri), nel 2012. Il profondo rapporto tra Cameron e il mare si è ovviamente riflesso sul suo lavoro e, quando ha avuto occasione, ha sempre scommesso su pellicole con una particolare relazione con l’acqua. L’ha fatto nel 1989, con The Abyss, un film veramente difficile da girare per l’epoca, e si è ripetuto nel 1997 con Titanic, quando fece personalmente numerose immersioni sul relitto a 4mila metri di profondità portandosi dietro una cinepresa appositamente preparata per sopportare l’altissima pressione subacquea. Non stupisce che oggi abbia portato i suoi Na’Vi ad esplorare le regioni marine di Pandora. Dopo una gestazione lunga tredici anni è finalmente arrivato il sequel di Avatar, La Via dell’Acqua, un vero e proprio trattato d’amore di James Cameron al mare.

Avatar - La Via dell'Acqua

Da Pocahontas a Oceania, da Balla coi Lupi a Free Willy

Più di dieci anni dopo gli eventi del primo film, Jake Sully (Sam Worthington) e Neytiri (Zoe Saldana) hanno formato una famiglia e avuto tre figli: il primogenito Neteyam, il secondogenito Lo’ak e, infine, la piccola Tuk. I due hanno anche adottato Kiri, la figlia della dott.sa Grace Augustine nata incredibilmente dopo la dipartita del personaggio interpretato da Sigourney Weaver. Gli umani decidono di ritentare l’invasione su Pandora, guidati dal redivivo colonnello Miles Quaritch (Stephen Lang), la cui coscienza è stata trasmessa a un Avatar, con lo scopo di catturare il traditore Sully, considerato il vero stratega della resistenza anti terrestre. Per questo motivo la famiglia è costretta a trovare rifugio lontano dalla foresta chiedendo asilo ai popoli del mare, al clan Metkayina.

Pochi film hanno diviso critica e pubblico come il primo Avatar ma, in fondo, è impossibile mandare a segno il primo e il terzo più grande incasso della storia del cinema senza avere una buona dose di ammiratori e detrattori in parti uguali. L’accusa maggiore imputata al film del 2009 era quella di una trama sin troppo semplice, non all’altezza della portata del film, a detta di tanti molto simile a Pocahontas (diventata la battuta meno originale degli anni ’10). Detto che probabilmente la trama è molto più simile a Balla coi Lupi (il soldato bianco e buono, che impara e insegna ai nativi e finisce per guidarli e per innamorarsi della “Alzata con pugno” di turno), o a Dune (in un pianeta da cui viene estratta una spezia, un giovanotto che non sa nulla e che impara dai nativi, diventa il loro capo cavalcando il più grosso degli animali fallici in circolazione) Avatar è stato molto di più. E La Via dell’Acqua, seguendo la grande regola dei sequel (“come il primo, ma di più”), riesce a fare ancora meglio del suo predecessore, che ha cambiato il mondo del cinema e il modo di fare un certo tipo di cinema.

Avatar, un film di James Cameron fino al midollo

I film di James Cameron si sono sempre distinti per l’estrema tensione narrativa, la spettacolarità, l’impiego continuo di effetti speciali innovativi e l’applicazione di tecnologie avanzatissime senza badare ai costi, a partire dal suo film d’esordio, Terminator, un vero e proprio capolavoro cyberkpunk. Avatar – La Via dell’Acqua non fa eccezione, includendo inoltre altri elementi cari al regista come marines cazzuti dentro a power loader meccanici, la multinazionale cattiva che vuole sfruttare gli alieni e il protagonista spavaldo e senza paura, ultimo degli ultimi.

Avatar - La Via dell'Acqua

I tre grandi punti di forza del primo Avatar sono ancor più marcati in questo sequel. L’inclusività, per cominciare. Cameron ha affidato i ruoli dei Na’Vi ad attori di colore o nativi americani e nessuno si è accorto di nulla. Chissà se oggi lo accuseranno di razzismo o di buonismo, ma in ogni caso lui ci era già arrivato tredici anni fa. Arriviamo agli effetti speciali. Se quelli del primo film non sono invecchiati di un giorno (alla faccia di tanti altri blockbuster, che recentemente fanno rima solo con “supereroi”), quelli di Avatar – La Via dell’Acqua sono avanti vent’anni nel futuro. La tecnologia per Cameron è sempre stata alla stregua della citazione celebre di Arthur C. Clarke, indistinguibile dalla magia e, nel suo caso, del cinema. E finiamo con i temi ambientalisti, che ogni venerdì molti ragazzi giovani portano in piazza, e che Cameron racconta in maniera sensibile e sentita, perché ha davvero a cuore il destino degli oceani.

You can’t scare me, I work for James Cameron

Si narra che la troupe del film Aliens, nel 1985, indossò sul set una maglietta con scritto “You can’t scare me, I work for James Cameron”. Una vera e propria testimonianza dell’esigenza a livello tecnico del regista. Per Avatar – La Via dell’Acqua, nulla è lasciato al caso: perfino i versi degli animali, e il linguaggio dei segni usato dal popolo Na’Vi, sono stati curati con attenzione maniacale. La regia di Cameron è sontuosa e mai muscolare, sa quando mettersi in disparte e lasciare che il flusso vada per il suo corso, così che lo spettacolo ne risenta positivamente.

Avatar - La Via dell'Acqua

Inoltre, La Via dell’Acqua, riscrive ancora una volta – come il suo predecessore –  le regole del 3D. Tendenzialmente questa tecnologia viene usata per dare profondità, costruendo l’azione su più livelli. In alcuni usi, la tridimensionalità veniva accentuata, facendo uscire e andare gli oggetti verso il pubblico. In Avatar – La via dell’acqua capita spesso che le creature in volo passino dall’interno all’esterno, entrando o uscendo dall’acqua, utilizzando al massimo i piani di tridimensionalità. Per lo spettatore l’effetto di coinvolgimento è radicale e totalizzante ed è per questo che è un’esperienza che va vissuta al cinema anche se, con i suoi 3 ore e 10 minuti di durata, si tratta di un impegno non da poco.

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Avatar - La Via dell'Acqua è la dimostrazione di quanto la qualità sia sempre più importante della quantità, a maggior ragione nell'arte, e nel cinema in particolar modo. E allora, preparatevi a mettere un'altra volta con gli occhiali 3D e a stupirvi di un racconto capace di coinvolgervi in modo unico.
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