Alexander e il terribile, orribile, abominevole, ma veramente bruttissimo viaggio Recensione
Il film con Eva Longoria, Jesse Garcia e Cheech Marin debutta il 28 Marzo su Disney+

Lo voglio dire sin da subito: a volte c’è bisogno di film come “Alexander e il terribile, orribile, abominevole, ma veramente bruttissimo viaggio”, quei film leggeri, spensierati, che ti fanno passare un’ora e mezza senza troppe preoccupazioni. In questo, è bene ammetterlo, il film diretto da Marvin Lemus e scritto da Matt Lopez, tra l’altro basato sul libro omonimo di Judith Viorst, funziona. Certo, non si sforza di solcare nuovi terreni narrativi, né si affida a profondità emotive o capacità attoriali più che amatoriali, ma fa passare il tempo. Ecco, fa passare il tempo.
Prima di parlarti di ciò che penso del film, qualche informazione tecnica, presa direttamente dal comunicato stampa.
Alexander e il terribile, orribile, abominevole ma veramente bruttissimo viaggio segue l’undicenne Alexander e la sua famiglia quando partono per un viaggio da sogno a Città del Messico in occasione delle vacanze di primavera. I loro piani, tuttavia, vanno terribilmente storti dopo aver scoperto un idolo maledetto. La famiglia viene messa a dura prova fino a quando non decide di riportare l’idolo nella sua legittima dimora.
Se la trama ti dice qualcosa, è perché c’è già stato un film tratto dal libro della Viorst, ossia “Una fantastica e incredibile giornata da dimenticare“, titolo in italiano del film del 2014 con Steve Carell e Jennifer Garner che, in originale, si chiamava esattamente come il libro. I produttori erano stati contattati da Disney stessa per un sequel del film, ma è stato deciso che la storia del libro della Viorst era troppo universale per non venir traslata ad un’altra famiglia, in un altro giorno, con altre incredibili vicissitudini.
Abbiamo pensato che la giornata più terribile, orribile e veramente brutta potesse davvero capitare a qualsiasi famiglia. È un’esperienza familiare universale. Quando abbiamo pensato di realizzare un sequel, ci siamo chiesti: ‘E se stavolta raccontassimo la storia di un’altra famiglia, in un giorno diverso e con avvenimenti differenti?’. Il cuore sarebbe rimasto lo stesso, ovvero che le famiglie, sopportando il giorno peggiore possibile, vivranno esperienze divertenti. Creeranno un legame. Trascorreranno del tempo significativo insieme. Alla fine della giornata saranno diversi
Ecco che quindi ora diventa protagonista una famiglia messicano-americana, e chi meglio dello sceneggiatore Matt Lopez (Il Padre della Sposa) e il regista Marvin Lemus (Gentefied, su Netflix) a chiudere il cerchio di una produzione che cerca con fervore e sensibilità di raccontare una storia universale ma anche e soprattutto messicano-americana.

La struttura narrativa di Alexander e il terribile, orribile, abominevole, ma veramente bruttissimo viaggio
C’è qualcosa di molto nostalgico, in questo film. Sembra quasi di assistere ai film della Amblin degli anni ’80, quelli fatti di persone ordinarie in contesti straordinari. La famiglia protagonista in fondo è ordinaria: la mamma Val, interpretata da Eva Longoria (Desperate Housewives), è una travel blogger; il padre Frank (Jesse Garcia) uno chef con un ristorante che sembra stentare a decolle; la sorella Mia (Paulina Chávez) una ragazzina che è diventata donna senza rendersene conto (o senza volersene rendere conto).
Alexander (Thom Nemer), il ragazzino protagonista, è ordinario ma si sente malauguratamente fuori dall’ordinario, in senso negativo: la sfiga lo perseguita, la sua famiglia non sembra mai davvero ascoltarlo, persino la sorella ora se ne allontana per non farsi contagiare dalla sfortuna. Quando, all’ombra di un racconto di nonno Gil che parla di antiche maledizioni, Val decide di organizzare un viaggio in camper per provare a riunire la famiglia. Miccia, ti presento Dinamite.
Quello della famiglia Garcia è un viaggio fisico ma, sulla carta, anche un percorso emotivo e caratteriale: sappiamo tutti quanto una famiglia possa essere caotica e quanto poco ci si riesca a sopportare quando si condivide un piccolo spazio per un lungo tempo. Non serve altro per immaginare le frizioni che i vari membri della famiglia proveranno, durante questo viaggio.
Ne ho lodato la leggerezza, nell’introduzione, è il film è proprio questo: leggero. Molta della commedia del film è “fisica”, dovuta a macchine senza freni, frullatori fuori controllo, puzzole un po’ troppo affettuose, e tanto altro che puoi immaginare. Questa è la parte, o meglio l’ingrediente del film che ho gradito meno e che in generale credo funzioni meno. Ci vuole capacità a fare la macchietta, l’idiota, e non c’è qualcuno nel cast che riesca nelle parti un po’ più da buffone senza risultare una caricatura di una caricatura. Comprendo la leggerezza al quale il film mira, ma questo non deve obbligatoriamente tradursi in siparietti comici con le bucce di banana.

Sono infatti i momenti più silenziosi e a basso volume quelli in cui ATOAMVBV funziona di più (scusa per l’acronimo ma scrivere quel titolo completo ogni volta è una tortura), le inspirazioni tra un disastro e l’altro, e sono convinto che, soprattutto in fase d’editing, si sarebbe potuta capire ed esaltare l’anima più intima dell’opera, tralasciando magari l’ennesimo disastro per un momento di umanità e fragilità familiare. Se ne concede, il film, ma sono poche e ci si sorvola sopra con troppa, troppa arroganza. Il pubblico si è fatto intelligente, anche quello molto giovane, e per questo sono convinto che lo spettatore si meritasse un po’ più di rispetto, in questo contesto.
Lost-o
La parte con più potenziale di questo film è quella che affronta il tema delle radici familiari. I Garcia sono americani di prima e seconda generazione, rispettivamente, e sorge spontaneo chiedersi come sia possibile tramandare una cultura generazionale così temporalmente e geograficamente lontani da dove la nostra famiglia aveva le sue radici?
È un conflitto interessante, uno stimolo narrativo al quale il film ogni tanto si concede, soprattutto nel finale e in una bellissima fase in una sorta di ranch messicano, ma anche qui sembra che l’opera di Lopez e Lemus si vergogni e vada in ritirata, di fronte alla possibilità di mettere sul tavolo discorsi generazionali di spessore, come l’identità culturale, l’essere figli e nipoti di immigrati, e l’essersi involontariamente persi una cultura per strada.
Alexander è l’unico a parlare messicano, in famiglia, a parte il nonno materno e la nonna materna, ed è fra questi ultimi che infatti scocca il dialogo più interessante, di fronte ad una città che è sì patria della famiglia prima dell’emigrazione in America, ma nella quale in realtà uno dei due non è mai stato. È un dialogo di una decina di secondi in una scena di forse quindici, ma ci ho visto una scintilla che purtroppo si è spenta con l’ennesima disavventura vissuta dalla famiglia.

Toni e passi
Credo sia molto difficile trovare un compromesso fra l’essere leggeri e l’essere vuoti, ed è una danza che il film non balla con sapienza, ma in modo timido e incespicante. Forse cercavo un film che parlasse di qualcosa di più contemporaneamente universale e personale di quanto fa questo lungometraggio, ma mi sono sentito onestamente spaesato dall’assenza di “morale” che da un film Disney per famiglie quasi mi aspetto.
I passi avanti fatti nella narrazione delle sue opere di animazione mi darebbero le basi per poter credere che ci sia un modo abile di parlare del senso di solitudine che si prova da bambini, ad esempio, o del momento nel quale smettiamo di essere ragazzini e diventiamo adolescenti, con tutti i pro e i contro del caso. Il film non dà mai, se non nel velocissimo finale, il tempo alla famiglia Garcia di capirsi e di capire, di ragionare sul viaggio che stanno facendo più che dover reagire agli ostacoli che continuano a ritrovarsi sulla strada.
Credo sia in fondo una mancanza di coraggio, quella di questo film: siamo in un momento sociale e storico molto sensibile, nel quale le nostri classi politiche ci vogliono dividere sempre di più, così da affievolire la necessità di rivolta che sentiamo verso di loro e verso le oligarchie alle quali nessuno ha concesso il potere, e non è qualcosa che è nato ora. Il senso della paura e odio del diverso è palpabile da un decennio, se non più, e il film aveva tutte le capacità (perché sì, sono convinto che Lopez e Lemus potessero fare più del “compitino”) per intavolare quella conversazione, pur nei toni scampagnati e superficiali del road trip che la trama pretende.
Nell’essere qui troppo didascalico, qui troppo veloce, ATOAMVBV arriva sul nostro schermo come un dimenticabilissimo film da guardare a cervello mezzo spento, senza una morale o insegnamento per l’eventuale audience giovane che lo guarderà in compagnia dei genitori, ma soprattutto sempre mezzo nascosto nella sicurezza di un’ombra narrativa che, lo confesso, è uno spreco di potenziale, visti i nomi che sono associati a questa produzione. Sono felice di vedere un finora sconosciuto Thom Nemer, però, anche solo nella speranza che qualche ragazzino si identifichi in lui e, perché no, decida di perseguire il desiderio di fare l’attore: abbiamo bisogno di più diversificazione e più inclusione e inclusività, e spero che Thom Nemer possa essere la scintilla per qualcuno.

Sarei comunque malsanicamente curioso di indagare con una lente su quello che potrebbe essere successo, dalla nascita dell’idea di un sequel-non sequel ad ora, ma non mi è concesso, quindi concludo così: ATOAMVBV è un film leggerissimo, che si preoccupa più di piazzare ostacoli sulla strada della famiglia Garcia – e sulla propria – che di dedicarsi a dar valore ai respiri tra gli scivoloni, e ne risulta un lungometraggio che esiste senza infastidire né probabilmente esaltare nessuno. Peccato, perché una storia messicano-americana con un po’ di profondità in più avrebbe reso il tutto molto più unico, godibile e genuino.
Una leggera scampagnata in famiglia, senza troppe pretese
Pro
- I momenti intimi tra singoli membri della famiglia sono pochissimi ma ben fatti
Contro
- Le gag fisiche smettono di far ridere in velocità
- Infastidisce vedere il potenziale narrativo sprecato di alcune interazioni
- Con un cast e uno scheletro produttivo così ancorato nel messico-america, si poteva fare di più