Zelda: la leggenda di un nome centenario
Un approfondimento generazionale su colei che ha ispirato Shigeru Miyamoto per il nome della principessa e della saga di Nintendo.
Quanta importanza gioca la scelta del nome da assegnare alle produzioni videoludiche? Probabilmente moltissimo, e le piccole/grandi aziende videoludiche ne sono ben consapevoli. Alle volte si gioca con la fantasia, altre volte con il contenuto di quel gioco, altre ancora invece si fa affidamento alla semplice ispirazione verso altre opere o personaggi. Questo è il caso di The Legend of Zelda.
Senza ogni ombra di dubbio, ogni videogiocatore e videogiocatrice che si rispetti conoscerà benissimo la longeva e acclamata serie di Nintendo ideata da Shigeru Miyamoto, la quale arriverà al capitolo numero 19 con The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom il 12 maggio 2023.
E se in apertura abbiamo detto che la scelta dei nomi gioca un ruolo fondamentale per l’identità di un’opera, la domanda che vogliamo porre in tal proposito è: qual è la ragione che ha spinto l’autore nipponico a chiamare la principessa (e l’intera serie) con il nome di Zelda?
Zelda ispirata a una donna realmente esistita
Stando a Miyamoto, l’ispirazione del nome deriva niente meno che da Zelda Sayre Fitzgerald, famosa scrittrice statunitense dei primi del Novecento e moglie dello scrittore Francis Scott Fitzgerald:
“Lei era una donna famosa e bella a detta di tutti. Mi piaceva la musicalità del nome e decisi così di utilizzare proprio lei per il primo, vero titolo di Zelda”.
Una scelta dettata quindi più dalla sonorità del nome che da altro, nonostante sicuramente anche l’importanza della fama e bellezza della scrittrice abbiano contribuito, come bella e famosa è anche la protagonista della fortunata saga di Nintendo. Tuttavia, fatta salva questa similitudine, le due Zelda ci mostrano due personalità distinte sia nel carattere che nei modi di fare. Ma quando il nome conta più di qualunque cosa allora è un’altra storia, e Miyamoto è stato in grado di renderlo straordinariamente leggendario.
La vita di una talentuosa americana stravagante
“Perché la vita dovrebbe essere tutta lavoro, quando possiamo tutti prendere in prestito? Pensiamo tutti a oggi, senza preoccuparci del domani”.
Una citazione della Sayre dalle mille interpretazioni, ma che rispecchia a pieno quello che era la sua filosofia di vita, fatta di grandiosi successi, di talenti cristallini sfoggiati con classe, ma anche di cadute clamorose.
Nata il 24 luglio 1900 a Montgomery, in Alabama, Zelda Sayre Fitzgerald era la più giovane degli altri suoi quattro fratelli e sorelle. Il padre, Anthony Dickinson Sayre, era un severo e famoso magistrato dell’Alabama e non vedeva di buon’occhio la figlia. La madre, Minerva Buckner “Minnie” Machen, mostrava un punto di vista differente al marito ed era stata lei ad aver dato il nome di Zelda alla sua ultimogenita, in onore di due fiabe del XIX secolo: Zelda: A Tale of the Massachusetts Colony di Jane Howard (1866) e Zelda’s Fortune di Robert Edward Francillon (1874).
Ragazza eclettica e poliedrica in gioventù, la Sayre frequentava lezioni di danza già nel 1914, alla Sidney Lanier High School. Pur ricevendo ottimi voti, non amava tantissimo le lezioni, preferendo molto più la vita sociale ad esse. Per quanto lo stereotipo della donna docile e composta andasse per la maggiore, soprattutto per gran parte del XIX/XX secolo, in realtà la scrittrice statunitense mostrava l’esatto opposto.
Caratterialmente provocante e anticonformista, Zelda adorava la trasgressione, consumava alcolici, fumava e passava gran parte della sua adolescenza al fianco di numerosi fidanzati. Tant’è che una rivista locale, la quale aveva dedicato uno spazio a uno dei suoi balli, sosteneva che a Zelda interessavano solo i ragazzi e il nuoto.
Una personalità praticamente atipica per una donna di quei tempi, ma che aveva fatto breccia nel cuore dello scrittore Francis Scott Fitzgerald, il quale era rimasto folgorato dal suo carattere particolare. Tuttavia, non era l’unico a desiderare la bellezza provocante della Sayre: c’erano anche altri spasimanti alla sua corte, e ciò amplificava il desiderio di Francis di conquistarla a tutti i costi.
Il 3 aprile 1920, Zelda si sposò con lo scrittore nella cattedrale di Saint Patrick a New York, praticamente quattro giorni dopo la pubblicazione del romanzo di Francis, “Di Qua dal Paradiso”. In poco tempo, la coppia riuscì a guadagnare le luci della ribalta nella Grande Mela, sia per il successo dell’opera letteraria, sia per i comportamenti fuori dall’ordinario.
Col tempo – e dopo la nascita della figlia Frances, chiamata anche “Scottie” dai genitori – il loro matrimonio cominciò a prendere una brutta piega. Francis fu completamente assorbito dalla scrittura del suo più celebre romanzo “Il Grande Gatsby”, e questo lo portò a distanziarsi da tutto il resto. Zelda invece colmò con delle relazioni clandestine il vuoto lasciato dal marito.
Ne susseguiranno diverse liti, sia per conflitti d’interessi, sia per i continui tradimenti della Sayre. A proposito d’interessi, l’ossessione per la danza e l’idea di riprendere la carriera da ballerina iniziò ad albeggiare nella mente di Zelda, probabilmente messa in competizione dall’enorme lavoro di Francis. Quest’ultimo, in preda all’alcolismo, considerava il ritorno al ballo della moglie solo una perdita di tempo.
Nonostante la diagnosi di schizofrenia accertata nel 1930 a Parigi, Zelda completò nel 1932 il suo romanzo di carattere autobiografico, Lasciami l’ultimo Valzer. Dal punto di vista tematico, l’opera rappresentò lo specchio della vita della scrittrice impersonata dalla protagonista Alabama Beggs, simbolo della sua metamorfosi che, da discepola di suo marito, era diventata una principale rivale. Purtroppo il suo racconto non raggiunse il successo sperato, né tantomeno fu apprezzato dalla critica, almeno in prima battuta. Ciò non risparmiò, infatti, lo scontento di Francis nei confronti della Sayre.
Il declino di Zelda fu inevitabile. La sua salute psicologica fu in costante peggioramento, e le permanenze nelle cliniche ospedaliere aumentarono sempre più. Ma la sua vena da abile scrittrice rimase inattaccata dalle continue perturbazioni mentali. Negli ultimi anni della sua vita, la Sayre stava portando al compimento il suo secondo romanzo intitolato Caesar’s Things. Un lavoro che purtroppo non riuscirà a ultimare a causa di un incidente scoppiato nella struttura psichiatrica dove era ricoverata.
Durante la notte del 10 marzo 1948, un incendio divampato nell’Highland Hospital, sull’altopiano di Asheville, aveva divorato le cucine e l’intero sanatorio. A soli 47 anni, Zelda Sayre Fitzgerald morì tra le fiamme reclusa in una stanza, e il suo Caesar’s Things seguì il medesimo destino della creatrice, consumato anch’esso dal rovente inferno scoppiato in ospedale. Con il marito morto di tubercolosi il 21 dicembre 1940, entrambi i coniugi furono sepolti a Rockville, nel Maryland. Per non dimenticare la loro memoria e la grande dedizione alla scrittura, sulla tomba della coppia è stata incisa l’ultima frase de Il grande Gatsby:
“Così remiamo, barche controcorrente, risospinti senza sosta nel passato”.
Una donna dai mille colori e una donna dalla saggezza infinita
Quella della Sayre è una storia davvero singolare. Una donna divenuta vera e autentica icona di stile con quell’atteggiamento e l’aspetto da “flapper”, un termine anglosassone di definire una donna “maschietta”: capelli corti, abbigliamento atipico e quel senso di genio e sregolatezza insolito nelle donne dei primi del Novecento. A Zelda importava soltanto vivere fino in fondo il presente senza pensare al futuro che l’attendeva. Tra feste, alcolici e lunghe nottate in bianco, sicuramente il suo presente era tutt’altro che monocromatico.
Anche dopo il matrimonio con Francis il suo comportamento era rimasto del tutto immutato, e la complicità col marito alimentava sempre più la sua vita movimentata e dispendiosa. La pioggia di lettere che si scambiavano a distanza, la preoccupazione nei confronti della loro figlia riguardante l’università che frequentava, e i loro problemi psicologici, hanno portato le prime di tante crepe in un matrimonio così caotico. A completare il processo di declino della coppia ci hanno pensato i problemi di Francis con l’alcolismo e la conseguente schizofrenia diagnosticata a Zelda.
Ma rimanendo aggrappata a un salvagente, la Sayre non aveva smarrito i suoi talenti per il ballo, per il nuoto e per la scrittura, conscia del fatto che esse rappresentavano un’ultima spiaggia per saldare una situazione parecchio delicata. Lasciami l’ultimo Valzer era un’opera autobiografica controversa, ma che aveva saputo esprimere il suo alto valore qualitativo solo negli anni successivi alla tragica morte della scrittrice, in uno stile di scrittura che lasciava trasparire tutte le disperazioni della donna provocate dagli eccessi e dal matrimonio con Francis. A detta della maggior parte dei critici letterari, l’opera era considerata come:
“la reale testimonianza della vita complicata delle donne degli anni venti, unita a quella di una donna (Zelda, n.d.r.) che prova audacemente a uscire fuori dai rigidi schemi della società di quel periodo”.
Tanto diversa invece è l’altra Zelda, quella di Shigeru Miyamoto. Pur mantenendo la stessa bellezza e fama della scrittrice statunitense, essa è priva della sua sregolatezza ed eccentricità. Possessore del frammento della Triforza legata alla saggezza della dea Nayru, la principessa di Hyrule dimostra a più riprese di essere una saggia profetessa e una perfetta consigliera alle avventure del coraggioso Link, in possesso anch’egli di uno dei frammenti legati al coraggio della dea Farore. Nonostante nei primi episodi della saga sia stata quasi sempre vista come la principessa da salvare dal pericolo dell’allora Ganon, possessore del frammento legato alla forza della dea Din, Zelda ha mostrato al pubblico ben di più di questa unica faccia.
Nell’acclamato Ocarina of Time si finge un membro della tribù degli Sheikah per fuggire dalle grinfie del demone Gerudo, camuffandosi in un alter ego maschile di nome Sheik, irriconoscibile pure per Link quando la incontra la prima volta al Tempio del Tempo. In Wind Waker non appare più nella stessa veste, bensì quella di giovane e forte piratessa di nome Dazel (che è inoltre l’anagramma di Zelda) a capo di un suo equipaggio. Mentre in un filmato ricordo di Breath of the Wild, manifestando il potere spirituale che da tempo ha tentato di svegliare con le preghiere e abluzioni alla dea Hylia, Zelda protegge e salva un quasi stremato Link dall’assalto dei guardiani, affidando poi a due soldati Sheikah il compito di portarlo al Sacrario della Rinascita per un lungo e curativo sonno.
Insomma, una Zelda che ben si sposa al concetto della parola saggezza, completamente distaccata dall’esuberanza mascolina della Sayre, più fedele nei confronti di Link e a tratti più eroica. Ma con la scrittrice è in grado di condividerne la fama (in quanto principessa di un regno), la bellezza esteriore e, soprattutto, il nome da cui ha preso in eredità grazie a Miyamoto. In altre parole, la principessa di Hyrule e la statunitense rappresentano una medaglia con due facce diverse.
Un treno che non si arresta facilmente
Per concludere quest’approfondimento tanto culturale quanto generazionale, vorrei esporre una considerazione personale: The Legend of Zelda e la principessa hyruliana non sarebbero esistiti, o meglio non si sarebbero chiamati in questo modo, senza l’influenza di Zelda Sayre Fitzgerald. Ed è anche pur vero che l’esuberante scrittrice statunitense non avrebbe avuto quel nome senza quelle due fiabe della madre.
Tutto ciò è semplicemente incredibile. Nella totale inconsapevolezza, Jane Howard e Robert Edward Francillon sono riusciti a far partire un treno lungo un binario immaginario che oltrepassa qualsiasi barriera dimensionale, facendo tappa prima a Montgomery, poi ad Hyrule. Fino a quando il cuore pulsante di Zelda batte senza intoppi, questo treno continua la sua inesorabile corsa verso un futuro remoto. Probabilmente, un futuro destinato a diventare sempre più stratificato e – ancora una volta – leggendario.