Videogame. Una piccola introduzione: breve analisi e riflessione
Durante queste vacanze pasquali, oltre a mangiare tonnellate di cioccolata, mi sono dedicata alla lettura del libro “Videogame. Una piccola introduzione”, scritto da Roberto Semprebene e Dario Edoardo Viganò, e pubblicato da LUISS University Press. La trattazione accademica del videogioco deriva dal fatto che esso non è solo tecnologia e industry, ma è da considerate a tutti gli effetti un medium, che ha dei risvolti sociali e culturali.
Questo è il concetto che caratterizza il saggio di Semprebene e Viganò, che nella sua suddivisione in tre capitoli spiega cosa è il videogioco in tutte le sua caratteristiche, ripercorrendone la storia, analizzando le figure che si adoperano per la sua realizzazione e soprattutto le trasformazioni avvenute nel corso dei decenni. Perché chi pensa che il videogioco sia solo un prodotto del presente si sbaglia di grosso: ufficialmente il primo videogioco, – ovvero Tennis for Two, realizzato dal fisico William Higinbotham – si fa risalire al 1958 .
Partendo dunque da un giochino creato quasi sessant’anni fa in un paio d’ore circa, l’autore Semprebene delinea l’evoluzione del videogioco, citando la prima console di casa, la Magnavox (1972), sino ad arrivare gradualmente all’attuale generazione di console rappresentata da PlayStation 4, Xbox One e Wii U. La mancanza di Nintendo Switch nell’analisi deriva semplicemente dalla data di pubblicazione del libro, avvenuta a febbraio 2017.
Durante questo percorso cronologico – oltre alle specificazioni legate al lato tecnico delle diverse console e alla tipologia di marketing intrapreso delle varie società – non mancano le curiosità, come l’iniziale collaborazione tra Nintendo e Sony, fino alla decisione opposta intrapresa dall’azienda di Tokyo che ha portato alla nascita di PlayStation e all’innovativo supporto basato sui CD-Rom rispetto alle cartucce utilizzate da Nintendo 64.
Il secondo capitolo, curato da Viganò, si sofferma invece sugli effetti che i videogiochi hanno avuto e continuano ad avere sulla società: la demonizzazione del mezzo videoludico era particolarmente in voga negli anni 80 a causa di alcuni studi psicologici, come Video Kids di Eugene Provenzano, poiché si riteneva che i contenuti violenti avessero conseguenze nelle vita reale dei giocatori. Una tesi che tuttora trova riscontro nella stampa generalista e in alcuni testi scientifici anche piuttosto recenti ma alla quale, a partire dagli anni 90, si sono aggiunti altrettanti studi di visioni opposte. Secondo Roberto Maragliano, infatti, i videogiochi possono avere effetti positivi per la didattica, e il motivo è ricollegabile alla caratteristica principale del mezzo: la simulazione.
Essa permette un’immedesimazione e un coinvolgimento maggiore, i quali, con l’adeguato controllo da parte degli adulti su fruitori più giovani, possono avere risvolti positivi dal punto di vista pedagogico e didattico. Citando direttamente Viganò: “la realizzazione virtuale di esperimenti, le spiegazioni illustrate per mezzo di mondi e personaggi colorati e divertenti hanno la capacità di attrarre e mantenere l’attenzione dei minori, permettendo l’apprendimento anche per mezzo dell’interazione diretta con il programma didattico”.
In termini più generici, il videogioco può avere diverse conseguenze sugli utenti, ma tutto dipende dall’uso e dalla supervisione degli adulti, come genitori e insegnanti. Atteggiamenti scontrosi e violenti, sebbene correlati a un utilizzo esagerato di videogiochi, non sono automatici come generalmente si ritiene.
Il terzo e ultimo capitolo, redatto nuovamente da Semprebene, è dedicato al rapporto tra il mezzo videoludico e gli altri media, in particolar modo il cinema. Una commistione di elementi che non avviene a senso unico, ma che vede un mix generale, sia in caso di successi – come la saga de Il Signore degli Anelli sapientemente riadattata ne La Terra di Mezzo: L’Ombra di Mordor – ma anche in caso di flop come per il vecchio film di Super Mario. Soprattutto, l’autore non si ferma alla re-interpretazione di titoli in chiave videoludica o cinematografica, ma osserva come alcuni elementi e concept tipici del videogioco siano stati assimilati dal cinema. Gli esempi sono numerosi: Scott Pilgrim vs. The World, Ralph Spaccatutto, senza dimenticare il più recente Hardcore!, del quale abbiamo già trattato su Gamesource ft. VGNetwork in occasione della sua presentazione, soffermandoci proprio su i richiami tra cinema e videogiochi.
Il capitolo si conclude con uno sguardo verso il futuro, e in particolare modo la diffusione della Virtual Reality (VR), e al mobile gaming, analizzando applicazioni che hanno avuto un impatto sociale incredibile, come Pokémon Go.
Il libro, nelle sue 187 pagine, offre diversi spunti di riflessione che potrebbero poi essere approfonditi, attraverso anche altri testi proposti nella bibliografia. Il titolo scelto dagli autori appare infatti esplicativo, poiché non si addentra in maniera profonda negli argomenti ma tocca diversi punti che in un modo o nell’altro riescono a inserirsi nel mondo videoludico, generando una visione complessiva sulle conseguenze generate dal medium. Una lettura breve ma non leggera, perché adopera la forma del saggio accademico.
Tuttavia, per tutti coloro che si sono trovati catapultati in questo universo così caratteristico dei nostri tempi, siano essi semplici appassionati o professionisti del settore, possono trovare dati, fonti certe e analisi su un tema spesso trattato superficialmente e sminuito dall’opinione pubblica. In realtà, il fatto che anche il mondo accademico italiano si stia gradualmente aprendo sul versante dei Game Studies e del videogioco nel senso più generico, dimostra come si stia finalmente giungendo alla consapevolezza di come sia necessario aprire gli occhi ed essere coscienti dell’impatto che quest’ultimo ha avuto, sta avendo, e avrà nella nostra società.