The Last of Us: Part II – Naughty Dog e l’età adulta
Inizia qui il nostro percorso di avvicinamento alla recensione di The Last of Us 2: una serie di editoriali in cui parleremo di età evolutive, sequel, speranza ed emozioni.
C’è mai stato davvero un tempo in cui i videogiochi sono stati un prodotto per bambini? La domanda è volutamente provocatoria e, lungi dal volerci addentrare nel ginepraio del PEGI e dell’eterno dilemma “videogioco uguale arte”, ci serve da scintilla per farvi riflettere sulla più semplice delle risposte: sì, i videogiochi sono stati un prodotto per bambini, perché siamo (stati) bambini anche noi. Con il medium videoludico siamo cresciuti, abbiamo condiviso giornate piovose e lunghi pomeriggi domenicali, assistendo all’evoluzione e alla crescita dell’intrattenimento elettronico che, insieme a noi, si trasformava e diventava grande. The Last of Us Part II è il titolo perfetto per dare il via a questa serie di editoriali che, pensati per ingannare il tempo in attesa della recensione, analizzeranno vari aspetti legati al capolavoro annunciato di Naughty Dog: infatti parliamo di un titolo che oltre che pietra miliare dell’era PlayStation 3 / PlayStation 4, è l’opera che meglio esprime il concetto di età adulta del videogioco.
Ma andiamo con ordine: il presupposto fondamentale per seguirci in questo ragionamento è che tutti siamo stati – e siamo in parte tutt’ora, conditio sine qua non per continuare con il discorso – bambini. E con “tutti” intendiamo tutti: noi videogiocatori, gli sviluppatori e (attenzione attenzione) il videogioco stesso. Dimentichiamoci dei titoli espressamente rivolti a uno specifico target di età (i vari Giulia Passione, o le graphic novel hentai, per intenderci) e analizziamo i tripla A più conosciuti, come ad esempio Super Mario e GTA: un Mario è un gioco trasversale su tutte le età, mentre un Grand Theft Auto dovrebbe rivolgersi principalmente a un target più adolescente (le associazioni genitori lo vorrebbero bollato solo per adulti, per non dire censurato definitivamente, ma diciamo “adolescenti” perché siamo stati tutti in cassa da Gamestop con la mamma che ci comprava la nostra copia di GTA).
Ma provate ad andare più a fondo e mettetevi per un attimo nei panni del videogioco stesso, approcciandovi con un punto di vista che non tiene conto dell’età del fruitore – perché a Super Mario Bros ci giocheremo anche quando saremo pensionati con l’artrite – e consideri invece il medium come un essere vivente con una propria vita evolutiva: dai primi due GTA a GTA V i passi avanti a livello di grafica e gameplay sono equiparabili a ere evolutive della storia del mondo, così come Super Mario Galaxy è una naturale evoluzione che migliora, completa e aggiunge elementi di complessità a quel “bambino in fasce” che era il primo Super Mario Bros per NES.
Ci avete seguito fino a qui? Bene, allora siete pronti per capire come questo discorso ci porta a The Last of Us part II: saltate con noi nella buca del bianconiglio e scoprite come, appurato quanto sopra, diventa affascinante analizzare come anche l’evoluzione di Naughty Dog abbia molte più analogie con le fasi della vita umana di quello ce si potrebbe in apparenza pensare.
Tutto parte da Crash Bandicoot e Jak… e siamo subito bambini: alzi la mano chi in tenera età non è stato attirato dagli sgargianti colori di un platform, siamo sicuri che se ci siete sarete davvero in pochi. Sotto questo punto di vista è quindi totalmente corretto che Naughty Dog abbia iniziato la lunga strada verso The Last of Us part II dagli (apparentemente) semplici Crash e Jak: con carismatici animali antropomorfi come protagonisti e tanti livelli ricchi di ritmo e colore, sono giochi che appassionano anche gli adulti ma che sicuramente sono di fortissimo appeal verso un bambino, mostrandosi semplici – lo ripetiamo, apparentemente, perché alla fine sono comunque difficili come tutti i platform – e pur proponendo contenuti adatti a un pubblico di giovanissimi sono in grado di accompagnarli e divertirli anche in età adulta.
Viene poi l’adolescenza: è l’età più bella, con la sua insolenza, la voglia di indipendenza, lo sbocciare dell’amore e le grandi avventure con gli amici,… per non parlare dell’incoscienza su cui ogni teenager ha costruito l’esperienza e il bagaglio emotivo che gli hanno permesso da adulto di affrontare la vita. Ci sarete sicuramente già arrivati, no? Stiamo ovviamente parlando di Uncharted e, più nel dettaglio, di Nathan Drake: perfetto Indiana Jones moderno, Nate è cresciuto insieme a noi giocatori diventando un amico, un compagno di avventure con il quale abbiamo condiviso emozioni al cardiopalma. Il suo gettarsi a capofitto nell’avventura, sprezzante del pericolo, fanno di lui lo stereotipo dell’adolescente perfetto, come il crescere del protagonista in Uncharted 4: Fine di un Ladro lo porta a rendersi conto che c’è un tempo per ogni cosa e, divenendo metaforicamente adulto, abbandona una vita di avventure per affrontare la sfida più grande: vivere con la sua amata e costruire con lei una famiglia.
Ma nel mondo moderno, così come nella vita reale, è ormai lontano il “per sempre felici e contenti” delle favole, ed è così che nella loro evoluzione anche il medium videogioco e Naughty Dog si evolvono oltre il lieto fine dell’età più bella di tutte. Si diventa adulti, si raggiunge un tempo in cui le soddisfazioni, i problemi, le gratifiche e le responsabilità portano con sé un peso e conseguenze diverse. Non è detto che le cose debbano andare male, anzi: una vita adulta piena e ricca di appagamento è possibile, ma è pur vero che è un’età in cui si prende maggiormente coscienza di quanto un problema può essere tale.
Ecco allora che arriviamo a The Last of Us part II: un’adolescente, Ellie, costretta a diventare adulta troppo in fretta ma ancora con quella scintilla negli occhi che la sua reale età le impone di mantenere, si contrappone a un Joel che rappresenta quello stereotipo di adulto che non crede più alle favole, rassegnato a perdere la propria battaglia contro un destino crudele che a suo dire non gli lascia scampo. Ci aspettiamo che The Last of Us Part II sarà l’apoteosi di questo cerchio della vita: un’estremizzazione dell’egoismo e della violenza che il mondo può scaricarci addosso nel momento in cui apriamo gli occhi e smettiamo di credere a Babbo Natale. Allo stesso tempo, però, ci aspettiamo anche della speranza: perché dentro di noi ci sono ancora quel ragazzino che giocava a Mario Bros. e Ratchet and Clank e quell’incosciente che nei panni di Nathan Drake si gettava nella mischia mentre tutto gli esplodeva attorno, combattendo a volte per amore, a volte per il semplice gusto di sentire l’adrenalina scorrere. E se Naughty Dog è stata tutto questo, allora anche The Last of Us Part II avrà nel suo DNA quell’innocenza che potrebbe, perché no, portare con sé ancora della speranza. “Sono solo videogiochi” direbbe qualcuno, ma tanto lo sapete che non è vero. Sono degli amici, dei figli, dei fratelli e dei genitori: sono quello che siamo stati e saremo, perché siamo noi a crearli. E vederli diventare adulti è proprio una gran bella soddisfazione.