The Last of Us: Part II – Naughty Dog e il numero 2
Continua il nostro percorso di avvicinamento alla recensione di The Last of Us 2: dopo aver parlato di età evolutive, oggi analizziamo il rapporto (ottimo) di Naughty Dog con i sequel.
Naughty Dog è conosciuta e amata soprattutto per una serie di IP che, nel corso degli anni, hanno dato forza e lustro al marchio PlayStation: parliamo di Crash Bandicoot, Jak, Uncharted e, ovviamente, The Last of Us (di cui attendiamo con sempre più impazienza la part II). Di tutti questi nomi, uno dei più eclatanti nel periodo recente è quello di Uncharted, nato su PlayStation 3 e riproposto su PlayStation 4 con il titanico e perfetto quarto capitolo (e pure con il quinto, se consideriamo che lo spin-off The Lost Legacy che alla fine è risultato essere un gioco a sé stante), oltre che con la rimasterizzazione della trilogia originale.
Ma cosa accomuna l’irriverente e caciarone Uncharted con il decisamente più crudo e adulto – caratteristica che abbiamo analizzato in questo precedente editoriale – The Last of Us Part II? Semplice: il numero 2. The Last of Us si prefigge di essere il punto più alto toccato su console da Naughty Dog, in termini tecnici ma (anche e soprattutto) narrativi. E l’ultima volta che abbiamo assistito a un tale prodigio è stato, manco a dirlo, con Uncharted 2. Chiariamoci, Uncharted 4 è decisamente su un altro livello: sviluppato su una console più potente e con un dispiego di forze e investimenti degni di un kolossal hollywoodiano, sarebbe impari paragonare questa killer application per PS4 con l’originale trilogia con protagonista Nathan Drake. Considerate quindi solo quest’ultima e seguiteci nel ragionamento dimenticandovi per il momento di fine di un ladro.
Uncharted è stato – per chi vi scrive – una rivelazione pazzesca: dopo anni passati ad amare Tomb Raider – con la serie che al tempo arrancava ed era ben lontana dalla spettacolare rinascita che avrebbe avuto nel 2013 – ritrovarsi catapultati dentro il primo Uncharted era una doccia fredda di azione e adrenalina come poche altre. La sensazione, e chi l’ha provata a suo tempo sa di cosa parliamo, provocava lo stesso brivido di un Metal Gear Solid, di un Resident Evil, di un Super Mario Galaxy: prendi il pad e, dopo dieci minuti al massimo, capisci di avere per le mani una pietra miliare del mondo videoludico.
Ed è così che ti ritrovi a giocare per otto ore filate, finché non arrivano i titoli di coda. E dopo poco tempo – frugato in ogni angolo e messo in bacheca tra reliquie e tesori anche un bel trofeo di platino – inizi a pensare a quanto sarebbe bello se quel gioco avesse un sequel. Le recensioni e i dati di vendita fanno pensare la stessa cosa anche a Naughty Dog che, un paio d’anni dopo, sforna la perla: il covo dei ladri o, come lo chiamiamo tra amici, semplicemente Uncharted 2.
Nate che si risveglia tra le vette innevate sul treno deragliato, quel “Oh, crap!” mentre rimane appeso al baratro e inizia una scalata di pericoli scriptati che accompagnano il giocatore in un mondo di gioco incredibile… dove dieci minuti paiono un’eternità: qui lo si capisce in pochi secondi, che si sta assistendo alla storia!
Insomma, ecco come Naughty Dog ha fatto il suo ultimo “2”: un more of the same dove il more è riversato sui giocatori in maniera più che generosa e il same non è un già visto ma semplicemente un inserimento di elementi necessari a dare continuità a quanto di ottimo già realizzato nel primo capitolo della saga. In Uncharted 2 ci sono più esplorazione, più sparatorie, più enigmi, più emozioni… più belle donne. Roba che Indiana Jones grazie ma sei vecchio, mentre Lara Croft può definitivamente fare la pin-up e lasciare spazio agli uomini veri (sappiamo che la tombarola tornerà a rompergli il di dietro con il reboot, ma questa abbiamo già detto che è un’altra storia).
Ed ecco che passano gli anni e arrivano in sequenza un non altrettanto incredibile Uncharted 3 e un praticamente perfetto The Last of Us, che ci lascia realmente di stucco tanto da farci ritrovare a discutere sul come sia stato possibile un tale cambio di registro narrativo e di atmosfera. A pensarci bene, The Last of Us dà la stesse sensazioni del primo Uncharted: quella rottura col passato, quello spiazzamento rispetto a tutte le aspettative, quella consapevolezza che si sta ancora una volta (eh, sì, questi sono proprio anni belli, per videogiocare!) a qualcosa che da lì in avanti cambierà il metro di giudizio su tutti i videogiochi a venire.
Ci sembra allora lecito, a questo punto, aspettarci che Naughty Dog non deluda le nostre aspettative e renda il giusto omaggio alla teoria dei corsi e ricorsi storici: vogliamo un The Last of Us part II in grado di innalzare definitivamente il brand nella hall of fame dei giochi da possedere così come Uncharted 2 ha fatto per la saga di Nathan Drake. Vogliamo un The Last of Us part II che ci ridia Ellie e Joel, ma che intrecci le loro storie con quella del mondo, ormai devastato dall’epidemia. Vogliamo un The Last of Us part II che sia all’altezza del secondo capitolo che Naughty Dog certamente è in grado di realizzare, per provare ancora una volta quella sensazione e poter dire che sì, anche questa volta c’eravamo.