The Dark Pictures Anthology: perché non funziona?
Perché The Dark Pictures Anthology non funziona? Perché non concentrarsi su un unico titolo più grande e di qualità superiore come Until Dawn?
Dopo il successo di Until Dawn, Supermassive Games ha deciso di produrre una serie di storie più brevi, con lo stesso concept di gameplay, raccolte nella Dark Pictures Anthology. Da poco la prima stagione della serie si è conclusa con il quarto episodio, The Dark Pictures Anthology: The Devil in Me (di cui trovate qui la recensione) e tutto sommato ogni episodio ha ricevuto un discreto apprezzamento da parte di pubblico e critica. Personalmente penso che la raccolta ideata dal team, cavalcando l’onda di Until Dawn, non abbia invece funzionato pienamente e in questo editoriale cercherò di spiegare il perché.
Aspettative post-Until Dawn
Quando Supermassive Games fece uscire, nell’ormai lontano 2015, Until Dawn, il successo non tardò ad arrivare. L’horror dall’atmosfera classica anni ’80 spiccava per la sua elevata qualità tecnica e artistica, ma anche per l’ottima scrittura e soprattutto per la varietà di scelte e finali disponibili (tutti ci siamo divertiti a scoprire in quanti modi si potesse uccidere Emily). Non molto tempo dopo i giocatori iniziarono a chiedere un sequel o un altro titolo simile. Il team si mise subito al lavoro, e quello che ne uscì fuori fu una raccolta, o più precisamente un’antologia: The Dark Pictures Anthology.
Lo scopo di Supermassive Games era quello di creare delle piccole storie horror, ognuna che andasse a riprendere un sottogenere dei classici film del genere, mantenendo lo stile di Until Dawn. Il piano prevedeva ben otto titoli divisi in due stagioni, la prima della quali si è conclusa proprio qualche giorno fa con The Devil in Me. Impossibile negare che le aspettative erano alte e, anche se con budget e tempi ridotti, c’era la volontà di mantenere altrettanto alta la qualità della serie. Stando alla critica tutto sommato queste aspettative, per il momento, sono state rispettate ma purtroppo a molti giocatori (tra cui il sottoscritto) questa Dark Pictures Anthology proprio non va giù.
Quantità senza qualità
Gli aspetti più apprezzati di Until Dawn erano le ottime performance degli attori accompagnate da un’egregia performance capture, l’orrore viscerale e le situazioni al limite a cui venivano sottoposti i personaggi e il giocatore, e soprattutto l’enorme quantità di percorsi da scoprire grazie all’effetto farfalla generato dalle nostre scelte. Tutti elementi su cui gli sviluppatori hanno puntato per gli episodi di the Dark Pictures Anthology ma che, secondo me, non sono stati sfruttati per niente bene.
A partire da Man of Medan ho trovato i vari titoli molto meno ispirati da ogni punto di vista, e soprattutto poco spaventosi. Il lato tecnico e artistico di Until Dawn non è mai stato eguagliato, con delle espressioni facciali dei personaggi sempre al limite dell’overreacting e un doppiaggio ballerino. Tutti elementi che vanno a smorzare l’immersione del giocatore nell’ambiente di gioco, tutto sommato sempre ben costruito e caratterizzato. Soprattutto nell’ultimo episodio, The Devil in Me, questi problemi sono venuti a galla in maniera evidente: il doppiaggio spesso non in linea con il labiale, con i personaggi che muovono la bocca senza dire niente o viceversa, è una delle cosa che più mi ha infastidito durante tutta l’avventura.
Innovazioni: ma perchè?
Una cosa che si può apprezzare è la costante voglia di Supermassive Games, episodio dopo episodio, di innovare qualche elemento del gameplay. Soprattutto per quanto riguarda l’esplorazione degli ambienti molti elementi sono cambiati rispetto a Until Dawn o ai primi episodi della raccolta. Peccato però che non sempre questi siano riusciti alla grande, anzi… L’esempio più grande lo abbiamo avuto in The Devil in Me: qui la componente esplorativa è molto maggiore rispetto agli altri titoli, con anche una maggiore verticalità. I puzzle ambientali sono risolvibili attraverso l’osservazione dell’ambiente circostante e raggiungendo punti della mappa scalando o spostando oggetti. Tutto molto bello, se non fosse per la fastidiosissima e a tratti irritante macchinosità e lentezza dei personaggi. Non a caso questo ultimo episodio è il più longevo a livello di ore, ma sono ore completamente vuote. Infatti per me la serie è andata peggiorando in ogni episodio, con Man of Medan che non era affatto male (con tutti i suoi problemi) e Little Hope che almeno aveva una trama leggermente più interessante e particolare degli altri.
Se insieme a questi problemi ci aggiungiamo un livello di noia (forse soggettivo?) fuori dal comune e l’assenza quasi totale di paura, arriviamo a una conclusione poco piacevole per la serie fin ora. Non sarebbe stato meglio concentrarsi solo su The Quarry? Il che avrebbe permesso anche di perfezionarlo al meglio e di raggiungere i livelli di Until Dawn. Ora dobbiamo attendere la seconda parte della Dark Pictures Anthology con altri quattro episodi, e da fan di questo genere spero vivamente che la situazione migliori, ma l’apprezzamento della gran parte dei giocatori mi lascia immaginare che Supermassive Games non cambierà di troppo l’approccio alla serie.