Tavola rotonda finale

ITALIAN VIDEOGAME DEVELOPERS CONFERENCE

La seguente è una trascrizione del dibattito che si è instaurato alla fine della Conference. Presiedeva Marco Accordi Rickards, mentre il pubblico per lo più faceva le domande. Nella platea c’era anche il CEO di Lighting Fish, Simon Pryterch che è intervenuto con una domanda in inglese, presto tradotta dall’host. (Abbiamo promesso di mandargli la risposta in inglese)
Qui sotto i nomi dei partecipanti.

N.B. La presente non è una trascrizione parola per parola (anche perché il flusso del discorso sarebbe stato confuso dato che le risposte non erano preparate), ma piuttosto una libera ricostruzione (nella forma, non nei concetti). Se trovate errori potete segnalarceli e faremo in modo di correggerli.

Marco Accordi Rickards – Chairman di AIOMI e organizzatore della IVDC
Raoul Carbone – CEO di Black Sheep studios
Andrea Pessino – Fondatore di Ready At Dawn
Roberto Genovesi – Direttore Artistico di Cartoons on the Bay, Rai Trade
Fabrizio Vagliasindi – Head of Marketing di Black Bean Games
Giuseppe Crugliano – Fondatore di Twelve Interactive
Riccardo Cangini – Fondatore di Artematica
Simon Prytherch – CEO di Lightning Fish
Domanda – il pubblico

Testo della roundtable


Domanda:
Lei, da publisher (Vagliasindi è lo Strategic Marketing Advisor di Leader spa) come vede il Digital Delivery?

Vagliasindi: Il Digital Delivery è importantissimo, soprattutto su piattaforme come Xbox Live e PSN. Io credo che la strategia giusta sia puntare a un formato particolare, le avventure episodiche. Quindi giochi dalle dimensioni contenute e molto più vicini ai serial televisivi come formato. Così si possono abbassare i budget e massimizzare i profitti.
Altro discorso è l’iPhone. Ha molti problemi di sovraffollamento, è impossibile emergere nel mare di giochi che ci sono… però ha un modello economico interessante e l’immediatezza dell’App Store dalla sua.
Sul PC… beh non c’è un fenomeno di Digital Delivery "serio" su PC, fino ad ora.

Rickards: L’entità di Half Life 2 è stata tale da far tremare la stessa Valve riguardo il pensiero di produrre un sequel. Era un titolo rischioso e senza limiti di budget. Come mai i budget si sono alzati così tanto ora?

Pessino: Case come Valve, Blizzard, Epic… e altre sono l’eccezione. Hanno più fondi di alcuni paesi! Il budget viene sempre negoziato con il publisher, quindi va da se che nei loro casi visto che il publisher è interno il budget è illimitato. E’ facile ottenere soldi interni.
Noi da parte nostra non vediamo l’ora di eliminare i negozi dall’equazione. Negli Stati Uniti rivendono un gioco anche 4-5 volte, e questo non genera un soldo per il publisher. Già dalla seconda volta che viene venduto il gioco smette di generare profitti per noi ed è solo profitto per i negozianti, quindi noi vogliamo fortemente il Digital Delivery. Considero il mercato dell’usato come una "pirateria legalizzata".

Crugliano: In questo modo il budget che sarebbe stato destinato alla pubblicazione può confluire sullo sviluppo, migliorando il prodotto.
C’è anche da dire che noi siamo abituati ancora all’oggetto tangibile, ci piace vedere la scatola, toccarla, metterla sullo scaffale… anche se le cose stanno lentamente cambiando grazie alle varie suonerie, canzoni scaricabili, ecc.

Pessino: Vero. Voglio però far notare la differenza che c’è fra un gioco con componente online e uno story driven / single player (come può essere stato God of War: Chain of Olympus). Noi soffriamo di più i budget grossi perché questo tipo di giochi durano poco, quando il giocatore l’ha finito si stufa e non possiamo permetterlo. Perciò dobbiamo eliminare i budget spropositati.

Cangini: Secondo me non si elimineranno mai i grossi budget, finché ci sarà la corsa alla storia immersiva e soprattutto alla grafica. Quando si arriverà ad una grafica iperrealistica a basso costo allora i budget si sgonfieranno.
[tornando sul Digital Delivery] Per ora solo i giovanissimi sono abituati al non tangibile. Ma avere l’oggetto fra le mani ha sempre il suo fascino, quindi il Digital Delivery ci metterà un pò ad ingranare. I contenuti episodici sono una via interessante. Noi l’avevamo fatto un pò di anni fa con Simulmondo: abbiamo fatto un gioco e l’abbiamo diviso in tre parti.
E’ strano in questo senso che Apple sia riuscita a costruire un piccolo impero e a generare così tanti soldi con un bene intangibile [si riferisce all’iTunes Music Store].

Vagliasindi: Capisco la provocazione di Andrea [Pessino]. Però non dimentichiamo che il "trade" [si riferisce al commercio retail] ha ancora ragione di esistere perché il mercato si sta espandendo con i nuovi flussi di casual gamers. Questi sono ancora poco educati al videogame e non possono fare a meno del trade. Ad esempio ho visto cose incredibili: quando è esploso il fenomeno Brain Training, la gente lo andava a comprare e non sapeva neanche che per giocarci servisse un DS, loro volevano solo il gioco. O su Wii Sports: ho visto persone che giocavano solo a quello senza espellere mai il disco perché pensavano che il Wii consistesse solo in quel gioco, e non capivano che ce ne sono altri.
Bisogna trovare una soluzione fra sviluppatore e publisher. L’usato va bene ma ci vuole una regolamentazione perché a differenza di un film, che genera prima gli incassi al botteghino, poi viene venduto in DVD, cassetta, fittato, ecc.. un gioco ha solo 3 mesi per fruttare, poi viene tolto dallo scaffale. Non è come per i film che generano profitti anche dal fitto.

Pessino: I retailer vogliono il mercato dell’usato perché è tutto profitto. La ESA [organo Usa per il software] non ci ha protetti quando è stato il momento, a differenza di quello che è stato fatto per i film dove le Major hanno detto [alle catene di distribuzione] "o ci date profitti anche sull’usato, o interrompiamo il flusso di film".

Genovesi: Il problema è che il gioco non è un prodotto culturale. Bisogna cambiare questa concezione e portare ad esempio l’iva dei giochi a quella dei libri.

Domanda:
Come funziona l’orientamento al lavoro per un programmatore appena uscito dall’università che vuole fare videogiochi? O ci sono scuole in Italia valide sull’argomento?

Genovesi: Ci sono diverse realtà. A Roma ad esempio c’è la facoltà di Malta che ha un corso di Game Development riconosciuto. Pensa che il mese scorso ho addirittura interrogato un ragazzo sulla conformazione dei livelli di Doom in un esame e gli ho dato 30!

Cangini: A Roma c’è anche il master IED [Istituto Europeo di Design]. Tieni presente che una struttura preposta appositamente è sempre la soluzione migliore per chi vuole formarsi, ma non è da sottovalutare anche una formazione autonoma. In ogni caso, studiare in strutture così aiuta ad abituarsi a lavorare in team.

Crugliano: Anche noi [12 Interactive] abbiamo un programmatore ex AIV [Accademia Italiana Videogame]. Al giorno d’oggi molti hanno iniziato corsi di livello europeo e noi sviluppatori non vediamo l’ora di attingere da queste risorse umane che si renderanno disponibili a breve.

Vagliasindi: Noi stiamo lavorando ad un progetto di una scuola apposita, probabilmente da realizzare con l’appoggio di un ateneo a Milano. Il master IULM ad ogni modo è già un corso che produce figure adatte al mondo del lavoro dal momento in cui escono dalla scuola. La chiave è offrire una struttura che sia legata saldamente al mondo concreto del lavoro.

Carbone: Io personalmente avevo creato una struttura privata finalizzata alla formazione e alla creazione di videogiochi. Nel tempo poi la mia situazione è cambiata, ed ora lavoro allo IED di Roma nell’ambito più ampio di un corso triennale [il corso di Digital & Virtual Design, di cui è docente Zbrush], ma stiamo lavorando per creare in futuro un corso di spessore sui videogames.
Ma l’importante oltre a tutte queste etichette sono 3 cose: le strutture, che devono essere serie, universitarie, non private; le persone, qualificate, con esperienza videoludica; e il contatto con il mondo del lavoro, un contatto vero dopo il corso che permetta di entrare in una società reale come stagista o addirittura professionista. Per questo ci battiamo come AIOMI.

Rickards: [riferendosi a Pessino] Voi avete mai assunto persone appena uscite da scuola senza esperienza?

Pessino: Sì certo, ne abbiamo presi molti. Attualmente abbiamo molti membri nel team che sono entrati senza esperienza. In America ci sono molte scuole importanti e due che sono completamente dedicate allo sviluppo: Full Sail e… [non ricorda]. Noi comunque puntiamo sempre più sul potenziale che sull’apporto immediato dell’individuo. Miriamo sempre a rapporti di lunga durata.
Rispondendo alla domanda del ragazzo riguardo i programmatori, non trascurate mai la matematica e la fisica, perché sono fattori sempre più importanti per un programmatore. Le basi sono importanti e vanno apprese a scuola, fra l’altro ho visto che in Italia la scuola pubblica funziona molto meglio di quella Usa, in Usa la privata va bene ma la pubblica fa schifo.
Io personalmente preferisco un degree in Matematica o Fisica rispetto ad uno in Computer Science.

Domanda: Parliamo della pirateria. Vi faccio un esempio pratico: compro Crysis Warhead, vado per istallarlo e trovo che ho bisogno di 8 seriali, un’ora di installazione, poi devo essere connesso ad internet, poi scopro che il gioco non è originale… [viene richiamato alla brevità da Rickards]
Insomma, non trovate che le protezioni danneggino i giocatori onesti?

Pessino: I PC games sono finiti perché il mercato è insostenibile, quindi la via giusta è abbassare i prezzi e trovare un altro business. Purtroppo per ora le cose non sembrano cambiare quindi… sono essenzialmente d’accordo con te [riferendosi al ragazzo della domanda].

Crugliano: Bisogna fare un paragone che ci dia l’idea della differenza. I DVD ad esempio, una volta comprato lo guardi tutto e quindi lo godi fino in fondo, dando valore ai soldi spesi. Nessuno ti blocca a metà film e ti chiede se hai capito la trama, e non ti fa andare avanti.
Invece per i giochi è così, se il gioco è troppo impegnativo o lungo il giocatore non lo può finire e si sente frustrato e pensa di aver buttato soldi. In quest’ottica sono molto validi i casual games che danno molto al giocatore e subito.
Gli sviluppatori dovrebbero avere il dovere di creare un prodotto fruibile con facilità dall’inizio alla fine.

Rickards: Io infatti ho lodato Alone in the Dark prima ancora che uscisse, perché dava al giocatore la possibilità di saltare i livelli dall’inizio e se voleva, di andare subito a quello finale. Questo permette di avere più fasce di utenza soddisfatte, dal novizio all’hardcore gamer, fino a quello che non ha tempo di giocarlo tutto.

Vagliasindi: Parliamo anche del DS, che è stato ucciso dalla pirateria, quando invece poteva essere un’ottima piattaforma per la pubblicazione per le software house che sono all’inizio e non hanno molti mezzi. Ci sono su DS delle cartucce che permettono il caricamento di decine di giochi e ad un prezzo bassissimo. Questa è una cosa terribile, e succede perché i giovani chiedono ai genitori un gioco nuovo al giorno. Ma di chi è la colpa? Del retailer che l’ha venduta? Anche, ma non solo. Bisogna creare una cultura del videogame. Io sono sempre intransigente sull’argomento, sono fermissimo. Non si può accettare il falso e poi chiedersi perché le cose vanno male nel mercato. [cita un esempio di amici che avevano comprato una copia di FIFA 2009 da un negoziante contraffatta, con tanto di bollino SIAE trasferito da CD allegati ad una rivista].

Domanda: Supponiamo che un piccolo gruppo che vuole iniziare ma non ha i mezzi, potrebbe produrre una demo e metterla su web. Però il PC non è un mezzo interessante, allora per puntare ad altro (come i portatili) farebbe bene a utilizzare l’homebrew come piattaforma per dimostrare le proprie capacità? Lei [si riferisce a Vagliasindi] come vede questo fenomeno?

Vagliasindi: Molto bene, noi guardiamo con interesse alla cosa. Se l’homebrew può essere un banco di prova per convincere un publisher e non viene usato in modo sbagliato allora va bene.

Domanda: [inserendosi all’improvviso] Lei sa che il copyright al giorno d’oggi è un concetto vecchio che non è più adatto a proteggere le opere intellettuali?

Vagliasindi: Come dicevo, torna il discorso culturale: bisogna costruire il senso dell’opera di ingegno e del diritto d’autore. Sì, noi potremmo fare un sistema di Digital Rights Management, ma potrà sempre essere bucato, sarebbe solo un palliativo. La chiave è fare in modo che gli utenti riconoscano il valore del prodotto, e per farlo bisogna educare tutti.

Domanda: Abbiamo avuto spesso modo di sapere i salari relativi all’industria del videogame americana. Come funzionano in Italia?

Cangini: Per noi si va da 1000 a 2500 € al mese netti in media. Ovviamente variano in base all’esperienza e al talento.
C’è da dire che siamo giovani come settore, quindi c’è modo di crescere, ma soprattutto vogliamo puntare su gente in gamba. Varie volte ci siamo trovati a rifiutare pressioni da parte di politici e altre figure che volevano inserire qualcuno in Artematica, anche a costo 0 per noi, solo per fargli fare esperienza. Ma abbiamo sempre rifiutato perché piuttosto preferiamo pagare una persona valida, invece di avere un elemento di disturbo che non possiamo gestire al momento.

Pessino: Negli Usa i salari variano di stato in stato. Ti posso dire che in California sono molto alti, mentre ad esempio in Nevada sono bassi, ma lì non c’è State Tax e quindi gli stessi soldi valgono di più. Come esempi… potrei dire che si va da 50,000$ l’anno per un programmatore junior, fino a 100,000$ per uno senior. Sul lato Artists si va dai 30,000$ ai 130,000$ quando c’è talento o esperienza. I designers prendono un pò meno: dai 50,000$ agli 80,000$.
Voglio ripetere però che non è tutto incluso nel salario, contano molto anche i "benefits" [benefici come l’assicurazione medica o altro], che variano da società a società. Noi garantiamo anche delle royalties sui giochi, ogni persona che completa un titolo ha diritto alle royalties su di esso fino a due anni dal momento in cui lascia Ready at Dawn. Ci sono persone che in un mese hanno guadagnato in royalties quanto guadagnavano come salario base.

Crugliano: Purtroppo noi in Italia arriviamo spesso a stento a coprire i costi di sviluppo, figuriamoci se possiamo offrire delle royalties.

Domanda: [interviene] Una panoramica sull’Italia?

Crugliano: Beh, le figure sono più o meno le stesse dell’America.

Domanda: Intendevo i salari.

Crugliano: Ah, per noi si sta sui 1000€ per un grafico. Per un programmatore possiamo arrivare anche ad un massimo di 3000€ netti. Game designers… dipende. Per ora ho sempre sopperito io per questo ruolo, ma da poco abbiamo un ragazzo molto capace che si occupa esclusivamente di questo.
Io quando assumo guardo molto al profilo umano. Preferisco uno meno bravo ma più affidabile piuttosto che un elemento che ha colpi di genio, ma poi non garantisce un apporto continuo o addiritttura è destabilizzante per il gruppo.
In ogni caso, stiamo cercando di creare qualcosa per non far scappare all’estero i talenti.

Prytherch: I’m sure you will all understand me, so I’ll ask in english. How would you help the italian market to expand? Each of you. My answer would be to cooperate, what’s yours?
[tradotto da Rickards: Sono sicuro che mi capite tutti, quindi parlo in inglese. Come fareste voi ad aiutare il mercato italiano ad espandersi? Vorrei una risposta da ognuno. La mia sarebbe di cooperare per crescere, qual è la vostra?]

Carbone: In english?

Pryterch: No, you can answer in italian.

Carbone: Ok. Non per insistere sempre sullo stesso punto, ma è importante diffondere i videogame come prodotto culturale. Il problema reale in Italia è che nessuno capisce le responsabilità e il peso dello sviluppo di un videogame. Dobbiamo far capire a tutti cos’è un videogioco in primo luogo, così che tutti possano comprendere appieno cosa comporta il processo di sviluppo.

Vagliasindi: Come gruppo Leader, noi crediamo nello sviluppo italiano. Siamo entrati in Milestone e loro hanno creato due fantastici giochi di guida. Milestone raddoppierà lo spazio dei suoi uffici quest’anno. Abbiamo anche creduto in Riccardo [Cangini, Artematica] ed abbiamo cercato di aiutarlo perché crediamo che sia nostro dovere aiutare lo studio a crescere. Abbiamo spinto molto Milestone e Riccardo perché la crescita del mercato è il nostro scopo finale. Ci sono molti italiani di talento nel mondo e cerchiamo di riportarli qui o di non far andare via quelli che ci sono ora.

Crugliano: Gli italiani sono sempre stati invidiosi gli uni degli altri. Noi non la pensiamo così. 12 studios è licenziatario di una tecnologia Raylight [indica M. Di Monda di Raylight] per una serie di fattori: la vicinanza, la qualità del prodotto, ecc…
Lavoriamo anche a stretto contatto con Artematica, i nostri staff a volte si contattano senza che neanche lo sappiamo, e ci scambiamo le esperienze con il middleware.
Se avessimo un grosso lavoro, più grande di noi, non avremmo problemi a condividere l’esperienza con un altro studio di sviluppo italiano. Sarebbe interessante…

Pessino: Non sono molto competente del mercato italiano, ma voglio dare un consiglio a chi ci lavora. Mi vengono in mente Ubisoft o Infogrames che hanno costruito la loro fortuna presentando prodotti alla loro maniera, creando personaggi e meccaniche tarate sul modo francese di intendere i videogame e l’intrattenimento. Questa è stata la loro mossa giusta.
In Italia abbiamo una tradizione culturale, storica, che tutti ci invidiano. Non ho mai visto però un videogioco italiano che sfruttasse tutto questo bagaglio in alcun modo.

Cangini: Da parte mia posso dire che nessuno qui ha iniziato con l’idea di fare soldi, ma solo con la passione e l’idea di fare videogames. Questo è quello che ci ha spinto e, secondo me, quello su cui devono continuare a puntare i giovani e tutti quelli che vogliono inserirsi in questo settore in Italia.

Genovesi: Ci serve un sistema fiscale che aiuti l’industria dei videogames. Il governo aiuta i film sovvenzionando la produzione indipendente, ma non fa lo stesso con i videogiochi. Se consideriamo che un gioco viene fruito da molti più utenti di un film indipendente, è assurdo. Se vengono creati prodotti di gran qualità, lo stato ci darà attenzione e arriveranno i fondi.

Crugliano: Il problema è che i giovani non hanno più la cultura dell’imprenditoria, manca la voglia di rischiare per la propria passione…

Genovesi: …ma il sistema italiano non aiuta lo sviluppo come ad esempio si fa negli Usa.

Crugliano: Lo so, lo stato tassa anche i soldi delle produzioni..

Vagliasindi: Certamente il governo dovrebbe aiutare lo sviluppo, come ad esempio è successo in occasione della convention di Lipsia, dove il governo ha sovvenzionato le software house francesi che dovevano lanciare il primo prodotto.

[qui Rickards ha dovuto interrompere perchè il tempo a disposizione era terminato]

 

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