Death Stranding: verso la recensione – Z come…
Tutte le ispirazioni, reali e presunte, del titolo di Kojima Productions... con la Z
Sì, sappiamo che mancano ancora diversi giorni all’uscita di Death Stranding e alla nostra recensione, ecco perché abbiamo voluto creare questa serie di editoriali per stuzzicare qualcosa insieme prima del lauto e strano pasto che sicuramente Death Stranding ha in serbo per noi.
Dopo un contenuto che si chiama Volume “A” vi aspettereste, doverosamente, il Volume “B”, ma Death Stranding parla di connessioni, di ponti che si creano, di nuovi modi di ricongiungere realtà distanti: quale modo migliore per riconnettere gli elementi di un abbecedario d’influenze come questo se non quello di partire dagli estremi, più precisamente quelli dell’alfabeto (inglese), per avvicinarsi al suo centro, e con esso alla recensione di Death Stranding?
In piena coerenza a questo folle ma originale pensiero, ecco il Volume “Z”.
Z come Zero
Sì, intendiamo il numero e si sta nuovamente parlando di musica. “0” è il nome dell’album di Low Roar del 2014, una raccolta di canzoni da cui Kojima ha pizzicato ben due brani, “I’ll Keep Coming” nel teaser trailer di Death Stranding durante l’E3 2016 e “Easy Way Out” in occasione del PSX 2016 dello stesso anno.
Low Roar è un progetto musicale nato in Islanda nel 2011, creato dallo statunitense Ryan Karazija, già conosciuto ad alcuni ma arrivato all’attenzione di molti grazie a un tweet proprio di Kojima, risalente al Dicembre 2016.
Se osservate l’immagine, potrete notare che nella dedica in alto a sinistra Ryan scrive
Hideo, let me write more music for you
Il punto è che al momento dell’arrivo del tweet non si sapeva nulla riguardo a una collaborazione fra Kojima e Low Roar, e l’immagine allegata è stata volutamente messa lì per comunicarci qualcosa.
Analizziamo velocemente i testi delle due canzoni che vi abbiamo citato all’inizio, partendo da “I’ll Keep Coming”, quarta traccia dell’album.
Prima ancora del testo, anche il titolo in sé può evidenziarsi connesso a una delle meccaniche più innovative di Death Stranding, della quale abbiamo parlato anche nel Volume “A”: la superficialità della morte, resa inutile dalla capacità di poter tornare (“coming back“) dal purgatorio in cui la dipartita ci fa ritrovare.
Soon i’ll come around / Lost and never found
[…]
Seen but never heard / Buried underground
Siamo di nuovo di fronte a riferimenti alla morte, ma questa è posta in netta antitesi con la pesantezza morale di un “Essere” vissuto nell’invisibilità: è nella vita che siamo persi, senza meta né apparente valore, visti ma non sentiti; siamo ombre dell’esistenza, seppelliti dalla nostra ininfluenza in vita e liberati solo dalla morte, pacifica transizione tra due vite terrene successive, involontari hikikomori di una società talmente fratturata e disconnessa da essere persa persino in sé stessa.
Quel “I’ll Keep Coming” è reiterato ben 16 volte nel chorus finale, in un loop armonico che vede la sublimazione routinaria di un atto estremo come la morte, reso quasi redentorio e intimamente liberatorio nella sua ripetitività.
“Easy Way Out” ci mette sulla stessa direzione ma al verso opposto, in groppa a un citazionismo non diretto a Death Stranding ma a un’altra opera di Kojima, collaborazione con Guillermo Del Toro apparentemente stroncata sul nascere.
Sì, stiamo parlando di Silent Hills e di P.T., il suo “playable teaser”. Per tutti quelli che hanno potuto scaricarlo e provarlo, forse ricorderete la trasmissione radiofonica che proveniva dalla radio nel corridoio, quella che parlava di un padre che, in un raptus di follia, uccise la sua intera famiglia, compresa la moglie incinta Lisa, per poi impiccarsi nel garage.
P.T. ci vedeva proprio nei panni di questo padre, intrappolati in un labirintico loop di corridoi in fuga da Lisa e dalle nostre stesse colpe. Tematica che, con il senno di poi, aderiva perfettamente al modus sum della saga Silent Hill. Dove sta il collegamento fra Death Stranding, P.T. e “Easy Way Out”? Proprio nell’impossibilità di espiare questa enorme insuperabile colpa, l’omicidio della moglie Lisa.
Del Sam di Death Stranding si sa davvero poco, ma in uno dei trailer abbiamo potuto scorgere una foto che lo ritrae con una donna incinta il cui volto, sulla fotografia, era rovinato tanto da renderla irriconoscibile; la “macchia”, stranamente, si concentrava attorno al suo occhio sinistro, lo stesso occhio che mancava a Lisa in P.T., sia nelle fotografie – sbiadite o rovinate nello stesso punto di quella osservata in Death Stranding – che “dal vivo”, proprio sul volto dello spirito della moglie uccisa.
Non è un po’ troppo specifica per essere solo una coincidenza? Forse
The mistake i’ve made,
It can’t be turned around
si riferisce proprio all’omicidio della moglie, e il
I took the easy way out
al fatto che Sam si sia tolto la vita dopo aver massacrato la moglie incinta? Se fosse vero, confermerebbe un profondo contatto fra quello che era P.T., quello che poteva essere Silent Hills e quello che sarà Death Stranding.
Chi sarebbe davvero sorpreso che Kojima avesse elaborato un qualcosa di così complesso da riuscire comunque nell’intento di creare un gioco con il feel di Silent Hill ma senza l’obbligo (o la possibilità) di portarne il nome?
Chiaramente Death Stranding presenta tanti elementi che ci farebbero pensare il contrario, ma potrebbe far parte di un complesso gioco di specchi di Kojima, considerando che molti degli asset che avrebbe dovuto usare per Silent Hills sono ancora nei ranghi di Death Stranding, art director e Norman Reedus compresi.