Death Stranding: verso la recensione – A come…
Tutte le ispirazioni, reali e presunte, del titolo di Kojima Productions... con la A
Death Stranding è quasi nelle mani di tutti, non mancano che una manciata di giorni. In attesa della recensione e di tutta la copertura post-lancio che il titolo richiederà, abbiamo deciso di accompagnarvi lungo il cammino verso quel fatidico 8 Novembre con una sorta di abbecedario di tutte le influenze di Death Stranding, dirette o indirette.
Alcune sono frutto di teorie, altre sono ovvi sequitur di tweet diretti di Kojima o notizie confermate da gameplay e immagini; in qualunque caso, cintura ben stretta e si va.
A come Alan
Iniziamo con una delle ispirazioni più indirette di queste prime battute, la figura tanto controversa e inafferrabile che porta il nome di Alan Turing.
Il modus nel quale la persona di Turing e le sue teorie possono influenzare Death Stranding va argomentato su due livelli, uno di diretto riferimento e uno invece di ipotetica contaminazione indiretta. Quando Kojima Productions si è mostrata al mondo per la prima volta tre anni fa, lo ha fatto mettendo sul palcoscenico quello che era ed è la sua figura centrale, quel Ludens che dà logo e volto al game studio di Kojima: fra i tanti particolari dell’ECAs (Extra-vehicular Creativity Activity Set) che Ludens indossa, dobbiamo soffermarci sui dischi dorati di varie dimensioni che vi compaiono con frequenza; se il loro colore ha, almeno in parte, una motivazione che scopriremo in uno dei prossimi editoriali, è nella loro forma che troviamo un chiaro riferimento alla macchina di Turing.
Essa altro non è che uno strumento ideale in grado di elaborare i dati contenuti in un nastro secondo delle regole predefinite; questa macchina teorica è essenzialmente capace di eseguire algoritmi complessi utili a definire i limiti del calcolo meccanico stesso.
È curioso questo riferimento a Turing, soprattutto considerando che Kojima considera Ludens come il prossimo step dell’evoluzione dell’essere umano; spesso, associato al logo, si può trovare la frase “From Sapiens to Ludens”, indicativa proprio di questo percorso evolutivo apparentemente in progress. Uno dei concetti ideali a cui Turing è più spesso associato è il test di Turing, utile a mettere alla prova la capacità di pensare di una macchina, in particolare interagendo con essa senza sapere di avere a che fare, appunto, con un costrutto, meccanico o artificiale che sia.
Turing ipotizza che, nel momento in cui una macchina arriverà a essere considerata indistinguibile da un essere umano, bisognerà attribuirgli la capacità di pensare esattamente come noi; quella di Kojima sembra più una missione mossa dalla certezza che un’altra evoluzione, in questo caso la nostra, sia già in atto.
Siamo forse noi gli Homo Ludens, già involontari protagonisti del Kojima Homo Faber?
A come Asylum
Più precisamente, andiamo ad analizzare “Asylum for the Feelings”, canzone dei Silent Poets.
Kojima si è trovato a incontrare il gruppo elettronico in un albergo in Giappone e, appena sentita la canzone, immaginò Sam camminare nel deserto. Considerando che la canzone è stata composta in un contesto isolato da Death Stranding, cercare in essa richiami a quest’ultimo potrebbe sembrare inutile, ma vogliamo fidarci del subconscio di Kojima.
I riferimenti al mood generale del titolo sono tutti concentrati in quel “silent, faulty feeling”, quel senso di pace che si può percepire anche nel vagare di Sam nel primo trailer di gameplay presentato al Tokyo Game Show 2019, pace che è però annebbiata, opaca, offuscata, ovattata come a nascondere qualcosa (o qualcuno) che ci osserva costantemente, che analizza ogni nostra mossa, una paura ancestrale più paragonabile a un’opera lovecraftiana che a una tradizionale eerieness alla Kojima
È interessante invece quel “Ran out of all the meaning / It’s hard to fall believing”: “fall“ significa “cadere”, certo, ma è facile che l’intransitivo si riferisca al morire, atto che in Death Stranding, a differenza di altri giochi e della vita vera, è ormai un atto quasi senza significato, almeno per Sam; sì, la sua dipartita creerà un enorme cratere di distruzione, ma Sam si ritroverà in un purgatorio subacqueo che, una volta attraversato, lo riporterà dov’era quand’è morto.
Il sonno eterno non ha quindi quasi più alcun peso e morire nella “certezza” di poter tornare forse è come non morire mai davvero, ergo quel “Ran out of all the meaning”.