Red Dead Redemption 2: Il buono, il brutto e il bruttissimo
Red Dead Redemption 2 non è solo uno straordinario videogioco ma è anche, e soprattutto, un racconto profondo sorretto da personaggi indimenticabili.
Durante le centinaia di ore passate in compagna di Arthur Morgan e dell’incredibile universo di Red Dead Redemption 2, mi è capitato di riflettere su diverse questioni. La più importante, o comunque quella che ha destato in me un maggior interesse, è senza dubbio quella legata alla caratterizzazione dello splendido cast imbastito dai ragazzi di Rockstar Games: un cast ricco, sia quantitativamente sia, e soprattutto, qualitativamente. Dutch, Mr. Hosea, Charles, Sadie, Abigail, Micah e persino il piccolo Jack, sono personaggi scritti a regola d’arte e che non hanno niente da invidiare al protagonista Arthur Morgan o al protagonista del primo capitolo della saga, che anche qui ritorna con forza, John Marston.
Le loro storie, il loro background narrativo, i loro atteggiamenti, sono talmente ben realizzati e perfettamente contestualizzati da rendere quasi impossibile l’attribuzione dell’appellativo “comprimari” accanto al loro nome. Risulta così lampante e chiaro come il sole che, anche sotto questo aspetto, Red Dead Redemption 2 ha saputo rappresentare un nuovo standard qualitativo per il genere – ma non solo – a cui è impossibile rimanere impassibili. Può un videogioco raggiungere una tale perfezione sotto il profilo del character design? La risposta è sì, e ve ne voglio parlare apertamente, basandomi su quelle che sono la mia esperienza personale, il mio gusto e le mie attitudini morali.
Non chiamateli comprimari
Tanti personaggi si affacciano, in modo più o meno importante, sullo sfondo del vasto racconto studiato con cura dai ragazzi di Rockstar. Prima di cominciare a entrare nel dettaglio, però, è giusto fare una doverosa precisazione: tranne che per qualche rarissima eccezione, tutte le azioni dei vari personaggi sono votate quasi esclusivamente al proprio interesse. Si tratta, sostanzialmente, di “canaglie” nel senso stretto della parola: individui che, durante la giornata, pensano solo e soltanto a portare a casa la pelle, anche a scapito di altri e, perché no, a guadagnare qualche soldo per poterlo poi spendere in alcool, donne e piaceri vari. Quasi nessuno agisce per il benessere altrui, e anche quelle che possono sembrare a primo acchito azioni spinte da altruismo quasi sempre nascondono un egoismo di fondo, che la fa da padrone.
La banda di Dutch ovviamente non fa eccezione e, anzi, porta alta questa bandiera con estrema convinzione, fino a diventarne l’emblema. Giorno dopo giorno, azione dopo azione, tutti loro mettono a nudo sempre di più la loro vera natura, finendo per coinvolgere nelle loro azioni tutti – o quasi – coloro che li circondano. È il caso ovviamente di Dutch van Der Linde, capo della banda e mentore, maestro, quasi un padre per praticamente tutti i membri della banda stessa. Dutch è un uomo che, sulle prime battute, sembra mosso da principi morali ben precisi; pur sempre disonesti, certo, ma mai sopra le righe o comunque apparentemente altruistici e, per certi versi, sensati.
In ogni caso, ci troviamo di fronte a un personaggio scritto veramente ad hoc, che nell’arco di tutta la storia non rinuncia mai alla propria personalità, al netto di tutti gli eventi che si susseguono, anzi rimarcandola sempre di più, dando vita a dubbi amletici nella mente del buon Arthur, costantemente alla ricerca di una risposta alla domanda “è sempre stato così o lo è diventato?”.
L’onore e il grilletto
Pur non avendo la stessa parlantina e, perché no, lo stesso carisma del vecchio Dutch, tanti altri protagonisti di Red Dead Redemption 2 sono rappresentati in modo altrettanto magistrale. È il caso di uomini come Mr. Hosea e Charles Smith, se vogliamo i primi a “ribellarsi” a Dutch stesso e, di conseguenza, quelli più vicini a quella che è la concezione del mondo che lentamente si annida nella mente di Arthur.
Proprio quest’ultimo si dimostra molto legato ai due, a causa anche della loro indole nettamente diversa dalla belligerante e insaziabile mentalità dei Dutch, Micah, Bill e Javier vari. Lo stesso Hosea, il più anziano del gruppo, per esempio, è stato il primo a voler cercare di offrire una via d’uscita diversa alla propria combriccola, senza però riuscire mai a convincere Dutch e senza mai riuscire a farlo rinsavire, anzi. La triste fine di Hosea stesso, probabilmente, è la chiave di volta per la metamorfosi di Mr. Van der Linde, in verità molto legato al gentile e cordiale compare di tante scorribande. Mr Hosea ha anche un rapporto speciale con Arthur, essendo questi due personaggi accomunati anche da un triste destino comune. Anche il signor Smith si distingue per un’impronta morale nettamente diversa dal resto della banda. Nel corso della storia tutto questo crescerà in modo esponenziale, quando la sua natura verrà fuori in modo completo e senza compromessi.
A questi si aggiunge, ovviamente, anche il buon John Marston. Quelli che hanno sviscerato il primo Red Dead Redemption non avranno alcun problema a capire il perché, ma ci tenevo comunque a sottolinearlo. In questo secondo Red Dead Redemption John risulta ancor più magistrale, grazie anche alla possibilità di assistere alla curva di evoluzione di cui si rende protagonista. Inizialmente, un John molto più giovane e “spensierato” risulta quasi impossibile da sopportare, per poi crescere nel modo migliore possibile, finendo col diventare colui che abbiamo imparato a conoscere e ad amare.
Donne… in cerca di guai
Red Dead Redemption 2 è anche il trionfo, passatemi la precisazione alquanto “sessista”, delle donne, rappresentate forti, sicure e mai dome. Questa è una mossa molto coraggiosa se si tiene presente il periodo storico in cui il titolo è ambientato. Spicca su tutte la bella bionda Sadie Adler, apparsa inizialmente come una donzella da salvare e che, alla fine, si rivela molto più “cazzuta” di buona parte dei suoi “colleghi” coi pantaloni.
Nel corso dell’avventura principale – e non solo, ma non dico il perché – si assiste all’esplosione di un vero e proprio fenomeno, una figura tanto carismatica quanto affidabile, che riesce a distinguere il bene dal male, il giusto dallo sbagliato, e a fare, di conseguenza, le scelte giuste al momento giusto. Non soltanto Sadie, però, porta avanti la causa del “gentil sesso”: anche la bella Abigail Roberts, compagna di John e mamma del piccolo Jack, sa e saprà farsi valere dall’inizio alla fine, seppur anche nel suo caso con una curva evolutiva da seguire e non sempre impeccabile. Nelle fasi finali, comunque, Abigail si rivela quasi decisiva, dando un vero e proprio calcio a tutti i luoghi comuni che la sua smilza figura potrebbe lasciar trasparire a primo acchito. Alla bionda e alla mora si aggiungono altre le altre donne della banda, tutte utili, ottimamente caratterizzate e più o meno rilevanti dall’inizio alla fine dell’avventura. Come non ricordare, ad esempio, i lunghi confronti con la dolce Mary-Bett (secondo me invaghita di Arthur), la giovane Tilly o la “cazzutissima” Mrs. Grimshaw?
L’odio è il profumo della vita
Non poteva mancare, infine, l’analisi di quei personaggi più odiosi. Quelli che, a dirla tutta, non ho mai digerito sin dalle primissime battute. Ci ho visto giusto, ad esempio, su Micah Bell: un tipo odioso – penso per chiunque – e che sin dall’inizio della storia ha suscitato in me un profondo sentimento di disgusto e disprezzo. Non dimentichiamoci ad esempio che Micah, proprio nelle battute iniziali, voleva anche abusare di Sadie, nella missione in cui poi la bella pistolera è entrata a far parte della gang.
Nonostante questo, Micah è un cattivo coi fiocchi: spietato, traditore, subdolo e ricco di sorprese, ovviamente tutte negative. Discorso molto simile per Bill Williamson e Javier Escuella, entrambi subito accodatisi al duo Micah-Dutch. Se il buon Javier risulta comunque taciturno e “serio” quanto basta, lo stesso non si può dire di Bill, che appare subito come una testa calda, fautore di numerosi errori che spesso e volentieri finiscono per mettere nei guai l’intero gruppo. Anche stavolta, però, ci troviamo di fronte a personaggi rappresentati splendidamente, nel bene o, in questo caso, nel male.
E lasciatemi fare un appunto finale sui veri “eroi” di questa storia: Zio e il nostro cavallo. Il buon vecchio Zio è un uomo inutile come un ombrello in piena estate, ma è veramente impossibile non amarlo. Come è impossibile non ricordare con commozione il fiero destriero che ci ha accompagnato in questa lunghissima avventura e che, proprio sul finale, ci saluta con due occhi tanto enormi quanto tristi. Una scena struggente, ma che riassume perfettamente l’incredibile poesia che i ragazzi di Rockstar Games hanno scritto con tanto amore.