Psicologia e videogame: in principio… Il Gioco
Il videogame come attività ludica rappresentativa della rivoluzione digitale.
Se vi chiedessimo di andare indietro con la memoria fino alla vostra infanzia e ancora più indietro, fino al vostro primo ricordo piacevole, siamo sicuri che ciò che affiorerebbe con naturalezza, sarebbe il ricordo di voi intenti a giocare. A giocare da soli, con il vostro giocattolo preferito, con i vostri genitori, fratelli cugini, amici…
Il gioco rappresenta gran parte dei ricordi legati all’infanzia, perché costituisce l’attività attraverso la quale i bambini cominciano ad avere esperienza del mondo che li circonda.
Attraverso il gioco, infatti, il bambino incomincia a comprendere come funzionano le cose: che cosa si può o non si può fare con determinati oggetti, si rende conto dell’esistenza di leggi del caso e della probabilità e di regole di comportamento che vanno rispettate. L’esperienza del gioco insegna al bambino ad essere perseverante e ad avere fiducia nelle proprie capacità; è un processo attraverso il quale questi diventa consapevole del proprio mondo interiore e di quello esteriore, incominciando ad accettare le legittime esigenze di queste sue due realtà. Maria Montessori, definisce il gioco, come “Il lavoro del bambino”.
Giocare è, allora, un’attività umana fondamentale, da sempre esistita in ogni tempo e in ogni luogo, presente durante tutto l’arco di vita: una volta al mondo, un essere umano non smette mai di giocare. Huizinga, storico del novecento, nel suo saggio Homo ludens (1939) definisce in questo modo il gioco:
“il gioco è un’azione, o un’occupazione volontaria compiuta entro certi limiti definiti di tempo e di spazio, secondo una regola volontariamente assunta, e che tuttavia impegna in maniera assoluta, che ha un fine in se stessa; accompagnata da un senso di tensione e di gioia, e dalla coscienza di ‘essere diversi’ dalla vita ordinaria” (Huizinga, p. 35)
Jean Piaget, e Lev Vygotskij, i maggiori teorici della psicologia dell’età evolutiva riconoscono al gioco una funzione centrale nello sviluppo della mente degli esseri umani. Piaget analizza e osserva il modo in cui, attraverso il gioco, si sviluppa e si evolvono l’intelligenza e la cognizione umana; Vygotskij critica le visioni del gioco come attività non finalistica e non produttiva in quanto, seppur atto totalmente gratuito, considera il gioco anche come forza attiva per l’evoluzione affettiva ed emotiva, costituendo un eccezionale elemento di crescita e di definizione della struttura di personalità in tutti i suoi aspetti.
Appare evidente, a questo punto, che il gioco svolge molteplici funzioni, toccando molteplici aree nella crescita di un individuo. Il gioco, infatti, contribuisce a sviluppare e a mantenere attive:
- La capacità senso motoria
- Le capacità simboliche e fantastiche
- Le capacità cognitive e di apprendimento
- Le capacità comunicative e metacomunicative
- Le aree affettiva ed emotiva
- Le capacità relazionali
Alle caratteristiche magistralmente descritte dai teorici è possibile a nostro avviso aggiungerne altre che, chiunque e in maniera del tutto spontanea, sperimenta ogniqualvolta si approcci ad una attività ludica di qualsiasi tipo, e che possiamo esprimere a parole esprimere facendoci la seguente domanda: “perché giochiamo?“
Il gioco è libertà
Il gioco è piacere
Il gioco è coinvolgente
Il gioco è auto motivante
Il gioco è un’avventura.
Quando gioco io posso essere me stesso ed esprimo me stesso
“…l’uomo è pienamente tale solo quando gioca”, diceva Schiller, filosofo tedesco, perché si ritrova e si conosce: giocando, infatti, ogni individuo riesce a liberare la propria mente da contaminazioni esterne – come ad esempio il giudizio altrui – e ha la possibilità di scaricare le proprie istintualità ed emotività.
Se il gioco è elemento fondamentale per la vita degli esseri umani, è un fatto imprescindibile che le persone nascono e crescono all’interno di società complesse. Appare evidente il forte legame e la stretta connessione tra gioco, cultura e società. Attraverso il gioco, infatti, la società mostra i propri valori dominanti, permettendo di condividerli e metterli in atto proprio poiché, attraverso il gioco, vengono costruiti simboli e vengono veicolati messaggi di valore etico e morale che, spesso, connotano la cultura e lo sviluppo tecnologico ed economico di una determinata società. Basti pensare ai giocattoli presenti in tutte le epoche della cultura umana, e a giochi antichissimi come gli scacchi e i giochi di carte, arrivati fino ai giorni nostri dall’epoca medievale e i cui progenitori affondano le loro radici già all’epoca degli Assiri e dei Babilonesi.
Tenendo in considerazione quanto appena espresso, qual è l’attività ludica maggiormente rappresentativa del momento storico che stiamo attraversando? Non c’è alcun dubbio: ci stiamo ovviamente riferendo al videogioco.
Il Videogame
La rivoluzione digitale ha segnato un momento di forte discontinuità rispetto al passato, accompagnando gli individui nati dopo gli anni Novanta del secolo scorso lungo percorsi esperienziali, psicologici e culturali assolutamente innovativi (Palfrey e Gasser, 2010).
Con l’espressione Nativi Digitali lo scrittore americano Mark Prensky definisce una generazione di persone che non ricorda e non ha possibilità alcuna di rievocare un mondo caratterizzato dall’assenza della tecnologia digitale.
Oggi la tecnologia digitale è parte integrante della nostra quotidianità. L’utilizzo dei nuovi media orienta i processi di conoscenza, scoperta, esplorazione e modificazione della realtà stessa. La tecnologia agisce su chi siamo, su chi dobbiamo o vogliamo essere, generando nuovi spazi e tempi, plasmando nuovi corpi e molteplici identità, questa volta soggetti alle regole di una generazione digitale.
Compare così un idioma prima sconosciuto: la lingua digitale (Prensky, 2001b) intesa come una nuova comunità di pratiche, un sistema di apprendimento esteso, aperto e in continua evoluzione (Bonazzi, 2008). In questa nuova realtà si è gradualmente inserita anche la generazione adulta. Prensky parla a questo proposto di Immigrati Digitali. Essi non sono nati e cresciuti in un mondo digitalizzato, ma lo hanno incontrato, per necessità o passione, in una fase avanzata della propria vita.
Oggi, nativi digitali ed emigrati digitali vivono nell’esplorazione quotidiana della virtualità che è possibile definire sondo tre livelli di peculiarità:
- Virtualità socio-espressiva. È il mondo del Web 2.0 fatto di social network, blog e forum. Qui le persone possono conoscersi ed entrare a far parte di una comunità, ma anche esprimere le proprie idee e renderle immediatamente disponibili a tutti gli utenti del Web.
- Virtualità ludica. Virtualità e divertimento sono sinonimi di entertainment: videogiochi in single player (come The Legend of Zelda: Breath of the Wild oThe Witcher 3: Wild Hunt ) televisione e cinema ne sono le esemplificazioni più lampanti.
- Virtualità ibrida. Si tratta di uno spazio in cui le due forme precedenti di virtualità convergono. Accanto a una componente sociale ed espressiva, qui la virtualità assume una forte valenza ludica. È il caso di videogiochi multiplayer come World of Warcraft o Fortnite, i cui protagonisti condividono la stessa esperienza di gioco anche se a migliaia di chilometri l’uno dall’altro.
Questi differenti aspetti della virtualità oggi rappresentano una parte costitutiva della realtà degli esseri umani (nativi ed emigrati digitali) intendendo per realtà quell’insieme di esperienze emotive, sensoriali e relazionali interiorizzate che definiscono il senso della continuità ed integrazione del Sé.
Avere esperienza del mondo che ci circonda, oggi, significa porsi in un continuo dialogo tra tangibilità e virtualità ove la realtà è costituita dall’integrazione costante tra queste due istanze.
Il videogioco possiede tutte le caratteristiche psicologiche del gioco umano e le espande in maniera indefinita: un mondo senza confini che unisce persone di qualunque genere, cultura, etnia ed età; nativi e migranti digitali. Per tale motivo, tra le diverse esperienze che la virtualità può offrire, costituisce quella che esercita maggiore fascino, e quella che necessita maggiore studio e riflessione. Affinché, nel nostro continuo viaggio quotidiano tra tangibilità e realtà, da cui derivano percorsi esperienziali estremamente coinvolgenti, possiamo esplorare orizzonti nuovi, ricchi di vita e relazioni rigeneranti, piuttosto che lande di solitudine desolate e patologizzanti.