Psicologia e videogame – I videogiochi fanno bene?
Breve introduzione sul legame tra videogame e processi cognitivi.
I videogiochi sono uno strumento che ci permette di entrare in contatto con altri universi. Grazie ai supporti tecnologici è quindi possibile sperimentare qualcosa che va ben oltre il mondo reale. È come quando si legge un libro appassionante ma lo stesso effetto si può provare quando si ascolta della musica oppure si guarda un film. Allo stesso modo attraverso i videogiochi si può entrare in contatto con degli universi paralleli ma soprattutto si può vivere questa esperienza in modo più coinvolgente e personale. I videogiochi hanno questa forza.
Kazunori Yamauchi, Autore di Gran Turismo Sport
È la notte del 24 ottobre, il tuo reparto di incursione è inviato a interrompere il flusso di gas operato dai terroristi presso una sperduta regione dell’est Europa. Salti giù dall’elicottero. L’autunno a quelle latitudini è fatto di umido e nebbia, la visibilità ridotta all’osso. Fortunatamente possiedi il migliore equipaggiamento di cui la guerra moderna può dotarti, compreso un visore a raggi infrarossi e un collegamento audio e video con il comando centrale. “Nessun incidente diplomatico con i russi!”, questo è l’ordine perentorio del quartier generale, bisogna sincerarsi che nella stazione di rigasificazione non sia presente l’esercito russo. Due sentinelle si avvicinano mentre silenziosamente avanzate nel bosco. Senti le loro voci e intravedi tra gli alberi il bagliore delle luci montate sui fucili d’assalto. Nessuna uniforme d’ordinanza: mercenari probabilmente. Spari con il silenziatore e ti avvicini all’obiettivo da una posizione sopraelevata. Il monocolo localizzatore permette di individuare i nemici da lontano: nessun soldato russo presente nella stazione, Bene! Puoi richiedere un intervento aereo. Il bombardamento alleato distrugge parzialmente la base, bisogna avanzare con tutta squadra, è necessario raccogliere le prove del traffico di gas ed eliminare i mercenari.
Fumo, nebbia, fuoco ed esplosioni. Irrompete alla cieca. I nemici cominciano a sparare dalle loro posizioni, impossibile vederli nettamente. È necessario trovare un riparo (un camion, o l’angolo cieco di un edificio), mirare intuendo le linee di tiro dei loro fucili d’assalto, se possibile usare il mirino telescopico in dotazione e avanzare verso la posizione indicata dal radar tra le urla dei mercenari, le fiamme, le esplosioni, le istruzioni audio dal comando e le indicazioni dei tuoi compagni.
Questa scena poc’anzi descritta rappresenta i primissimi minuti di gioco del recentissimo Call Of Duty: Modern Warfare ultimo capitolo della famosissima saga di FPS della Infinity Ward.
In poco meno di tre minuti, siamo stati testimoni di un bombardamento aereo, sono stati sparati centinaia di colpi e abbiamo ucciso direttamente almeno cinque uomini. Semplice violenza allo stato puro verrebbe da dire, esattamente la stessa violenza che possiamo osservare in capolavori del cinema di guerra. Pensate ai primi minuti di Salvate il soldato Ryan di Spielberg o il più recente Dunquerque di Christopher Nolan. Nel nostro caso però il punto di osservazione muta radicalmente. Nel videogioco siamo noi i protagonisti dell’azione.
Proviamo a osservare questi momenti in maniera analitica, focalizzando le abilità necessarie a “sopravvivere” a questi primi minuti di gioco: pensiamo alla velocità dell’azione nella quale siamo catapultati. Allo scopo di fronteggiarla in maniera efficace il videogiocatore deve essere dotato di un’ottima coordinazione oculo-manuale e di una grande destrezza nell’uso del controller o della tastiera. La concentrazione è rivolta completamente al gioco e non può disperdersi nell’osservazione o nella ricerca dei tasti. Occorre che siano premuti in modo automatico: solo in questo modo le intenzioni del giocatore possono rapidamente trasformarsi nelle azioni all’interno del gioco. Tali condizioni, sebbene necessarie, non sono però sufficienti in un gioco come questo. Il giocatore deve infatti dimostrarsi capace di gestire ambienti complessi, ricchi di elementi di distrazione (le esplosioni, il fuoco, la nebbia, le urla dei nemici), di possibili fonti di pericolo (come la presenza dei soldati nemici), ma anche di opportunità di difesa e attacco, muri e angoli ciechi per proteggerci dal fuoco avversario. Il livello di attenzione deve poi essere mantenuto su piani particolarmente alti, per favorire l’abbassamento dei tempi di reazione e una velocità di esecuzione che sia il più rapida possibile. Altre abilità fondamentali consistono nell’essere capaci di tenere sotto controllo più elementi nello stesso tempo (per esempio, il radar, le munizioni, l’ambiente di gioco nel suo complesso) e la capacità di selezionare l’alternativa più efficace alla luce delle particolarità della situazione (per esempio, l’uso del mirino telescopico). Fondamentali sono infine le competenze psicologiche estremamente complesse, come la capacità di anticipazione degli eventi, l’abilità di gestione degli imprevisti e la facoltà di prendere decisioni sotto pressione.
Tutte queste competenze possono essere messe in pratica grazie una attenta gestione delle emozioni scatenate dall’attivazione fisiologica conseguente ai livelli di adrenalina che automaticamente vengono prodotti dal nostro corpo. Gli aspetti osservati caratterizzano costantemente la nostra vita lavorativa e personale. Aspetti che un videogioco è capace di sollecitare all’unisono in pochissimi secondi. Il videogioco, analizzato in questi termini, costituisce allora un fenomeno complesso in costante dialogo con la mente dell’individuo, con il suo cervello e con i processi che ne connotano il funzionamento. La possibilità di ricevere sollecitazioni tanto complesse favorisce inevitabilmente una significativa possibilità di apprendimento per la mente e per i processi cognitivi ed emotivi che si dispiegano al suo interno (Anolli e Mantovani, 2011). Secondo la comunità scientifica e in particolare, la neuropsicologia e le neuroscienze con la locuzione processi cognitivi, si intendono quelle particolari funzioni della mente che ci ci consentono di percepire il flusso di informazioni che scorre incessantemente nell’ambiente, di selezionare alcuni fra i numerosissimi stimoli che in esso sono presenti, di organizzarli in memoria, modificarli e infine riutilizzarli al momento opportuno, guidando e regolando ogni istante della nostra vita. Un mosaico plurisfaccettato di processi, funzioni e modalità operative in relazione continua con la realtà esterna, che plasmano mente e cervello, secondo un processo di evoluzione costante presente in ogni individuo.
Secondo una classificazione ormai divenuta classica nella letteratura scientifica, è possibile suddividere i processi cognitivi in quattro funzioni fondamentali:
- Funzioni Ricettive: suddivise a loro volta in Percezione e Attenzione;
- Funzioni Espressive: la parola, sia essa orale o scritta, la rappresentazione grafica, i movimenti del corpo, le espressioni del volto e la gesticolazione;
- Memoria: classificata in Working memory e Memoria a lungo termine;
- Pensiero.
Nel corso degli ultimi anni sono stati effettuati degli studi scientifici intesi a studiare l’effetto dei videogiochi sulle performance dei processi cognitivi. Per quel che concerne gli studi sulle Funzioni Ricettive confrontando i videogiocatori esperti (hard gamers), amanti dei titoli d’azione, con persone non abituate a utilizzare i videogame (casual gamers), si è osservato come i primi dimostrino delle capacità attentive più sviluppate rispetto ai secondi con particolare riguardo alla capacità di:
- Risoluzione spaziale (Boot et al., 2008; Green e Bavelier, 2003, 2006). Essendo abituata ad ambienti a elevata complessità, l’attenzione dei videogiocatori è messa in difficoltà in misura molto minore da possibili interferenze, riuscendo a identificare agevolmente la stimolazione ricercata. I videogiocatori esperti sono, per esempio, meno soggetti al fenomeno del crowding (sovraffollamento): a differenza dei casual gamer sono, infatti, significativamente più abili nell’identificazione di un oggetto accostato a una serie di elementi di disturbo;
- Enumerazione (Dye, Green e Bavelier, 2009). L’attenzione dei videogiocatori si è dimostrata superiore a quella dei non giocatori anche in compiti di enumerazione in cui si chiedeva ai fruitori di identificare con un singolo sguardo il numero di oggetti presenti nello spazio;
- Risoluzione temporale (Green e Bavelier, 2003). I videogiocatori sono capaci di processare con maggiore attenzione un elevato numero di elementi presentati in rapida successione, gestendo l’allocazione delle risorse cognitive in modo prolungato e costante nel tempo.
Green e Bavelier (2003) hanno chiesto a due gruppi di casual gamer, di età compresa fra i 18 e i 23 anni, di dedicare, per dieci giorni consecutivi, un’ora del proprio tempo libero a Medal of Honor o a Tetris.
I risultati sono stati sorprendenti: al termine dei dieci giorni tutti i soggetti hanno dimostrato un significativo miglioramento delle proprie capacità attentive, specie in compiti di enumerazione, nella capacità di mantenimento dell’attenzione nel corso del tempo e nella quantità di risorse allocabili. Il ricorso costane a tali processi nell’interazione con i mondi virtuali ne favorisce una possibilità di miglioramento non limitata alla sfera dei videogiochi, ma trasversalmente utilizzabile nella nostra esperienza sul reale. Uno degli aspetti più lampanti del comportamento videoludico degli hard gamer coincide con la loro abilità nell’utilizzo dei dispositivi che consentono di interagire con la piattaforma di riferimento. Le mani si muovono con velocità, sicurezza e scioltezza su tastiere e joypad, descrivendo combinazioni di tasti estremamente complesse Questa esperienza si traduce ben presto in un livello di destrezza manuale molto avanzato, in tempi di reazione più bassi e in una miglior livello di coordinazione occhio-mano.
Tali competenze, che attengono alle Funzioni Espressive non risultano utili soltanto nell’utilizzo dei videogiochi, ma anche in numerosi ambiti della nostra vita. Pensiamo al mondo della medicina. Molti degli interventi di ultima generazione vengono oggi condotti in videochirurgia, una tecnica molto meno invasiva rispetto agli approcci tradizionali. Mediante l’applicazione di piccoli fori sulle pareti esterne della cute, essa consente, infatti, di eseguire l’operazione controllando la strumentazione, precedentemente inserita nell’organismo insieme a una microcamera. Rosser e colleghi (Rosser et al., 2004) hanno osservato la fase di addestramento di alcuni medici impegnati nell’apprendimento della laparoscopia, una tecnica video-chirurgica che prevede un intervento sulla sezione addominale. Il ricercatore ha notato che coloro che durante la settimana trascorrevano almeno tre ore del proprio tempo libero a giocare a videogiochi d’azione, commettevano il 37% di errori in meno nella pratica laparoscopica, risparmiando il 27% del tempo di esecuzione rispetto ai colleghi non giocatori.
Il Pensiero rappresenta un’attività mentale estremamente complessa, accogliendo al proprio interno un’ampia varietà di processi tra i quali possiamo annoverare il ragionamento, la riflessione, l’immaginazione, la fantasia, la soluzione di problemi e la creatività (Galimberti, 2008). Consideriamo, a titolo esemplificativo, le avventure grafiche come Blacksad: Under the Skin. Sul piano psicologico, la caratteristica principale di titoli di questo genere è quella di attivare il videogiocatore in una prospettiva di solution-finding favorendo il riconoscimento, la comprensione e l’utilizzo ragionato delle risorse presenti nell’ambiente di gioco al fine di risolvere la problematica che esso presenta. Alcuni videogiochi stimolano un approccio costruttivo al problema promuovendo l’utilizzo di processi di induzione e deduzione. Vi sono però titoli afferenti alle avventure grafiche in cui la possibilità di risolvere un problema verte su un approccio diverso, fondato sulla possibilità di avere un’intuizione o un’illuminazione creativa. Thimbleweed Park, recente titolo di Ron Gilbert, che riprende le meccaniche delle celebri avventure punta e clicca degli anni ’90 ne è un esempio molto rappresentativo. La letteratura psicologica parla a questo proposito di insight.
Il problema, in questo caso, deve essere ristrutturato nei suoi elementi fondamentali così che sia possibile osservarlo attraverso un punto di vista innovativo. A livello psicologico, si assiste dunque allo sviluppo di una mente ipertestuale, volta a privilegiare una modalità di processamento delle informazioni meno lineare, logica e sequenziale ma di natura prevalentemente parallela, contrassegnata dalla possibilità di un impegno multitasking (Prensky, 2001; 2004) e da uno stile cognitivo a forte impronta visiva. Innumerevoli sono gli studi della neuropsicologia sulla memoria ed è ormai assodato il modello cibernetico della memoria, che prende in prestito i modelli di funzionamento dei computer.
La memoria, in quanto magazzino deputato all’archiviazione delle informazioni derivanti dalla nostra esperienza, rappresenta la conditio sine qua non di qualunque apprendimento.
Il funzionamento della memoria non si basa dunque su modalità univoche di processamento delle informazioni, ma sull’interazione di sistemi estremamente differenziati in termini di capacità, modalità di attivazione e di esecuzione dei compiti preposti. In quanto stimolazioni complesse, i videogiochi costituiscono una costante sollecitazione per la memoria di lavoro, favorendo, alla luce della plasticità dei processi cognitivi e delle strutture cerebrali che ne sono alla base, la possibilità di un suo affinamento. Mediante una pratica costante, il videogiocatore può innanzitutto ampliare il limite di informazioni contenute all’interno di un stesso magazzino. In secondo luogo, egli può poi imparare a gestire una sempre più complessa interazione fra i vari sotto-sistemi, attivandoli parallelamente nel modo più fluido possibile. I videogiocatori più esperti riescono per esempio a coordinare in maniera efficace la propria squadra, fornendo a ciascun compagno le indicazioni necessarie all’azione mediante chat o direttamente via microfono, analizzano i punti di forza e di debolezza di ciascun partner e si relazionano con successo all’imprevedibilità degli accadimenti che si presentano sullo schermo. Questi sono soltanto alcuni esempi di come i videogame possano avere un effetto potenzialmente positivo sui processi cognitivi fondamentali dell’individuo e in questa sede ci siamo soffermati su una piccola parte delle ricerche che animano il dibattito scientifico.
È una posizione unanime che i videogame sono media complessi i cui effetti non sono mai unidimensionali, solo una attenta e scrupolosa osservazione e analisi degli studi può farci evitare facili stereotipi o pregiudizi sia sul versante dei detrattori e demonizzatori dei videogame sia dalla parte dei videogiocatori.