Ecco perché Death Stranding sarà unico
Negli ultimi anni, specialmente nel 2016, stiamo vedendo come le leggi di mercato vengano prima di ogni cosa, a discapito del risultato finale dei videogiochi. Nonostante l’afflusso costante di titoli da giocare, molti iniziano a lamentarsi dell’abbassamento della qualità media, specialmente dei AAA. Mondi enormi, tempi di sviluppo brevi e qualità grafica sempre più tirata sono gli ingredienti di un cocktail che non porta a niente di buono quando si è alla ricerca di qualcosa di fresco e rifinito.
Qualche anno fa, le analisi di mercato avrebbero dimostrato che gli open world sono i giochi più venduti e di conseguenza le varie software house hanno tentato con diversi approcci a entrare in questo mercato. Ovviamente il gigante nella stanza a cui tutti, in un modo o nell’altro, fanno riferimento è Grand Theft Auto, specialmente con il quinto capitolo: enorme, graficamente eccellente, estremamente stabile e capace di mettere il giocatore in vicende importanti. Purtroppo in molti non tengono conto dei tempi biblici e della direzione salda che richiede un’opera del genere per venire a compimento nel migliore dei modi, ma vogliono solo avere un prodotto “tipo quello” pronto per Natale.
Di conseguenza nelle recensioni si finisce sempre più spesso a parlare di instabilità tecnica, di storie poco concentrate sull’argomento chiave e di come si sia ormai schiavi delle suddette ricerche di mercato. E in questo ambito rientra anche Kojima il quale, pur dichiarando: “Questo è il mio ultimo Metal Gear Solid” per ogni iterazione del brand a partire dal secondo, ha dovuto ammutolire la sua vena creativa in favore di ciò che (presumibilmente) il mercato richiede. Pur tentando ad aprire un gameplay a tratti storico verso qualcosa di diverso, si può facilmente notare come in Metal Gear Solid 5 alle spalle ci siano sempre le evidenti richieste di Konami, che nei decenni abbiamo imparato a conoscere non certo come società di beneficienza.
Chiudendo un attimo gli occhi e cercando di focalizzare l’attenzione su ciò che Kojima avrebbe effettivamente voluto creare, arriviamo al parallelo in cui Metal Gear Solid 5: The Phantom Pain è il Death Stranding che Hideo voleva creare, ma piegato e rimodellato per rientrare nei canoni richiesti dalla saga; ma qualcosa questa volta non ha funzionato fino alla fine. Specialmente dopo le dichiarazioni in lacrime di Geoff Keighley, giornalista particolarmente vicino al game designer, sappiamo che Kojima ha dovuto lottare contro i suoi datori di lavoro perché non gli veniva dato il giusto spazio e anzi, veniva segregato in una stanza lontano dai colleghi. Con questo si comprendono molto più chiaramente le ragioni della separazione e i videogiocatori di tutto il mondo dovrebbero essere grati a questo grande nome nel mondo dei videogiochi per aver anteposto lo spirito creativo alle mere dead line e ai risultati finanziari.
Nel momento esatto in cui Kojima diventa un uomo libero Sony non perde l’occasione di conquistare una pedina straordinaria in cerca di nuovi fondi per ricostruire un team che ha dovuto lasciare indietro. Così la società giapponese mette immediatamente al suo fianco Mark Cerny, uomo responsabile per l’ingegnerizzazione di PlayStation 4, ma che negli anni passati ebbe il ruolo di coordinare i vari team intenti alla causa della prima iterazione della console, stando in strettissimo contatto con gli sviluppatori.
Stiamo parlando quindi di una persona che conosce perfettamente l’hardware, sa lavorare con il software, ma soprattutto sa parlare con le persone, e con un perfetto giapponese. Il così detto “Tech Tour” ha inizio, con Mark e Hideo che partono alla volta degli studi first party Sony alla ricerca di nuovo motore grafico, dal momento che il Fox Engine su cui tanto Hideo ha lavorato è rimasto di proprietà di Konami. A oggi sappiamo che il viaggio si è concluso ad Amsterdam, dove Guerrilla Games ha voluto letteralmente donare il proprio motore a un uomo che si è dimostrato estremamente appassionato in quello che vuole fare. Così nasce Decima, nome che deriva da Dejima ossia un’isola artificiale al largo di Nagasaki nella quale gli Olandesi commerciavano al tempo dell’embargo autoimposto dal Giappone, sottolineando come ogni minimo tassello abbiamo un ben specifico significato.
Nonostante Kojima ancora faccia fatica con la lingua inglese, è facile notare come il personaggio austero e intoccabile con cui abbiamo imparato a conoscere Hideo nel periodo Konami, non ci sia più. Abbiamo visto un uomo distrutto che ha trovato aiuto al primissimo annuncio in cui Sony rassicurava tutti i fan, fino a una figura di compagnia che scambia anche qualche gesto fisico d’amicizia durante le interviste. Quello che abbiamo di fronte ora è un Kojima rilassato e sicuro delle sue scelte, libero di esprimersi come meglio crede e limitato solamente dalla sua creatività, e così arriviamo al significato del titolo dell’articolo. Con Death Stranding finalmente abbiamo la possibilità di andare oltre agli stilemi di un brand pluridecennale, non ci sono dettami dall’alto da rispettare, ma solo pura creatività è molto tempo d’attendere (e non si perde mai occasione per sottolineare che sarà molto).
Sia il primo enigmatico trailer, che il secondo di qualche giorno fa, iniziano a darci la sensazione di quel che si può raggiungere lasciando Hideo senza catene: un setting mai visto prima che sembra uscito da un incubo che diventa realtà. Il tutto costruito con una regia e una cura dei dettagli che solo lui riesce a creare, in modo tale da dare in pasto “all’internet” ore e ore di replay al fine di estrapolare le più impossibili congetture. Oltre alle immagini mostrate ci sono le parole dette, o meglio quelle non dette: Kojima ha voluto accennare più volte quello che sarà il core gameplay della sua nuova creatura, ma non è mai riuscito ad andare oltre a un “action open world, ma completamente diverso da come possiate immaginarvelo” che lascia costantemente perplessi. Una dichiarazione che potrebbe far pensare a qualcosa più incentrata sull’esperienza di gioco (come MGS5 e gli altri open world attuali stanno dimostrando), ma dall’altra parte abbiamo due trailer che alzano l’asticella della narrativa muta a livelli molto alti e difficilmente immaginabili in un modo aperto.
In conclusione, Death Stranding potrebbe essere un prodotto veramente unico perché è firmato, ideato e creato da una personalità immensa che sotto la protezione di Sony (che conosciamo bene per lasciare parecchio spazio ai suoi creatori come Ueda e Yamauchi) può finalmente esprimersi al meglio senza restrizioni. Sappiamo quanto Kojima conosca da vicino il mondo del cinema e di come sia in grado di scovare musicisti eccezionali, ma non possiamo ancora capire quanto il tutto mescolato assieme possa sfociare in un’opera videoludica diversa da quanto già visto. Indipendentemente da quello che sarà il risultato finale, quella di Hideo dovrebbe essere una storia che deve restare ben impressa nella mente di quei giocatori che inneggiano alla noia in cui stagna il media videogioco, ma poi si fiondano a prenotare l’ennesimo sequel finanziariamente sicuro.