Overwatch 2: Una recensione ha senso?
Abbiamo passato una decina di giorni in compagnia di Overwatch 2. Ecco le nostre impressioni sul nuovo corso del tiolo di Blizzard.
Il mio personalissimo rapporto con Overwatch è da considerarsi come la classica “storia d’amore difficile”. Il primo periodo l’ho amato alla follia, prima ancora che fosse arrivato nella mia vita l’ho desiderato, poi però ci siamo allontanati ma ci siamo ritrovati, per poi lasciarci di nuovo quasi definitivamente. Dico “quasi” perché, in cuor mio, sapevo che, prima o poi, il momento di tornare a calcare il suolo metaforico del magico universo creato da Blizzard sarebbe finalmente arrivato.
Per tal motivo, mi sono affacciato al doveroso quanto scontato annuncio di Overwatch 2 con grande emozione e curiosità, due aspetti che, purtroppo, ho finito col perdere col passare delle ore maturate sui server di gioco, tanto nella fase di lancio, in beta, quanto, e soprattutto, con l’arrivo della versione finale.
Lo dico con la morte nel cuore: Overwatch 2 non è riuscito a farmi rivivere quelle emozioni che ho provato all’epoca. Del resto, si sa, le “minestre riscaldate”, in amore, non sempre fanno una buona fine e, al netto dei tanti cambiamenti introdotti, sia sul piano strutturale sia della progressione, ma anche alla base stessa della natura del gioco, mi sono ritrovato per le mani qualcosa di fin troppo simile a quanto visto nell’opera originale, nel bene ma anche nel male. Sia chiaro, non mi aspettavo rivoluzioni, anche perché l’Overwatch “vanilla”, al netto delle sue problematiche, funzionava piuttosto bene, ma avrei desiderato con tutte le mie forze che quel numero “2” avesse significato qualcosa in più di un semplice numero perché, a oggi, per quel che mi riguarda rappresenta solo questo o comunque veramente poco di più.
Overwatch 2 è il paradiso degli eroi
Voglio essere sincero: l’aspetto che mi ha colpito maggiormente di Overwatch 2, e menomale aggiungerei, è quello relativo al “nuovo” Gameplay e alla nuova struttura delle partite. La scelta di ridurre il numero di partecipanti da 12 (6vs6) a 10 giocatori (5vs5) ha reso le battaglie ancor più dinamiche e frenetiche, e in molti casi mi hanno letteralmente strappato un sorriso di gusto di troppo, figlio proprio della felicità intrinseca nel vivere un’avventura potenzialmente diversa pur rimanendo confinato nella comfort zone di una produzione che ha sempre avuto il grande merito di dare spazio anche a un player “scarso” negli FPS più tradizionali come il sottoscritto. Ho amato e sto amando questo ritmo più serrato, perché comunque riesce a legarsi sempre profondamente a quella che è la natura comunque tattica del gioco, che anche in questa nuova veste non dimentica mai l’importanza di saper usare per bene i vari eroi. Questi ultimi, proprio a tal proposito, sono stati in alcuni casi pesantemente rivisitati e ribilanciati, proprio per adeguarsi in maniera più consapevole e coerente alle nuove dinamiche di gioco e alla nuova importanza che viene data alla squadra, partendo dalla sua costruzione fino alla scelta dei giusti interpreti a seconda delle mappe, delle modalità di gioco e via dicendo. Questo aspetto è proprio quello che ho apprezzato di più: con Overwatch 2 il senso di appartenenza al proprio team sembra essere volutamente più accentuato, più centrale, anche perché Blizzard ha deciso di riscrivere in maniera evidente la composizione del team, legata a “binari” più sensati e decisamente più coerenti con la natura del gioco. Collaborare, insomma, è la chiave del successo, e per un gioco in cui gli “eroi non muoiono mai” ho trovato questa verità sempre più doverosa e piacevolmente evidente.
Va da sé che, a onor del vero, ho ritrovato il gusto nell’approcciarmi agli scontri con la classe che ho da sempre prediletto: i Support. Lo so, nessuno vuole fare il support, ma credetemi, quella scritta “Hai salvato la vita a X”, ogni qualvolta si compie un’azione decisiva in un determinato punto o momento della battaglia, vale da sola tutto lo scotto di quel numero sempre più basso alla voce “uccisioni” tipico di una classe di eroi volutamente meno performante nella zona d’attacco della barricata. Ho apprezzato molto, in tal senso, il peso specifico che assumono gli eroi in battaglia, che in questo Overwatch 2, devo ammetterlo, hanno in qualche modo ripreso vita, specialmente considerando il rework di varie abilità che hanno ora un tipo di impatto diverso nell’economia delle partite. Sotto questo aspetto, mi hanno anche in parte entusiasmato le novità introdotte in termini di modalità di gioco. Alcune di esse, infatti, hanno dato una leggera sferzata di novità alla formula ludica dell’FPS-Arena shooter di Blizzard, che per quanto mi riguarda ora è sicuramente diventato un titolo più completo, più “massivo” e più “per tutti” ma ha il pesante fardello di aver osato fin troppo poco, rimanendo complessivamente troppo ancorato al suo ottimo passato, da cui però questo sequel avrebbe dovuto staccarsi in maniera forse leggermente più netta, soprattutto proprio dal punto di vista dell’interpretazione dell’offerta contenutistica.
Nuova progressione: il battle pass che non mi piace e che mi ha stufato
Quello che è cambiato parecchio, e secondo me non per forza di cose in senso positivo, anzi, è il sistema di progressione, che nel suo voler adottare dettami ludici più “convenzionali” finisce per creare una situazione decisamente complessa. Il primo Overwatch, se ben ricordate, era fortemente legato alle cassi premio, motivo per cui il prodotto di Blizzard è finito sotto l’occhio del ciclone in diversi Paesi, al punto da bandire proprio le suddette loot box e ciò che esse comportano. Per ovviare a questo problema e per dare una sferzata decisa in termini di differenziazione contenutistica, Blizzard ha optato per un sistema più classico, legato all’introduzione di un Battle Pass, una soluzione ormai molto diffusa negli FPS e in generale nei GAAS attuali, finiti sempre più in balia di una voglia di “riempire” che spesso risulta a dir poco soverchiante. Sia chiaro, le vecchie loot box, per quanto comunque “invasive”, andavano a intaccare soltanto una piccola parte dell’esperienza di gioco, legata esclusivamente all’aspetto estetico degli eroi che, per quanto importante per un gioco che fa leva proprio su un character design da urlo, aveva comunque un peso marginale sull’esperienza di gioco. Per intenderci: ho speso tipo dieci euro e ho giocato centinaia di partite in un mese per avere la skin Mercy Strega, all’epoca, senza trovarla, ma è stata comunque una mia scelta e, soprattutto, ho potuto comunque continuare a usare Mercy anche se che con un costume diverso.
Cosa voglio dire? Ci arrivo con calma. Posto che l’aspetto estetico di Overwatch e dei suoi eroi è sempre di primaria importanza, è chiaro che le skin non rappresentano una chiave divisoria a livello di gameplay, ma sono comunque centrali nell’infrastruttura del gioco, tanto che Blizzard ha subito voluto tranquillizzare i suoi giocatori, chiarendo ben presto la questione sul “recuperare” tutti i materiali cosmetici sbloccati con il primo capitolo e come trasportarli sul secondo. Dunque, se tanto mi da tanto, l’introduzione del suddetto Pass stagionale ha veramente poco senso di esistere. Ho digerito veramente male questa nuova formula, specialmente quando, per sfruttare il cross play, ho fatto creare un secondo account alla mia compagna, per giocare comodamente insieme con due macchine diverse dalla stessa casa e ho scoperto quanto questo nuovo sistema sia praticamente un incubo per i nuovi arrivati. Per sbloccare gli oggetti del pass in maniera “onesta”, dunque senza acquistare il pacchetto Osservatorio, dal costo di 39,99€, ci vuole praticamente un tempo che oggettivamente non tutti possono avere e soprattutto molte cose sono direttamente inaccessibili, cosa che dal mio punto di vista rompe parecchio quella sensazione di “tutti per uno uno per tutti” che era un po’ alla base dell’Hero shooter di Blizzard. Se a questo, poi, si aggiunge l’ingombrante questione legata agli eroi, sbloccabili proprio attraverso il pass, compresa la nuova arrivata Kiriko, che addirittura richiede un livello 55 per essere utilizzata, allora è chiaro che qualcosa non ha funzionato a dovere. Per quanto io sia un forte estimatore di Blizzard e mi fido ancora del loro giudizio, trovo che questa scelta andrebbe pesantemente rivista, magari creando qualcosa di più funzionale e meno invasivo, possibilmente in vista dell’arrivo già della seconda stagione.
Quant’è figa Sojurn!
Quello che mi ha convinto, in chiusura, è certamente l’introduzione dei nuovi eroi, attesa al varco dai giocatori orfani di novità in tal senso da diversi anni. Sojurn, la Regina dei Junker e la più “pompata” Kiriko rappresentano una piacevole aggiunta per ruolo al roster di Overwatch 2 e durante queste prime giornate di gara mi sono dedicato proprio maggiormente a loro tre, per capire un attimino come Blizzard abbia disegnato gli eroi (e non) del futuro. Voglio partire subito dalla più “famosa”, ossia Kiriko, dicendo immediatamente che nelle intenzioni mi è piaciuta veramente tanto, ma ho trovato che, per il mio modo di giocare, sia forse un tantino complessa da utilizzare. Kiriko è un eroe support molto figo, usa degli shuriken per attaccare e dei sutra per curare gli alleati, e si muove con una velocità impressionante, per quanto però mi è parsa molto debole agli attacchi avversari. Riuscire a fare un buon lavoro con Kiriko non è affatto semplice, ma date le movenze feline e soprattutto la bellezza anche estetica di esse, è chiaro che riuscire a carpire i segreti del nuovo eroe potrebbe essere una valida trovata per tutti i giocatori, specialmente per quelli più altruisti e avvezzi con il gioco di squadra.
Discorso simile, ma in parte diverso, per la Regina dei Junker. Nelle intenzioni, questa è una Tank, dunque pensata per “difendere” gli altri e trascinare la squadra nelle fasi più concitate dei match, ma l’ho trovata in verità più feroce e incredibilmente valida che mai, anche e soprattutto nella fase offensiva. Come tank, lei è infatti molto veloce e incredibilmente agile, fa molto danno e in generale le sue abilità sembrano veramente pensate per renderla uno dei personaggi più utilizzati e, perché no, odiati (e amati, a seconda del lato della barricata su cui state) dell’intero roster. Quella che però mi ha veramente colpito è Sojurn, che avevo già provato in fase di Beta (per poco tempo) e che ho ripreso subito in mano con il gioco completo.
Sojurn è una DPS hero tanto affascinante quanto forte da utilizzare e mi ha colpito sia per la sua rapidità sia per la sua mobilità, due aspetti che, uniti al buon numero di danni del suo fucile semi-automatico, la rendono una spina nel fianco per qualsiasi avversario. Attenzione però, Sojurn, come le altre due nuove aggiunte, è un eroe che va imparato bene, così un po’ come tutti quelli “base”, e rappresenta il nuovo corso del gioco, che vuole dare ancor più importanza al padroneggiare in maniera sapiente gli eroi e le loro abilità, e che impone al giocatore un’attenzione sempre massima su quello che accade in battaglia.
In definitiva, questi primi giorni in compagnia di Overwatch 2 mi hanno sicuramente strappato un sorriso, ma mi aspettavo certamente di più. Al netto delle tante, troppe e forse ovvie similitudini tra il primo e il secondo capitolo, quello che non ho digerito è il Battle Pass che, per com’è strutturato ora, dal mio punto di vista ha veramente poco senso di esistere. Mi è piaciuto l’inserimento dei nuovi eroi, li ho trovati veramente interessanti e, se posso dirlo, la vena più “teammate” assunta dal gioco, per quanto io sia fondamentalmente un lupo solitario, è sicuramente un’arma in più. Dunque, Overwatch 2 è promosso? É presto per dirlo, alcune cose girano, altre no. Il mondo ha ancora bisogno di eroi?